«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

lunedì 26 luglio 2021

Mature, di SadAbe: Invito alla lettura



Approfitto di questo spazio personale, temporaneamente in fase di "sospensione montaliana" (ma mi auguro che non sia così lunga) per pubblicare qui un cordiale e sentito "invito alla lettura" dell’ultimo libro di una scrittrice molto interessante e intrigante (mi si passi il termine un po' da rivista illustrata) che già avevo avuto modo di conoscere per alcuni dei suoi suoi precedenti lavori, e che in questa occasione si firma non direttamente con il proprio nome, ma con lo pseudonimo, inedito, di SadAbe.

Il fatto che mi sia cimentata nella lettura di questo testo, che in realtà è una raccolta di racconti, tutti di genere erotico, quindi molto lontana dai territori da me più battuti (poesia a parte, la mia attività di lettura non di saggistica si limita a “classici” antichi e moderni, già più raramente mi avvicino a testi narrativi contemporanei, quasi mai ai cosiddetti "generi", inclusa la "giallistica" - perfino con Simenon ho scarsa familiarità) è dovuto in gran parte, posso dirlo in tutta sincerità, alla conoscenza, all'amicizia e alla stima, che ho sviluppato per l'autrice, frequentandola in modo del tutto casuale e disimpegnato su Twitter, l'unico "social" cui io mi sia iscritta. 

Invece l'impulso e la vera motivazione a scrivere questo commento piuttosto lungo e articolato è venuto tutto esclusivamente dalla lettura del testo (e dei singoli testi raccolti nel volume), un testo che mi ha subito colpito e catturato, facendomi dimenticare quasi subito l'identità dell’autrice e il fatto che fosse una mia conoscenza diretta, spostando invece la mia attenzione sui valori oggettivi della scrittura e della narrazione. E nel fare questo ho incontrato molte sorprese e piacevoli scoperte.

Ecco quindi qui di seguito le annotazioni, quasi un piccolo diario in Progress, di questo mio breve viaggio sentimentale, da appassionata lettrice, in territori a volte a me sconosciuti o inusitati.

 

MP

 




Permettetemi ora una breve premessa…



Pessimo modo per iniziare un commento a proposito di un libro che abbiamo appena finito di leggere (non la chiamo "recensione", perché non sono una letterata né una operatrice nel campo dell'editoria, ma una comune lettrice). Tuttavia la ritengo di una certa rilevanza per inquadrare in una prospettiva corretta il senso di queste note, dato il particolare posizionamento del libro all'interno di un "genere" - quello erotico - apparentemente molto ben definito e circoscritto.


Questo esile ma denso volumetto (uso il diminutivo senza alcun intento valutativo di merito ma solo di "dimensione" oggettiva) si presenta esplicitamente come una collezione di racconti di genere - appunto - “erotico”, che come è noto vanta una vasta e antica tradizione, nobile e ricca di risultati letterari anche eccellenti, assieme a una pletora di titoli dozzinali, di bassa cucina, dedicati per lo più a una platea di lettori/lettrici di bocca buona, non certo esigentissimi, più in cerca di emozioni facili e immediate che di raffinatezze letterarie. Un genere, insomma, almeno in parte da “edicola della stazione”, alla stregua dei gialli, dei rosa, dei fumetti di bassa fattura, ecc...


In ogni caso devo confessare di non essere mai stata particolarmente appassionata a questo genere di letteratura, anzi, a dirla tutta, non la amo e la frequento poco e con qualche noia anche nelle sue manifestazioni di più alto profilo e in un certo senso di conoscenza "obbligata"  per una lettrice di media cultura, come Bataille, Lawrence, Miller, Nabokov... Posso quindi tranquillamente dire di non essere un’esperta in materia, tutt’altro. Ho avvicinato i testi raccolti in questo libro - come altri lavori di questa autrice - spinta inizialmente più che altro dalla naturale curiosità che si ha per uno scrittore o poeta che si ha la ventura di “conoscere” di persona (sebbene in questo caso con tutta la superficialità propria di una conoscenza puramente da "social") già prima e al di fuori dell’ambito letterario. Una curiosità condita sempre da una certa diffidenza, sebbene in questo caso moderata dalla stima maturata per la persona e il suo pensiero, molto spesso coincidente con il mio su molti temi e argomenti.


Ebbene, nonostante questi pregiudizi e lo scarso entusiasmo per il genere, già con i lavori precedenti avevo dovuto ricredermi. Ma ora, con questo volumetto, mi sono convinta di essere di fronte - uso definizioni volutamente “pesanti” e impegnative - a una scrittrice autentica e davvero a un livello raro di eccellenza. E, aggiungo, assolutamente non confinabile dentro l'angusta gabbia del “genere”, ma proiettata con sorprendente naturalezza in una prospettiva decisamente più ampia, che potremmo, per semplicità, definire schiettamente “letteraria”.


Ciò che vorrei dire è che, se vi aspettate da questi racconti “soltanto” lo stimolo sensuale, "facile" della descrizione/rappresentazione erotica - o/e pornografica - lo potete certamente fare, gli ingredienti ci sono tutti: si parla spudoratamente di cazzo, di figa, di penetrazione, di masturbazione, di sperma, di umori, di saliva; i rapporti sessuali sono descritti fisicamente, carnalmente, con minuzia da quadri fiammingo, o da technicolor, senza perifrasi, in modo diretto, tattile; si percepiscono sapori, odori, e perfino i suoni più intimi dei corpi, vivi e pulsanti nell'atto di godere. L’esperienza dunque, da questo punto di vista, è piena e coinvolgente, in modo perfino più efficace di un video da youporn, perché la fantasia, l’immaginazione, quindi la nostra immedesimazione e empatia è molto più viva e stimolata che nella passiva visione di immagini e suoni, spesso così artificiali da apparire desisamente fasulli.

Se volete, insomma, e se è questo che cercate, qui potete trovarlo, potete sentirvi eccitate, fino all'orgasmo, rivisitando le situazioni descritte riflesse nel vostro vissuto individuale, nel vostro letto, a tu per tu con la vostre più intime e audaci fantasie e fantasticherie.


