«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

sabato 19 agosto 2017

Graffiti urbani - 6



Amiche care, amici,

questo, in lieve antocipo sulla tabella di marcia (domani sono in viaggio per lavoro), è il sesto appuntamento di questa raccolta, che è essenzialmente una raccolta di memorie e piccole note tracciate su un taccuino, mentre la mia vita prendeva un corso, anzi una svolta, che avevo tanto voluto, ma anche temuto. Allora che finalmente, con rabbia, vi ero riuscita, mi sentivo il cuore vuoto, esaurito, e malinconico come non avevo mai provato prima. Forse quel passo, deciso a seguito di molti eventi che mi avevano scossa dalle certezze della prima giovinezza, rappresentava il passaggio, non simbolico, ma duramente concreto, e comunque improvviso, catastrofico, dall'infanzia all'età adulta, quasi senza avere il tempo di passare attraverso la stagione della pubertà.
Non so se furono le circostanze particolari che mi investirono in quegli anni, ma il mio sviluppo,  quello fisico e sessuale prima di quello mentale, fu rapido, davvero quasi esplosivo, anche a confronto con tante mie coetanee.
Ad ogni modo, il sangue da navigante che avevo nelle vene mi spinse subito al viaggio, all'andar via, a tagliare ponti e ormeggi. Sono sempre stata così, ed è paradossale per quanto nel contempo la memoria, anche il rimpianto, e il senso di solitudine, sia parte della mia personalità. Ho sempre cercato strenuamente e altrettanto strenuamente detestato la mia solitudine. A pensarci bene, forse questo è il seme profondo della mia ineguatezza a vivere. Della mia psicosi, come poi si è espressa e radicata negli anni.

Me ne andai dunque sola, quasi senza danaro, pochi abiti, di più scarpe (accessorio che ho sempre adorato e a cui non ho mai saputo fare a meno), il mio prezioso portfolio (una cartellona più grande di me, a quel tempo era ancora tutto su carta), e una incontenibile rabbia nel cuore. E me ne andai in treno.


Il ricordo di questa partenza è l'argomento di questi versi, e lasciare Trieste (o arrivarci) in treno è un'esperienza penso molto particolare, per chiunque: la ferrovia si snoda per alcuni chilometri lungo la costa, da Miramare fino alla vicina cittadina di Monfalcone, a una certa altezza dal mare, regalando uno spettacolo davvero unico. Il percorso è ricco di curve, per seguire l'andamento relativamente frastagliato della costa rocciosa, per cui il convoglio deve procedere a velocità assai moderata, così si ha modo, se è giorno, di gustare un panorama che poi non si ritroverà più, divenendo presto il monotono susseguirsi di campi e pianure comune a tutti i percorsi ferroviari del mondo.

Bene, mi tolgo, e vi lascio alla lettura, se lo vorrete.
con amore

M.P.



6
Oltre Monfalcone



E così lasciai i luoghi
che mi videro nascere e crescere
come una puledra libera
e sfrenata,
incosciente della propria bellezza,
impavida nel correre sola
contro il vento della marina.

Me ne andai giuro senza
rimpianti, con tutta la mia rabbia:
mi sentivo tradita
da chi più avevo amato,
straziata, ferita
da ciò che avevano fatto
alla mia infanzia.

Ma forse, anzi di certo
mi sentivo di più tradita
da quella fanciulla che ero ancora
che già si faceva donna:
perdio, troppo in fretta,
senza neppure avere il tempo
di un addio, di un abbraccio, di un pianto.

Ancora avrei rincorso
le nubi sul filo dell'orizzonte
così, per dare un nome
alle forme bizzarre
che vi vedevo, tra il cobalto
e il livido smalto
della fine del giorno.

Ma ora andavo, su quei binari
che seguivano la linea di costa,
e mi dicevo, pensavo
che non avrei mai più fatto ritorno
a quel mare piumato
che mi salutava festoso
da ogni baia, da ogni piccola cala.

Mentre gli ultimi pugni di case
aggrappate al declivio pietroso
fino alle ampie rarefatte pinete
accorrevano là sotto
come a volere proteggere il mare:
io non sentivo dolore, distacco,
solo più urgenza di fuggire lontano.

Poi, dopo le curve screanzate
che scuotevano le carrozze
e i passeggeri intontiti dal sonno
seguì il lungo tedioso sfilare
in un rettifilo lungo una vita
di campi e capannoni industriali,
di campanili e filari di pioppi.

Giunsi dunque alla fine del viaggio
come in un lungo delirio
di monotonia: piangevo, alla stazione,
balzando giù dal treno, non pentita,
ma sapendo che una parte -
la più magica - della mia vita
quel giorno era finita.



Marianna Piani
Milano, 19 Marzo 2017
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