«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

lunedì 27 gennaio 2020

Le ceneri di Aushwitz






Memoria e sopravvivenza, empatia e disperazione


Da anni questa per me è una "giornata particolare", per riprendere il titolo di un film fondamentale del grande Ettore Scola.
Come nel film citato, gli echi di una piazza mediatica mi raggiungono qui, nel mio rifugio un po’ appartato, ed io mi sento spinta a esaminare la mia coscienza, ciò che ho fatto o non fatto della mia esistenza, una vita in fondo così fortunata e serena, mentre quella di miei antenati in quegli anni terribili era minacciata da un mostro d’odio, paura e viltà in apparenza inconcepibile per qualsiasi mente dotata della pur minima traccia di umanità.

In questi ultimi anni, tuttavia, hanno iniziato a giungermi dalla piazza echi diversi, stridenti, cupi, oscuramente minacciosi come i cumulonembi che si addensano prima dello scatenarsi di una tempesta.
Gradualmente, quasi impercettibilmente, la “Memoria” cui questa giornata è dedicata, si è trasformata in preoccupazione, ansia, paura. Qualcosa ha iniziato a mutare a velocità crescente, lì fuori, qualcosa che mi sconvolge dall’interno come le scosse premonitrici di un sisma, la cui violenza distruttiva al momento non è possibile prevedere, ma che che sappiamo, proprio dalla Storia, che potrebbe anche essere catastrofica, e questa volta forse senza ritorno.

Le riflessioni si sono fatte così via via più grevi, più febbrili, più dolorose. Che cosa ha provocato questi movimenti tellurici che sembrano mirare ad una negazione della vita stessa dell’uomo dall'uomo? Ma, soprattutto, com’è possibile che, a cent’anni dall’innesco di quel processo di degrado e di estrema disumanizzazione che ha portato infine alla morte del mostro stesso assieme a milioni di innocenti, vi siano persone che seguono, riprendono, propugnano ancora questo delirio?

Di recente più di qualcuno, in particolare situato proprio tra le fila di quella schiera di estrema destra che si sta progressivamente attivando e perfino dilagando un po’ in tutto mondo occidentale, non a caso ha posto il sigillo del negazionismo decretando che non vi fosse più senso nella divisione politica tra destra e sinistra, che essi pretenderebbero superata dai tempi. Che nazismo e fascismo siano prodotti di una gigantesca mistificazione storica. Che il male e la disumanità non sia che una invenzione di chi tale male e disumanità ha subìto. 
Si tratta ovviamente di una visione criminalmente distorta e delirante della realtà fattuale. E proprio ora, mentre tale contrapposizione raggiunge al contrario una vastità e una ferocia nuova e del tutto imprevista e imprevedibile nei suoi possibili sbocchi, tale narrazione equivale a un tentativo ulteriore di cancellare il senso stesso della Storia.

No, chiamiamole come vogliamo, ma la battaglia in corso è proprio tra una visione dell’umanità in senso illuministico, aperto, di speranza e di libertà, di inclusione e di collaborazione, e una con la testa rivolta all’indietro, come le schiere dantesche degli impostori della quarta bolgia, puntata a una rivincita della peggiore espressione di disumanità che la Storia abbia mai prodotto, e tutta mirata, con varie gradazioni dall'ipocrita al fanatico, all’esclusione, all’isolamento, alla paura, all’odio.
Ma qual è il fondamento primo, profondo, di questa estrema diversità di visione, tra individui, esseri umani, in apparenza così simili tra loro? E quale è l’essenzialità di questa scelta, questo bivio che fa schierare, in particolari momenti storici di particolare crisi e pericolo, persone dotate in apparenza di analoghe facoltà intellettive, culturali, emotive su fronti così radicalmente contrapposti?
E infine cos’è che rende una scelta giusta, etica, produttiva, evolutiva, di salvezza, e un'altra  sbagliata, mortale, immorale, autodistruttiva, di disperazione esistenziale?

Io credo che si tratti, alla base di tutto, di una questione di empatia.

Vale a dire di quella facoltà, così peculiare delle specie umana, di saper partecipare al dolore, al disagio, allo strazio - e di converso alla gioia, alla serenità, alla nobiltà - di un essere umano diverso da sé stessi.

Esistono esseri che sembrano incapaci di provare empatia, per i quali ciò che conta, come per un istinto atavico, belluino, è la LORO persona, la LORO unicità, la LORO vita, il LORO tornaconto, a scapito di quella di ogni altro, e comunque di chiunque sia fuori dalla propria ristretta cerchia familiare, dalla propria tribù, dalla propria isola “felice”, più o meno angusta che tale gabbia sia.
Sono coloro che si parcheggiano in seconda fila di traverso, oppure sul marciapiede, perché non riescono, e nemmeno vogliono, immaginarsi nei panni dell’altro automobilista costretto a manovrare per poter passare, oppure del portatore di handicap che deve scendere in mezzo al traffico per poter evitare l’ostacolo da loro creato.
E, gradino dopo gradino discendendo nell’ignominia, sono coloro che non sanno immaginarsi al posto dell’immigrato costretto a notti di gelo e fame in mare, perché non riescono né vogliono considerare/accettare l’umanità in un “prossimo” che sia, anche di poco, diverso da loro.
Così come tali furono coloro che guardavano serenamente il fumo alzarsi dai crematori mentre occupavano le case di proprietari depredati di ogni avere e dignità umana solo perché appartenenti a una pretesa "razza inferiore".
O infine, nell'ultimo girone più vicino a Satana, luogo perfettamente logico e conseguente nell'architettura del male, coloro che attivamente li depredavano, torturavano e infine sterminavano, in massa, a milioni, uomini, donne, vecchi, bambini, lattanti, senza distinzione.