Potete farlo, certo, ma perdereste molto se vi limitaste a questo.

Perché i racconti di questa raccolta, come dicevo, “sfondano” la barriera di genere, e tracimano impetuosamente, come da un alveo ristretto in cui si versa un fiume in piena, in un’area assai più vasta e fertile, quella della scrittura "alta", appunto. Proprio come la soddisfazione dei sensi e la sazietà fisica non sono gli unici, e neppure i primi obbiettivi dell’alta cucina.

È questione di stile, di scrittura, di tematica, e, sopra tutto, di narrazione. È qualcosa che avevo intuito già visitando altre opere dell’autrice, ma che non avevo finora mai trovato così bene esplicitato come in questi racconti, che peraltro si “bevono” quasi d’un fiato, con il piacere e la gioia di una bibita fresca d’estate. A me è accaduto esattamente così, e vi assicuro che non mi capita spesso. Come ancor meno mi capita di trovarmi a rileggere non due, ma tre volte di seguito un testo, come mi è accaduto in questo caso con tutti i racconti del volume.



Evidentemente c’è una speciale sintonia di questa autrice con il formato racconto, che con la sua brevità fulminante e incisiva ne esalta le doti di scrittura, sempre chiara e sintetica, densa, precisa, elegante e fluida. Difficile trovarle dei difetti, anche da un punto di vista puramente "formale". Questa dote da sola la proietta senza dubbio fuori dalle gore del ciarpame letterario sciatto e malscritto che di solito infesta il "genere", e che si ritrova fin troppo spesso anche in autori/autrici assai noti e almeno altrettanto sopravvalutati. Mi vengono in mente in proposito certe autrici da blockbuster e le assai limitate “sfumature” della loro scrittura.

In più il formato del libro nel suo complesso, organizzato in una serie racconti tutti assai diversi tra loro, consente di snocciolare un'autentica collana di pietre preziose, ciascuna con la sua unicità di luce, taglio, colore, ma tutte perfettamente legate e coerenti, allineate lungo quel filo che, apparentemente in modo arbitrario e casuale, in realtà con grande tenacia le tiene insieme.


In tutto questo ho ritrovato l’espressione quasi pienamente realizzata dei ben noti princìpi che Italo Calvino fissa nelle sue Lezioni Americane, praticamente rifondando la letteratura italiana che, in quel preciso momento, dal neorealismo passava al postmoderno, senza quasi soluzione di continuità. Princìpi peraltro che raramente ho visto applicati con tale coerenza ed efficacia e ancor più nella loro interezza anche da autori assai più noti e “celebrati”. Li ricordo qui, nell'ordine, per chi non li avesse a immediata portata di memoria:


1 - Leggerezza 

2 - Rapidità 

3 - Esattezza 

4 - Visibilità 

5 - Molteplicità. 

[6 - Consistency - Mai scritta, per la precoce scomparsa dell'Autore]

Potrei analizzare questo libro interamente alla luce di questa traccia ideale, sia nel suo insieme che fermandomi puntualmente racconto per racconto, ma esulerei dai confini di una “presentazione” amichevole e rischierei di sforare nel saggio, per il quale non avrei comunque la competenza e il respiro necessario, dato che mi considero e sono, come ho detto, una comune lettrice. Ad ogni modo posso dire che i 5+1 princìpi qui sono tutti perfettamente rappresentati, e sarei davvero curiosa di sapere se per l’autrice questo sia un riferimento puntuale e consapevole, oppure solo una lontana reminiscenza dietro un gesto letterario istintivo, del tutto spontaneo e assimilato.

Ma in fondo non è così importante saperlo, perché davanti a noi abbiamo il risultato finito, un'opera coesa, definitiva, e non un esercizio programmatico, o un laboratorio di intenti ed ambizioni non sempre commisurate alla reale tenuta tecnica e artistica dell’autore, come troppo spesso si riscontra nelle librerie - per non parlare dei (troppi) premi letterari. L'autrice al contrario crea un'opera coerente e conclusa, e tratta il lettore con grande umiltà, senza invadere il suo campo, lasciandogli lo spazio per viaggiare liberamente nel proprio mondo personale, per esplorare e, se gli aggrada, trovare sotto gli zerbini o in cima agli stipiti delle porte le chiavi di lettura che più lo ispirano o lo stimolano.


Ed è ancor meno importante, questa consapevolezza, perché lo “stile”, per questa autrice, è davvero solo un telaio, un un veicolo su cui caricare i materiali della sua esperienza vitale (e di scrittura) per poi salpare nel viaggio/avventura della narrazione, dello storytelling. Ed è proprio qui che si incontrano, in ogni singolo racconto, e nella loro successione priva di criteri d'ordine, le vere, autentiche sorprese, secondo me.


Cercherò di spiegarmi:



L’autrice “mette in scena” (ed è proprio il caso di dirlo, come vedremo, data anche la sua esperienza nel mondo dello spettacolo, cosa che si rivela in controluce in ogni racconto) programmaticamente una serie di racconti erotici, soft core e anche con qualche voluto ma elegante sconfinamento nel pornografico più esplicito. Ma in realtà il suo robusto istinto narrativo (istinto, o scelta consapevole, o un po’ entrambe le cose) la porta a capovolgere la prospettiva, a scombinare decisamente le carte: non è più il racconto, come accade il più delle volte in questo genere, un plot di solito esile se non decisamente pretestuoso, a supportare, porgere, incorniciare quello che è il nòcciolo, il fine ultimo dell’operazione, dilazionato il più possibile per esasperare l’attesa: la "rappresentazione" cruda dell’atto - o degli atti - sessuali.

Al contrario, è quest’ultimo, o questi ultimi, che sono proposti come un pretesto, il telaio, il fildiferro su cui ancorare l’argilla, la sostanza di un racconto invece assai più ricco e articolato, polidimensionale.


