«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

Le Solitudini e i Luoghi


Amiche care, amici,

mi piace, di quando in quando, comporre quello che si potrebbe chiamare un "ciclo", o una collana, cioè una serie di composizioni nate quasi di seguito una all'altra e legate da un filo sottile non solo di coincidenza temporale, ma anche per ragioni tematiche, e, perché no, puramente formali.
L'ho fatto varie volte in passato, e qui potete trovare pubblicate diverse di queste collezioni (l'ultima in ordine di tempo è stata "Epifanie e Cosmogonie", finita di pubblicare ai primi di Aprile di quest'anno).

In data quasi coincidente, iniziai a scrivere una nuova collezione, dedicata principalmente alla forma poetica da me preferita in assoluto, il sonetto.
Io non parto mai dalla forma: al momento in cui una composizione urge di essere scritta, lascio fluire le parole e i versi, e sono essi stessi alla fine ad organizzarsi, senza quasi un mio intervento "cosciente", nella forma che risulterà poi quella definitiva.
Intendiamoci, non parlo qui di "verso libero", che personalmente ritengo largamente superato. La "forma poetica" per me è l'equivalente della tecnica che consente all'artista, in ogni pratica artistica, di esprimersi: la capacità di mescere e stendere i colori sulla tela, o la maestria nel padroneggiare uno strumento musicale e la scrittura sul pentagramma, o la conoscenza approfondita di uno strumento di CGI. Il "contenuto" poi può essere astratto, informale, concettuale, d'avanguardia, ma non può prescindere da una tecnica  realizzativa o esecutiva raffinata da anni di esercizio e di lavoro, senza la quale ne risulterebbe solo un guazzabuglio informe, privo di possibilità di comunicare alcunché, alcuna emozione, a nessuno.
Ogni composizione poetica, intendo dire, per me "contiene e custodisce" la sua forma, un poco come per Michelangelo ogni blocco di marmo "conteneva e custodiva" dentro di sé la figura, la forma organica che l'artista, a suo dire, si limitava a liberare.

In questo caso invece ho lasciato che per una volta fosse la "forma" stessa a generare l'ispirazione, desideravo esplicitamente comporre un omaggio a questa nobilissima e antica forma poetica, che nella prosodia Italiana rimane forse la più importante e largamente praticata, dalle origini ai nostri giorni. Tradizionalmente il sonetto è la forma della poesia d'amore quasi per definizione. Io invece ho voluto creare un incontro tra questa forma armonica, equilibratissima, elegante e i luoghi in cui la mia memoria e la mia mente amano indugiare.

Naturalmente, caratteristica di ogni operazione del genere è che ogni singola perla della collana ha un suo ruolo preciso, una sua solidità e compiutezza in sé, ma acquista il suo vero senso e significato solo nel momento in cui si presenta nella sua interezza, come una collana appunto.

Si tratta dunque di sonetti in forma (quasi) classica, alcuni "caudati", con schema rimico variabile, e in numero totale di 14 (e anche questo numero, come sapete bene, non è casuale, ma rinvia alla stessa forma), e un poco alla maniera inglese, senza interruzioni strofiche.
Vi riassumo qui in indice i titoli, per darvi già da ora l'idea dell'insieme:

    I - Mare
    II - Lago
    III - Cielo
    IV - Foresta
    V - Pioggia
    VI - Notte
    VII - Giaciglio
    VIII - Vetta
    IX - Città
    X - Thanatos
    XI - Femina
    XII - Eros
    XIII - Astra
    XIV - Poesia


M.P.




Le solitudini e i luoghi



I
Mare


Come corre leggero il maestrale
sopra le creste piumate dell'onde,
e la amara visione mi confonde
eretta, lì, sulle labbra del mare.
Esausta di sole, come sul ponte
d'una nave esausta il nocchiero,
lo sguardo si spinge lontano, fiero
va oltre la linea dell'orizzonte
Scuoto i capelli agitati, ombrosi,
li lascio fluire fin sulle spalle,
e lascio ai piedi fluire i marosi.
Contemplo le nubi che chiamo sorelle,
ammiro i gabbiani volare da soli,
apro le ali - e miro alle stelle.