Esistono dunque persone incapaci di empatia, altre al contrario che non riescono a non sentire sulla propria pelle, sulla propria esistenza l’offesa, le ferite, le ingiustizie inferte ad altri, come se fossero inferte a loro stesse. E, badate, non si tratta di vocazione alla santità, non si tratta di eroismo, ma di semplice, elementare coscienza della propria stessa fragilità.
Questo è il grande, profondissimo, incolmabile solco che divide l’umanità in certi particolari circostanze, in momenti storici in cui la crisi di valori e di pensiero investe una società complessa ed evoluta come la nostra (e come fu ad esempio quella della Germania prima del Nazismo, una delle culle più eminenti della Grande Cultura Europea).
Non è questione di destra e sinistra, questa: è una questione di giustizia o ingiustizia, di carità o individualismo, di speranza nel futuro o di condanna alla propria autodistruzione.

Perché alla fine l’essere umano è “condannato” all’empatia, per semplice spirito di sopravvivenza di una specie così eminentemente sociale, e dotata di autocoscienza, qual è la nostra.
La negazione di questa essenziale pulsione nega la stessa umanità dell’essere umano, e non solo dell’altro, del diverso, del “nemico”, ma specularmente anche di sé stessi. L’insensibilità cieca nei confronti dell’umanità del deportato gassato e incenerito nei campi ha alla fine, per fortuna, portato alla cancellazione da ogni consesso umano dei carnefici. Dico per fortuna perché l’unica alternativa a questa macabra ordalia finale sarebbe stata l’auto-estinzione dell’intera specie.

Questo è ciò che la memoria di questi fatti ci insegna, come un punto fermo fissato PER SEMPRE.
Questo segna oggi il limite di ciò che non potremo mai permetterci di valicare ancora.
Ed è per questo che non possiamo rimanere inerti di fronte ai ritorni di questa letale malattia autoimmune che a ondate investe le società, riportando intere masse all’egoismo più cieco e primordiale e togliendo loro la capacità di provare empatia, e di conseguenza, come dicevo, distruggere senza scampo il senso stesso della propria sopravvivenza specifica nell’economia dell’evoluzione terrestre.
Il Male è banale, e per questo si tende a sottovalutarlo, per pigrizia, per ignavia, per stupidità, per distrazione. E quando esso finalmente agisce, è ormai tardi per poterlo contrastare.
La Memoria è l’unica arma efficace che abbiamo a portata di mano per smascherarne l’orrido che cela, e neutralizzarlo prima che possa agire.

Alla fine, la Memoria che commemoriamo in questo giorno, ma che ci deve illuminare la mente in ogni giorno della nostra vita, non è altro che l’istinto di Sopravvivenza della nostra umanità.
La Memoria non è un rituale, laico o religioso, di appartenenza e di richiamo a un passato a noi remoto, estraneo, ormai consumato e irripetibile. La Memoria - specialmente oggi - è uno stato permanente di lotta e di resistenza.

Forse mai come oggi, dopo 70 anni da Aushwitz, è importante tenere viva questa Memoria, come antidoto all'individualismo suicida, e arma carica di difesa per la nostra insorgenza contro il Male.


(Come chi di voi ha la bontà di seguirmi qui si sarà accorto, mi sono presa un lungo periodo di pausa nella pubblicazione delle mie poesie, forse il più lungo e sofferto da quando ho iniziato questa attività con voi, perché frenata da una forma di pudore, di ritegno di fronte a una situazione che sento molto dolorosamente e con angoscia. Come affermava qualcuno, è difficile, dopo Aushwitz, fare poesia. È difficile trovare il senso di questo “strumento di conoscenza” così profondo, ma allo stesso tempo così evanescente, in tempi di crisi così profonda, nello scatenarsi di forze così oscure e pericolose.
Tuttavia la poesia si impone anche al di là delle mie intenzioni, del mio disagio. Ha continuato a fluire, in qualche modo, anche se ne ho momentaneamente sospeso la “pubblicazione” regolare. Non appena sarò riuscita a fare chiarezza per la mia sensibilità e la mia coscienza, riprenderò a pubblicare. La mancanza di questo mio ponte di comunicazione con il mondo, con voi, si sta facendo sentire, con crescente urgenza. E solo l’urgenza, non la consuetudine, può giustificare questa grande espressione di narcisismo che è la Poesia agita ed esibita…)

Con amore, a presto, spero, molto presto

Marianna 



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