Insomma, l’oggetto di questo racconto (anzi, di tutti questi racconti) non è lo scambio sessuale, che può avvenire alla fine, al culmine, o anche all’inizio del plot, ma il ritratto di un personaggio, nella sua concretezza umana, mentale e fisica, dei co-protagonisti e comprimari, dei luoghi, dei veicoli (la MiniMinor, la motocicletta Aprilia - tocco sapiente quest'ultimo), dell’epoca, dell’atmosfera. E in questo la lettura si stratifica, diventa piacevolissima, stimolante, partecipata, MAI noiosa, e quando si raggiunge l’apice, sempre nel momento preciso voluto dall’autrice, né prima né dopo, siamo pronti ad accogliere quel momento “liberatorio” in tutta la sua sensualità e certezza.


In altre parole l’obbiettivo finale del racconto non è (solo) il piacere nell’atto sessuale, ma il piacere nella scrittura tout court, rivelata nell'atto della lettura.

Il sesso così diviene metafora di scrittura, e la scrittura è metafora di piacere - fisico, sensuale, mentale.


Ma questo lo vedremo più avanti. Perché c’è di più...



Il tema primario e peculiare del volume, come è dichiarato esplicitamente dal titolo, “Mature”, propone una prospettiva del tutto nuova e sorprendente, inusitata nel main stream del genere, assai poco frequentata anche dalla letteratura “alta” e al di fuori di ogni definizione limitativa di genere: la esposizione, l’esplorazione di una fase della realtà femminile ancora tenuta accuratamente ai margini, come se fosse disdicevole occuparsene; eppure è un territorio estremamente interessante da indagare, proprio perché semi-inesplorato, intrigante, ricchissimo di tensioni e illuminazioni vitali: quello della donna ormai “matura”, consapevole di sé, spesso perfettamente realizzata, ma contemporaneamente alle prese con la trasformazione che la sta investendo come un terremoto profondo, plasmando e travolgendo la sua fisicità assieme alla percezione di sé, sul tornante strettissimo e vertiginoso della menopausa: da “fattrice” fertile, madre, moglie, compagna - ruoli già in sé in aperta crisi - a nudo corpo femminile, vissuto in modo contraddittorio come “menomato” ma proprio per questo anche "svincolato", libero, restituito a una libertà mai provata - e meno ancora goduta - dai tempi della prima adolescenza. Per di più un corpo ancora intatto con tutto il suo vigore, la voglia di vivere, la libido ancora in gran parte da esprimere; la bellezza di un corpo formato, esperto di sé, consapevole, disinibito, sensualissimo e cosciente di essere ancora desiderabile.


Si dà il caso che anch'io sia giunta esattamente a questo bivio, a un passo dal mio atteso e paventato climaterio, con tutte le ansie, le frustrazioni, le spinte depressive che da ciò derivano; mentre contemporaneamente la nuova condizione di “libertà” da una gabbia sia biologica che di ruolo sociale, ormai donna realizzata, ma con molti sogni ancora rimasti inespressi, mi si sta scatenando dentro una inedita e forse perfino più intensa voglia di vivere, una libido che la "maturità" fatica addirittura a tenere sotto controllo, poiché ci sentiamo in una condizione emergenziale di “ora o mai più”, che rode dentro, spinge, preme, sotterranea ma ribollente come il bacino magmatico nel cuore di un vulcano. In me tutto questo vissuto con in più una particolarità personale di cui parlerò tra qualche capoverso.

Questo di certo mi ha fatto incontrare questo speciale volume “al momento giusto”, ma credo che nessuno, in qualunque momento della vita personale si trovi, potrà negare, in generale, la profonda, sentita, disarmata UMILTÀ e SINCERITÀ di questi racconti.


E questo probabilmente perché anche l’autrice stessa si trova in questa fase vitale di passaggio e trasformazione, che ricorda molto da vicino la transizione adolescenziale, per la carica “rivoluzionaria” che può avere sulla personalità e la storia di ogni donna. Non a caso uno dei racconti più risolti e delicati (e per coincidenza anche l’ultimo della serie: “Allo specchio”) narra proprio dell’incontro di un adolescente con una donna matura.

Anzi, a ben vedere, questo incontro/scontro di trasformazione, iniziazione e crescita, più o meno sviluppato ed esplicitato, si può trovare in quasi tutti questi racconti, compreso quello che, posso anticipare, considero il gioiello più luminoso della collana, di cui scriverò tra breve.


Comunque sia, entrare in questo mondo segreto, aprirlo, spalancando letteralmente e metaforicamente quelle gambe ancora perfette, nervose e pronte, mettendo allo scoperto quelle vulve bellissime, ma esperte, ma ingenue, ma assetate, ma folli, ma assennate, è un’operazione non solo originale e tutt'altro che consueta, ma anche carica di coraggio, perché occorre coraggio, oltre che precisione chirurgica e assoluta padronanza del mezzo, per portarla a termine con successo, senza cadere nel patetico, o nel grottesco, o nel banale, o nel torbido, o nell'improbabile, o nel morboso. Come occorre coraggio, coerenza e disciplina per presentare al pubblico, al particolare pubblico del genere erotico, e contemporaneamente, almeno idealmente, anche a quello generalizzato dei lettori adulti, una serie di storie con soggetti così particolari e definiti. Per di più offrendo a questo pubblico il proprio stesso corpo, la propria anima, messi a nudo, esposti quasi spudoratamente, nella loro consolidata bellezza e nelle imperfezioni, solchi e ferite incise dal tempo.

Perché l'ispirazione autobiografica dell’autrice, quand’anche non fosse dichiarata, è evidente nello stile narrativo stesso, con questo suo realismo asciutto, da film in bianco e nero, con suggestioni che vagano da Vittorini a Pavese, da Pasolini fino a (più di) qualcosa di Fellini (vedi in particolare il sesto racconto, “L'anniversario del Senatore”). E in effetti la lettura, per me almeno, scorre come una pellicola cinematografica, tanto che pare perfino di sentirlo il frullìo delle griffe provenire dalla cabina di proiezione. Dirò che questo effetto particolare , da solo, mi ha affascinata più di qualsiasi altro elemento, ma questa forse è una suggestione solo mia, perché molto vicina a ciò che faccio per vivere.