II
Lago


Ondeggia il remo, e ondeggia il battello,
ondeggia la Rocca nel proprio riflesso,
ondeggia l'airone, raccolto in sé stesso,
veleggia il pensiero a volo d'uccello.
Schiudo gli occhi e mi arrendo, adesso,
alla visione dell'acque distese
a valle, appagate, tutte comprese
nel loro sospiro lacustre, sommesso.
Una lieve foschia vela il sole
che nasce indeciso dietro le alture,
così vela il ricordo le mie parole.
Osservo il villaggio e le sue mura
di pietra e di vita vetusta, l'ardore
di questa quiete impietrita mi rassicura.


III
Cielo


Foglie d'erba come un umido bacio
m'avviluppano le spalle, e le braccia,
una formica sul piede va a caccia
dei suoi semini, o del proprio coraggio.
Sotto di me sento premere il maggio
orgoglioso di vita e l'onda verde
della giovinezza che si disperde
nel soffio di brezza che spira sul poggio.
E mi sovrasta una volta di luce
così cobalto che quasi m'opprime,
e il volo bizzarro d'un corvo conduce
lo sguardo e il pensiero fino al confine
del cielo col prato, fino alla voce
di un canto che va già oltre la fine.


IV
Foresta


Il sentiero s'insinua tra le betulle
e le felci, così il mio cuore procede
passo passo, sorretto dalla fede
nella propria saldezza, sale sulle
memorie come il torrente che erode
pietra su pietra, sasso dopo sasso,
il crudo granito; ma ora, e adesso,
attorno a me è l'abetaia che esplode.
Tra i rami lampeggia un pallido sole,
pulviscolo fine fluttua nei raggi,
un picchio isolato chiama l'amore.
Io che svago da tempo in quei paraggi
tra amore inespresso e amore negato,
attendo che il folto si spalanchi al creato.


V
Pioggia


Battito lieve sul vetro e sull'imposta,
le vetture tracciano scie fruscianti
di pulviscolo e schiuma, costanti
passaggi di anime spese, senza sosta.
Quella ragazza, laggiù sulla via
si ripara sotto un pergolato,
gelata, la pioggia sull'incarnato
del bel viso scava malinconia.
I sandaletti leggeri non sono
adeguati a guadare da quel lato
di strada fino al portone vicino
di casa, e alla salvezza. Indugia:
un poco piangendo sulla sua sorte
d'amata, un poco lasciando la pioggia
scendere adagio sulle bianche gote.
Lei e quella strada, deserte e immote.


VI
Notte


Una nebbia candida, opalescente,
come uno scialle di seta e di neve
avvolge la piazza, e il viale, e imbeve
lo sguardo e il respiro di umida quiete.
La notte è già greve, eppure v'è luce
più che un coltivo a maggio, o così pare.
Ogni suono si scorpora e muore
in questo strano fulgore, e ogni voce.
Sostare in mezzo a quel nulla apparente
ad ascoltare il silenzio che sprofonda
il mondo in un torpore incosciente.
Lasciare sorgere il canto che esonda
dal cuore pervaso, in quest'aura dolente,
da un ardente brama di pace - e d'ombra.


VII
Giaciglio


Lei, stremata dalla amara giornata
sguscia dall'abito nero, si lascia
precipitare nel letto avvinghiata
all'oblio, ma un disagio le cresce
dall'anima fino a lederle il cuore:
non è più lei ora, la donna ferita,
su quelle coltri, è solo il dolore
che oltraggia la sua mente sfinita.
Quel vuoto che le nega il calore,
quello spazio deserto al suo fianco,
quel desolato silenzioso candore
di lino, i guanciali ornati a ricamo
senza quel volto su di essi posato,
è come sentirsi morire pian piano.


VIII
Vetta


Incantata, la giovane mente che muove
il giovane cuore, contempla l'ardita via
ancora inviolata, com'è inviolato il suo ardore;
la donna che ospita il cuore adagio s'avvia.
Respirare costa fatica, e muovere i passi
su quelle pietre taglienti, in bilico al cielo,
è un greve cimento, e forse è folle provarsi
ad oltrepassare sé stesse, oltre il velo
che acceca gli occhi nell'aria più e più rarefatta,
con i piedi che si fanno più grevi dei massi,
e il sole che attende spietato la sua disfatta.
Ma per quanto sia aspra e dolorosa la strada
ciò che attende la donna, nonostante l'opporsi
di ogni ragione, è quella spoglia e rada
vetta, pura e affilata, vergine spada.