Comunque questo retrogusto di cinema è dato anche dal trattamento descrittivo, quasi fotografico, degli ambienti, delle location (una Roma sempre nitida, sovraesposta, anch’essa molto "felliniana"), e soprattutto delle ambientazioni temporali, tutte abilmente retrodatate, con piccoli tocchi e riferimenti (vedi a proposito dei "veicoli", poco sopra) che però immediatamente collocano l’azione in un’epoca ben definita, che non è mai quella attuale, ma fa affidamento alla memoria individuale e collettiva (esempio lampante Craxi e il lancio di monetine nel già citato "Il compleanno del Senatore").

Leggendo l’intero corpus dei racconti si ricava la sensazione che l’autrice “giochi” continuamente una doppia partita, tra la lei qual è ora, una donna matura, nel pieno della vita e della creatività, e la lei di un tempo, che spesso coincide con quello narrativo: una giovanissima studentessa carica di energia, creatività, entusiasmo, desiderio, eccitabilità, curiosità. E la cosa interessante è che il più delle volte è la "lei" ragazza (pur in alcuni casi incarnata in un ragazzo, comunque sia l'incarnazione giovane dei personaggi) a narrare, descrivere, esaminare, destrutturare la "lei" donna.

La "lei" di ieri, qual era e avrebbe potuto/voluto essere, e di conseguenza la "lei" di oggi, direttamente o per interposta persona, quale effettivamente è o è diventata.

E tutto questo è ben rappresentato in quello che, come ho già accennato, considero il migliore di questi peraltro bellissimi racconti: "La Prof".



A questo punto conviene che mi soffermi brevemente su un’altra nota personale, in apparenza futile, ma che, per la peculiarità di questi racconti, non può essere sottaciuta: io sono lesbica (non è del resto una novità per chi mi conosce o frequenta queste pagine), felicemente sposata con una ragazza Irlandese, ovviamente dai focosi capelli rossi. Questo certo non può essere senza conseguenze sul mio personalissimo piacere di lettura, ma anche sul mio grado di immedesimazione nelle vicende narrate. Aggiungo, per soprammercato, che ho orrore del dolore fisico, e quindi di tutto ciò che rientra ad esempio nella categoria del sadomasochismo, rappresentato invece in questi racconti con un gusto compiaciuto e piuttosto insistito, che lungi dal provocarmi reazioni di eccitazione o desiderio mi spingono all'imbarazzo, o addirittura al riso, quando non mi muovono al ribrezzo. Non solo, ma la penetrazione maschile per me è stata sempre assai dolorosa, tanto da sovrastare e inibire il piacere e il desiderio. E tanto da farmi sospettare che la mia omosessualità abbia origine da questo problema, sebbene molti - inclusa la mia compagna - ritengano piuttosto il contrario.


Comunque, di certo questo spiega indirettamente il mio scarso entusiasmo per la letteratura erotica in generale, come dicevo all’inizio, e della quale, con questi pesanti limiti, mi perdo una buona parte dei “giochi e piaceri”. Questo può anche spiegare anche la mia preferenza accordata in pieno solo ad alcuni dei racconti raccolti nel volume, e il mio scarso entusiasmo per altri. Fermo restando che la qualità generale di quasi tutti (salvo uno) sia indiscutibile, come accennato poco sopra.


Per questo mi sono chiesta a lungo se la mia predilezione per “La Prof” sia dovuta al fatto che sia proprio il racconto/resoconto di un’esperienza saffica, per di più nel più classico - e saffico - dei canoni, quello dell’incontro insegnante-allieva. Alla fine sono giunta alla conclusione che no, si tratta DAVVERO del racconto più riuscito della raccolta, anche a prescindere della tematica omosessuale (...e dal titolo non particolarmente azzeccato) e dai miei "gusti" personali. Anzi no, ripensandoci: il racconto è “risolto” proprio perché è così perfettamente integrato nella dinamica omosessuale femminile, e solo una persona di grande sensibilità e che ha vissuto direttamente - anche se temporaneamente, magari solo per esplorarlo - questo mondo può averlo reso in modo così perfetto, con toni così spontanei e con un segno così naturalistico e leggero, estraneo a ogni morbosità.


La bellezza, direi addirittura la poesia di questo racconto, comunque, sta ancora altrove, e precisamente nel sottile intreccio tra biografia e leggenda, tra descrizione quasi diaristica e affabulazione.

Incontrare questa giovanissima studentessa, sbozzata con grande vivezza con tutte le sue ambizioni, le sue illusioni, la sua sfacciataggine esibita e un po’ forzata, la sua indipendenza totale ma da poco conquistata, e le sue incertezze, i suoi dubbi, le sue angosce, è davvero emozionante, soprattutto considerando ciò che l’autrice si premura di avvisarci fin dalle prime righe del testo, nel caso nutrissimo ancora dei dubbi: quella ragazza è lei stessa tanto tempo addietro. E quell’incontro, avvolto in un profumo di mistero e di mito, forse è davvero avvenuto così come è descritto, e non solo nella finzione narrativa. È insomma l’incontro magico tra una ragazza giovanissima e quello che era - ed è - il suo modello ideale, quella donna cui a quel tempo lei avrebbe voluto più somigliare in un proprio progetto ideale del proprio futuro. E la cosa più interessante poi è che si tratta davvero di un innamoramento fulmineo e profondo, ma prima che fisico soprattutto intellettuale, e fin dal primo momento, anche “letterario”.


Perché la letteratura, e la scrittura, ovvero lo strumento stesso della letteratura, attraversano come un fil rouge tutto il racconto, dall’inizio alla fine. Fino all’acme, al climax, con quell’idea straordinaria e spiazzante della scrittura (tracciata a memoria, altro dettaglio importante!) di un testo letterario "nobile" sul corpo nudo, vivo, della donna "matura" che si concede, lasciandosi investire da crescenti onde di piacere, in un quadro inizialmente languido e febbrile quasi da personaggio dannunziano. Solo a questo punto, al culmine di una tensione portata fino quasi al punto di rottura, tutto si scioglie ed erompe in un amplesso travolgente, a calor bianco, quale solo due donne, con tutti i loro sensi liberati da ogni vincolo, da ogni convenienza, da ogni ritrosia, possono sapersi regalare.

Questa rappresentazione di una iniziazione al sesso e alla conoscenza, anzi al sesso COME conoscenza, mi suscita emozioni vivissime e estremamente coinvolgenti. Forse perché io stessa, altra coincidenza “elettiva” (e qui si spiega in fondo il motivo per cui ho sentito l'esigenza di fissare su carta le emozioni suscitate dalla lettura di questo racconto e da tutto il libro), a vent’anni esatti, mentre ero un’imbranata studentessa fuori sede iscritta al primo anno al DAMS a Bologna, ho vissuto, fin quasi nei minimi dettagli, un’esperienza molto simile a quella narrata. (Ma diciamolo, forse OGNI DONNA ha vissuto momenti simili, e questa è la universalità, voluta o improvvisata che sia, di questo racconto).

La mia “donna matura” in realtà non era una “prof”, era una studentessa più “grande”, una musicista, peraltro piuttosto nota che, da adulta, sebbene un po’ più giovane della Marina del racconto, si era iscritta alla facoltà per ampliare i propri orizzonti culturali, e approfondire competenze da spendere nella professione...

Poi, BTW, mille anni dopo, ho finito per sposare, e credo non sia un caso, proprio una musicista di professione. Strani i corsi e ricorsi della vita…



Tornando però al racconto, quello che affascina qui è l’intreccio strettissimo, inestricabile, tra finzione e realtà, tra memoria e leggenda, tra storia personale, analisi puntuale dei personaggi, ambientazione, immaginazione lirica e, soprattutto, il ruolo fondamentale, "agito", dell’atto stesso della scrittura.

Infatti, secondo me, in tutti questi racconti nel loro complesso, e in questo in particolare in modo più scoperto e diretto degli altri, dietro al paravento dei rituali del “genere” in senso lato, e del racconto erotico in particolare, si cela una profonda, esaltante, ma anche tutt’altro che consolatoria riflessione sulla SCRITTURA, di cui la narrazione tutta, e l’azione stessa fino al suo culmine rappresentativo, si fa metafora e apologia.


Non voglio andar oltre, per non togliere troppo all’esperienza della lettura diretta, e aggiungo solo una nota sul finale, apparentemente dimesso e quasi “buttato lì”, che però all'interno di questo quadro trovo architettonicamente assolutamente perfetto.



Non posso comunque rinunciare almeno a un accenno a un altro racconto/gioiello della collezione: si tratta del terzo titolo, nell'ordine di stampa: “Vecchi tempi”.

Anche qui la componente essenziale di memoria e autobiografia si fa sentire con prepotenza, ed è proprio questa la “materia” che l’autrice evidentemente sa dominare meglio, giostrando un sapiente gioco temporale e narrativo tra passato, presente, mito e finzione. Con in più un’escursione nella memoria che si concretizza, nel racconto, in un intensissimo atto di autoerotismo fisico e intellettuale. Anche qui la rappresentazione di epoche e ambienti è giocata con virtuosistica precisione, e anche qui l’obbiettivo preferito dal photographer è un grandangolare cinematografico spinto, dove tutto, dal dettaglio in primissimo piano allo sfondo più lontano è perfettamente a fuoco, mentre la prospettiva è forzata fino al limite della distorsione.


Il finale di questo racconto poi, che a lettura completata può apparire scontato, alla prima lettura irrompe invece a sorpresa, contraddicendo tutte le attese (anticipazioni) fino a quel punto fornite generosamente al lettore, esattamente come accade in un giallo per la soluzione finale con il criminale inesorabilmente smascherato. Normalmente non sono una fanatica no-spoiler (Amleto, o Delitto e Castigo, o Il Processo, o Il pozzo e il pendolo non perdono nulla del loro valore alla lettura anche se ne conosciamo da sempre perfettamente la trama), ma in questo caso particolare il lettore si perderebbe qualcosa, forse qualcosa di essenziale, l'emozione della "sorpresa"...



Infine, non posso evitare di dire qualcosa su quello che per me ė il racconto più debole, meno "risolto", da una parte perché ne ho già accennato e a questo punto so che l’autrice mi appenderebbe al pennone più alto se lasciassi la questione in sospeso; dall’altra perché questo  contribuisce a ulteriormente valutare, in controluce, il valore effettivo della sua scrittura: si tratta dell'ottavo racconto, intitolato “La signora della porta accanto".


Nonostante il bel titolo truffaultiano e la breve premessa dal tono tra l’ironico e il giustificatorio (un po' civettando con il classico espediente del “manoscritto ritrovato", di antica e moderna tradizione, da Boccaccio, a Manzoni, a Eco), questo è forse l’unico racconto del gruppo che sembra contraddire i canoni di stile dell’autrice, così coerentemente e quasi pervicacemente seguiti in tutti gli altri racconti, tanto da suggerire senz’altro una scelta voluta e consapevole. Probabilmente questo deriva dalla volontà di rendere al meglio il tono “popolare” o extra colto implicato dallo spunto iniziale, operazione un po’ azzardata e per certi versi perfino coraggiosa, che però rimane per me con un esito poco convincente.

In altre parole, seppure con una lingua sempre controllatissima e senza cedere a effetti da porno di serie B, quasi impercettibilmente l’intenzione narrativa perde il suo delicato centro di equilibrio, il baricentro si sposta, fino al capovolgimento completo dell'impalcatura: la pulsione erotica e la sua soddisfazione non è più il "pretesto" per una narrazione che in realtà si spinge molto più in profondità, ma al contrario, come avviene nella maggior parte della produzione erotica e pornografica corrente, è il racconto, i fatti descritti e narrati, spesso esili fino ai limiti dell'inconsistenza, che diventa il mero pretesto per “incorniciare” il quadro principale, vale a dire l’atto sessuale nelle sue mille variazioni e dettagli.