IX
Città


Ora mi fermo. A lungo ho vagato
perdendomi in queste vie affollate.
A lungo, ostinatamente ho cercato
le ultime tracce di me stessa, appannate.
Svanito il cuore, svanita la mente,
sola rimane di me sul selciato
l'ombra violacea, e l'evanescente
figura riflessa sul cristallo dorato
delle vetrine, tra ninnoli e oggetti,
visioni di una bellezza apparente,
seduzione di vanità e di effetti.
Ritornerò al mio mondo, finalmente,
nella inquieta dolcezza dei miei affetti,
via da questo vuoto, da questo niente.


X
Thanatos


Accadde a Marzo in un qalche mattino:
con tedio oscillavo appesa alla barra
della vettura, a Cadorna, o vicino
Cairoli, e qui fummo fatti scendere a terra.
Presto sapemmo che un ardente destino
si era compiuto sui binari, più avanti.
Era giunto puntuale il primo treno,
a falciare una vita e i suoi sogni infranti.
Molti andarono in fretta in cerca d'un mezzo,
altri sbuffando indugiarono in banchina,
tutti quanti percepirono il prezzo
d'una morte così tanto vicina.
Io per un istante ammirai il disprezzo
di quella ragazza in faccia alla fine.


XI
Femina


Mi passò accanto, la fiera figura
eretta, avrei detto quasi altezzosa,
senza degnarmi uno sguardo, la pura
bellezza d'una sorgente radiosa.
La chioma era una fiammata d'aurora,
le vaste pupille erano distese
di vergine neve, la fronte più chiara
delle messi di giugno, palese
il riserbo nell'imbronciato sorriso,
prezioso in quelle labbra rubino
come lapilli di lava sul viso.
L'adorai, sognai in quel seno divino
d'affogare il respiro, e in quel paradiso
bramai immolare il mio intero destino.


XII
Eros


E una dolce sera apristi, inattesa,
a me il tuo fiore, il giglio, la rosa
orgogliosa, preziosa, odorosa,
e io, ammaliata, fui subito presa.
In quei petali immersi, inebriato
il mio bacio, come un'ape, cercando
il tuo nettare d'oro, nel profondo
segreto, e lo bevvi d'un solo fiato.
Le tue mani vibrarono febbrili
sul mio dorso come ali di cigno,
o di angelo umano, così gentili
da parere generate da un sogno;
m'avvinsero le tue spire, fatali,
e il mio cuore serrasti nel tuo scrigno.


XIII
Astra


Venne, in fine, la notte, e vennero i sogni
come un pulviscolo mobile sopra i prati
le alture le case i colli gli amanti e ogni
fugace carezza di amori consumati
oppure solo sognati. Vennero stelle
a raccolta, come balenanti fanciulle
a un ballo di debuttanti, con le più belle
a far da corona alla luna, e sulle
colline scure gli ultimi fuochi del giorno
a far delle nubi mura d'un incantato
maniero, e delle cime dei pini intorno
arditi pennoni. Sto supina sul prato
contemplando quell'arco di cielo adorno
di falene lucenti, così, in quel creato
mi perdo, piccolo corpo nell'infinito.


XIV
Poesia


Giunge dal nulla, inspiegata scintilla,
oppure è la voce della follia,
oppure è l'effetto di qualche stilla
di farmaco, o droga, o della mia
solitaria desolazione: viene,
nuda si posa sulla nuda mia spalla,
con levità prodigiosa, contiene
l'intero Universo, come una farfalla.
Non mi soccorre, e non mi consola,
in nulla lenisce il mio dolore,
non mi rende il suo canto meno sola.
Giunge, e m'inonda, con quieto furore,
a pena colgo parola a parola
- fiotto di vita, e lo intaglio nel cuore.


Marianna Piani
Milano, 1—21 Marzo 2016

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