Naturalmente l’autrice rimane la scrittrice di razza che è, e anche qui riesce a salvarsi abilmente dalla noia, al di là della scopata e della sega, e dal tono di genere nelle sue manifestazioni più scontate e, alla fine, volgari. Tuttavia, almeno secondo me, il racconto fallisce l'obbiettivo contemporaneamente su entrambi i fronti: troppo intellettuale per essere sinceramente e schiettamente pornografico, troppo schematico, inverosimile e teatrale per essere stimolante dal punto di vista letterario.



Ma, ripeto, si tratta di un’eccezione, e poi in questo “giudizio” - del tutto personale e discutibile - può pesare la mia scarsa conoscenza e attitudine per il genere, come ho cercato di spiegare all’inizio. Invece tutti gli altri racconti, anche se per un motivo o per l’altro non mi convincono in pieno come i due preferiti, rimangono tutti estremamente interessanti, anche al di fuori dell’occhio di bue abbagliante del sesso descritto e agito. Per questo, ad esempio, pur infastidita e disturbata dal contenuto sadomaso, per me più ridicolo che eccitante (io sono quella che se una mi si presenta dentro una tuta di latex nero con una palla rossa ficcata in bocca e penne nel culo scoppio a ridere), ho potuto apprezzare racconti come “Fuorisede” (per l’angolazione in soggettiva e la prospettiva in flash back, due “espedienti” ancora una volta - non a caso - schiettamente cinematografici). Oppure, per altri motivi, i racconti “etero” quasi tradizionali (Liberté, Pacco regalo, L'Aragosta, Allo specchio), diversissimi uno dall'altro, ma dove in quel “quasi” è espressa tutta l’originalità della visione, letteraria prima che di genere, di questa geniale scrittrice che si firma SadAbe, ovvero ...


...No, non rivelerò qui il nome reale dell'autrice: chi cederà alla tentazione e acquisterà il libro lo troverà agevolmente nel risvolto di copertina.

Consiglio comunque a chiunque (insomma, sopra i 18 anni!) di acquistare e leggere questo stimolante e scorrevole libro, che potete trovare distribuito da AMAZON sia in forma cartacea (fortemente consigliata) che di e-book (vergognosamente economico).

Qui sotto il link:




Un abbraccio a tutte e  tutti, un bacio, a presto,


Con amore


Marianna


mercoledì 24 marzo 2021

Non c'è verso


Inizierò trascrivendo una lirica breve breve di Valerio Magrelli:




Non avere da scrivere nulla

dà questa pena infantile, infinita,

di chi non trova alloggio

in un paese straniero.

Si cerca ovunque,

ogni posto è occupato,

provate altrove e intanto

si fa tardi e non c’è verso.

Dove andremo a dormire?


(Valerio Magrelli - “Nature e venature” - 1987)





Spero che il (da me venerato) Maestro mi perdonerà questo furto, ma non altre parole potrebbero meglio esprimere lo struggimento di questo mio lungo silenzio.


Vedo che è quasi un anno ormai (e in sincerità devo dire che pensavo anche di più) che non pubblico nulla in questo mio diario virtuale, che un tempo mi accompagnava quasi giornalmente; ma questo sarebbe nulla: da ben più di un anno non scrivo un solo verso compiuto, solo brevi note, scarabocchi sparsi, incipit troncati a mezzo, parole irrelate, polverizzate che mi passano nella mente scintillando per pochi istanti e poi svaniscono nel nulla, per non più tornare alla luce della memoria.


Nel frattempo la vita, incurante di me e dei miei incubi e sogni, ha continuato il suo corso e il suo confronto con il mondo al di fuori di me, ed eventi bellissimi, e terribili, e drammatici mi hanno coinvolta. Quasi vorrei dire travolta, ma almeno oggi non voglio essere melodrammatica.

Bellissimi, perché sono emigrata (volontariamente, in luoghi che amo) e mi sono unita in matrimonio con l’amore della mia vita. E a questo amore ho dedicato tutti i pensieri e tutte le emozioni. Tutti i desideri e tutte le soddisfazioni. Tutte le ansie e tutte le consolazioni.

Terribili, perché l’ombra nera dell’odio e della reazione si è allungata sul mondo come non era mai accaduto prima, nell’intera mia vita, e solo la sconfitta del fascista americano ha inceppato - spero non sia solo temporaneamente, ma assai lo temo - questa macchina infernale. Una "macchina" perversa che ha ricacciato indietro decenni di conquiste di civiltà date imprudentemente per scontate, rituffando l’occidente in un ciclo storico che pensavamo, da noi, ormai morto e sepolto.

Drammatici, perché come tutti purtroppo sappiamo, da un anno siamo confinati, precariamente, nelle nostre case da un “nemico” esterno mortale e spietato, tuttora imbattuto, e le nostre democrazie pigre e privilegiate per la prima volta dopo decenni si trovano a dover fronteggiare una minaccia così assoluta e totalizzante. E a distanza di un anno dai primi allarmi lo stiamo facendo, nonostante le grandi conquiste tecnologiche per cui ci sentiamo onnipotenti, malissimo. E non parlo tanto dei governi, ma delle popolazioni, incapaci a quanto pare di reagire collettivamente in modo efficace alla minaccia, in alcuni casi addirittura incapaci di vederla, fino al punto di rifiutarsi attivamente di accettarne l’evidenza, sia pure per semplice protezione personale. Pare quasi che stiamo smarrendo il senso di autoconservazione, come masse di topi impazziti che volontariamente si gettano nel precipizio e si lasciano annegare.


Troppo estreme, troppo intense, troppo presenti tutte queste circostanze, troppo vive le emozioni che ne sono scatenate: troppo per poterne scrivere, per poterle spillare come farfalle morte nella vetrina di cristallo della scrittura “creativa”, della prosa o del verso.

Come ho sempre sostenuto per scrivere occorre distacco e studio, impossibile (almeno per me) intessere una trama, una struttura, un manufatto di parole quando l’emozione è ancora troppo viva, imponente, sanguinosa. È possibile scrivere un articolo, un pamphlet, un discorso, un saggio, ma non una architettura sapiente che possa trasmettere non solo i meri fatti, le sensazioni, il pathos, ma l'emozione, direttamente al cuore di chi ascolta/legge, e illuminarne nel contempo almeno un poco il senso.


Questo da solo tuttavia per me è un alibi, se devo essere onesta con me stessa fino in fondo. Io in passato scrivevo con urgenza, ed erano molte pagine, molti versi al giorno, tutti i giorni; molto dovevo eliminare per semplice sovrabbondanza, lasciavo decine di scritti a decantare anche per mesi, pur avendo sempre qualcosa da pubblicare qui, con regolarità, almeno una volta a settimana.

È questa “urgenza”, in realtà, ad essersi spenta, come la fiamma di un lumino dei morti, che all'esaurirsi della paraffina che l’alimenta tremola, vibra, e infine, con un’ultimo guizzo che pare uno spasmo, cessa di mandar luce.


Dunque si è esaurita la vena, come si diceva un tempo con un curioso linguaggio minerario? Può essere, per anni ho potuto continuare a scavare, sempre più in profondità, e ne ho tratto del minerale, non so se di qualche valore, ma sempre abbondante, e sempre pensando che avrei potuto continuare ad estrarlo indefinitamente.

Invece, all’improvviso, letteralmente da un giorno all’altro, mi sono trovata tra le mani solo argilla, e sabbia, e sassi.


O meglio, forse quello stesso materiale, pur continuando a riempire la vanga immutato, ha iniziato a sembrarmi del tutto privo di valore, dozzinale, superfluo. E mi sono fermata.

E dopo che mi sono fermata, mi sono girata finalmente all’indietro, verso il grosso cumulo di materiali estratti e depositati in tutti questi anni, i molti testi scritti e anche, degnamente o meno, pubblicati. E con angoscia non ho trovato nulla o quasi nulla di tutto quel materiale, a una rilettura più accurata e distaccata, che non mi venisse a noia, che non mi sembrasse ingenuo, peggio, infantile, peggio, dilettantesco, peggio, scurrile, ciarpame da premio letterario di terza categoria, nonostante il tanto lavoro e studio profuso lungo tutti quegli stessi anni.

Nulla che fosse davvero "urgente", davvero necessario.

Non solo la vena si era dunque esaurita, ma ciò che credevo fosse oro ora lo sentivo come non si trattasse che di torba? Che altro avrei dovuto fare se non fermarmi?


. . .


Che accadrà ora?

Non lo so veramente, ma so che vagamente, ancora tenue, lontano, sento riaccendersi un timido calore, un vestigio vago di quella antica “urgenza”, alcune parole hanno ripreso a scorrere nella mia mente, a tentare di organizzarsi in versi: sapete, metrica, rima, contenuto, metafora, pensiero… E a depositarsi sulla carta.


Non è un caso, comunque: in tutto questo tempo non ho mai smesso di leggere, di studiare, la scrittura in versi è rimasta sempre la regina della mia mente e della mia giornata, anche se il confronto con i Maestri, maestri per me “nuovi”, come il Magrelli che ho citato all’inizio, come Penna, DeAngelis, Pusterla, è diventato acutissimo e insostenibile. Tuttavia, mi rendo conto come questo che, pur essendo ferma la scrittura “militante”,  sto ancora “lavorando”, non mi sono mai davvero fermata, sto ancora cercando una mia cifra, adeguata al dramma e alla commedia che sto vivendo, ora che le grandi felicità e le grandi angosce si stanno piano piano depositando sul fondo, ammassando sedimenti, ancora cedevoli, motosi, viscosi, ma finalmente quieti, vicini ad esaurire quella turbolenza accecante che impediva di vedere e distinguere forme e pensieri in una foschia indistinta, onnipresente, soffocante.


Forse un giorno, un giorno forse anche vicino, qualche parola tornerà a depositarsi nella mente, e da qui sulla tastiera, o sulla carta, e da qui su questi fogli, e da qui a voi lettori.

So che sarà qualcosa di molto più meditato di un tempo, so che non saranno più componimenti fluviali, di cui il mio debole talento stentava a mantenere il controllo, lo so perché ora ogni singola parola mi costa fatica, sofferenza, sento di doverla domare, fermare, capire fino in fondo. So che il mio dominio sulla parola non è totale, come credevo un tempo, e non lo è mai stato. Anzi sento che, all’opposto, è la parola a dominare il senso. È solo la parola, indipendentemente da noi, a poter dare un senso al senso. Noi possiamo soltanto trascriverla. Trasfigurarla in caratteri e renderla decifrabile al mondo fuori di noi. Se questa nuova coscienza si radicherà nel mio istinto, forse allora qualcosa riprenderà a scorrere. E non solo qui, ma nella mia vita stessa: perché la scrittura, come la lettura, è la mia vita.



Non so dunque, ora, cosa accadrà, o se mai accadrà qualcosa. Ma già il fatto che io sia qui, oggi, a confidarvi queste cose è un primo segnale che, forse, la vena non è del tutto esaurita, che, più in profondità, racchiusa dentro rocce più dure e inaccessibili, c’è ancora qualcosa, per me, da portare alla luce.


Mi permetto di concludere, provvisoriamente, con un’altra “venatura” di Magrelli, dallo stesso libro:



Queste note nei giorni

sono briciole

per ritrovare il sentiero

lungo il bosco degli anni.

Ma verranno i fringuelli

a cancellare le tracce,

a beccare molliche,

a seguire la pista,

a mangiare la strada,

a divorarti.


(Valerio Magrelli - “Nature e venature” - 1987)


Quanto disperante era la prima, tanto questa appare benaugurante, perché possa accadere che possiate trovare ancora qui le mie briciole sparse da beccare, e me stessa, smarrita, da “divorare”.



Con amore

M.P.




















domenica 12 aprile 2020

La parola, con pena, muore


Amiche care, amici,
non me la sento di pubblicare nulla di “pasquale”, in questi giorni, no.
Lo spirito è troppo greve, vi pesano migliaia di morti. Diciannovemilaquattrocentosessatnotto, al momento in cui scrivo queste note. C’è di certo più motivo di lutto che di festa.

Invece, mi sono imbattuta in questa sestina, di cui non ho conservato nemmeno la data, ma penso che risalga anch’essa, come le precedenti, a circa un anno fa, dal momento che era annotata nello stesso taccuino.

Il senso di non sentire più come adeguata a ciò che al mondo accade la mia modestissima parola mi era già allora ben evidente. Una crisi che è continuata, e mi accompagna da tempo, e ora è davvero esplosa.
Mentre prima il pensiero fluiva quasi senza sforzo sulla carta, e non avevo poi altro da fare che selezionare il degno dal mediocre, ora ogni singola parola mi costa uno sforzo, direi perfino un dolore, quasi fisico. Il mio antico, eterno dubbio sul “senso della poesia”, se non di tutta di certo della mia, è riemerso con prepotenza, è diventato ineludibile, dominante, e praticamente con esso ingaggio una lotta strenua tutte le volte che mi siedo all’apparecchio (o sul taccuino) e tento di rispondere all’intima esigenza, pur rimasta costante, di scrivere. Una lotta che sempre con maggiore difficoltà e con sempre minor frequenza riesco temporaneamente – solo temporaneamente – a vincere.

E forse soltanto adesso mi avvicino a comprendere qual è il vero dramma, il vero limite, il più autentico disorientamento di chi ha l’immensa arroganza di "scrivere". E capisco come solamente se si è sostenuti da una reale, insopprimibile NECESSITÀ ci è concesso di continuare a farlo.

Con amore
M.P.



La parola, con pena, muore.


La parola, con pena, muore.
Nulla è tanto indicibile quanto
ciò che davvero accade.
Hanno levato ai poeti ogni diritto
a scrivere a mani inermi di ciò
che duole, o esalta il cuore.

Ogni segno tracciato sulla carta
è uno squarcio indecifrabile,
svuotato, cavo,
ogni battuta sulla tastiera
è solo uno schiocco secco
che vorrebbe portar luce,

e invece
conduce a nuova disperazione.

Intanto, i portatori di veleno,
i dioscuri del nulla, gli ignari
s’ergono sul mondo, digrignando
tra i denti ossa e calpestando
libri, fiori, carcasse di bambini
gonfie d’acqua putrida e immonda.

Intanto, per adesso, essi trionfano:
s’espandono e diffondono
il morbo, suppurando le ferite
e lacerando il corpo
in piccoli brani di carne morta.
Ognuno ha chi odiare, ora.

E la parola, con pena immensa,
qui muore.


Irlanda, 2019
Marianna Piani



(Per chi volesse, la mia ultima raccolta "Sillabario lirico e sentimentale" (ISBN 978-0-244-18660-9) è disponibile su Amazon, sia in versione tradizionale QUI che eBook QUI)

.



domenica 5 aprile 2020

Ciò che non farò domani



Amiche care, amici,
Mentre passiamo questi lunghi giorni chiuse/i in casa (anche qui in Irlanda avviene la stessa cosa adesso, il mondo si è improvvisamente come piegato su sé stesso per resistere alla violenta bufera), ho ripreso questa lirica, scritta giusto un anno fa, per la consueta revisione prima di pubblicarla qui per voi.

A quel tempo, se qualcuno, come lo “Spirito del Natale” di Dickens – diciamo un “Ghost of the Spring Yet to Come” – mi avesse trascinata avanti nel tempo e mi avesse fatto assistere a quello che sta succedendo davvero ora, in questi giorni surreali, non avrei mai potuto credere ai miei stessi occhi, mai!
Eppure, questi versi messi giù così tanto tempo fa, in ben altra temperie emotiva, stranamente mi appaiono come se avessi potuto scriverli proprio ora, per quanto mi sembrano rispecchiare fedelmente il mio stato d’animo attuale.
La voglia di lasciarmi tutto alle spalle, angosce, paure, dolori, e di immergermi nella serenità indifesa della mia compagna, che proprio qui e ora, mentre sto scrivendo queste note, sta riposando sul letto dietro le mie spalle, e – semplicemente – consegnarmi nuda, subito, al suo amore.

Ma non è mattino ora, siamo alla fine del giorno, piove, e un vento tutto irlandese si fa sentire contro le finestre chiuse come un brontolio ostinato e profondo.
Forse è proprio lui, lo Spirito della Primavera Passata, che viene a trovarmi. Forse mi vuol far capire che anch’io ho colpe, che anch’io devo espiare...


Vi lascio alla lettura, se vorrete, con amore

M.P.




Ciò che non farò domani



Domani
non mi sveglierò al chiacchiericcio
del notiziario, non ascolterò gli allarmi
di quelle voci impostate e calme
che annunciano probabili
intollerabili sconquassi.

Non sfoglierò in rete
improperi irosi, singulti
d’odio e insulti senza freni,
non leggerò a me dirette
minacce di bestie cieche, e stupri
putridi di gruppo, o solitari.

Non imbraccerò un’arma
per scendere nelle strade
contro un nemico infame,
non attenterò alla vita del tiranno
prima che sia troppo tardi,
come vorrei, domani.

Invece
crederò che sia un tempo sano,
un giorno come un altro nel calendario,
mi convincerò che la guerra cieca
alla ragione non sia mai stata
proclamata, né la follia mai data.

Domani
non ti desterò all’alba con un grido
sfuggito all’incubo distorto
da una memoria vaga, ma palpabile, reale:
non ti dirò del mio malessere,
della nausea acuta che mi pervade.

Ti lascerò riposare, immersa
nel tuo sereno diletto, nella tua assenza
da ogni strepito del male,
nella tua innocenza ignara: per quella,
un po’ a sorpresa, quell’alba stessa
ti vorrò amare.


Marianna Piani
Irlanda, primavera 2019


(Per chi volesse, la mia ultima raccolta "Sillabario lirico e sentimentale" (ISBN 978-0-244-18660-9) è disponibile su Amazon, sia in versione tradizionale QUI che eBook QUI)



.