«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

mercoledì 24 marzo 2021

Non c'è verso


Inizierò trascrivendo una lirica breve breve di Valerio Magrelli:




Non avere da scrivere nulla

dà questa pena infantile, infinita,

di chi non trova alloggio

in un paese straniero.

Si cerca ovunque,

ogni posto è occupato,

provate altrove e intanto

si fa tardi e non c’è verso.

Dove andremo a dormire?


(Valerio Magrelli - “Nature e venature” - 1987)





Spero che il (da me venerato) Maestro mi perdonerà questo furto, ma non altre parole potrebbero meglio esprimere lo struggimento di questo mio lungo silenzio.


Vedo che è quasi un anno ormai (e in sincerità devo dire che pensavo anche di più) che non pubblico nulla in questo mio diario virtuale, che un tempo mi accompagnava quasi giornalmente; ma questo sarebbe nulla: da ben più di un anno non scrivo un solo verso compiuto, solo brevi note, scarabocchi sparsi, incipit troncati a mezzo, parole irrelate, polverizzate che mi passano nella mente scintillando per pochi istanti e poi svaniscono nel nulla, per non più tornare alla luce della memoria.


Nel frattempo la vita, incurante di me e dei miei incubi e sogni, ha continuato il suo corso e il suo confronto con il mondo al di fuori di me, ed eventi bellissimi, e terribili, e drammatici mi hanno coinvolta. Quasi vorrei dire travolta, ma almeno oggi non voglio essere melodrammatica.

Bellissimi, perché sono emigrata (volontariamente, in luoghi che amo) e mi sono unita in matrimonio con l’amore della mia vita. E a questo amore ho dedicato tutti i pensieri e tutte le emozioni. Tutti i desideri e tutte le soddisfazioni. Tutte le ansie e tutte le consolazioni.

Terribili, perché l’ombra nera dell’odio e della reazione si è allungata sul mondo come non era mai accaduto prima, nell’intera mia vita, e solo la sconfitta del fascista americano ha inceppato - spero non sia solo temporaneamente, ma assai lo temo - questa macchina infernale. Una "macchina" perversa che ha ricacciato indietro decenni di conquiste di civiltà date imprudentemente per scontate, rituffando l’occidente in un ciclo storico che pensavamo, da noi, ormai morto e sepolto.

Drammatici, perché come tutti purtroppo sappiamo, da un anno siamo confinati, precariamente, nelle nostre case da un “nemico” esterno mortale e spietato, tuttora imbattuto, e le nostre democrazie pigre e privilegiate per la prima volta dopo decenni si trovano a dover fronteggiare una minaccia così assoluta e totalizzante. E a distanza di un anno dai primi allarmi lo stiamo facendo, nonostante le grandi conquiste tecnologiche per cui ci sentiamo onnipotenti, malissimo. E non parlo tanto dei governi, ma delle popolazioni, incapaci a quanto pare di reagire collettivamente in modo efficace alla minaccia, in alcuni casi addirittura incapaci di vederla, fino al punto di rifiutarsi attivamente di accettarne l’evidenza, sia pure per semplice protezione personale. Pare quasi che stiamo smarrendo il senso di autoconservazione, come masse di topi impazziti che volontariamente si gettano nel precipizio e si lasciano annegare.


Troppo estreme, troppo intense, troppo presenti tutte queste circostanze, troppo vive le emozioni che ne sono scatenate: troppo per poterne scrivere, per poterle spillare come farfalle morte nella vetrina di cristallo della scrittura “creativa”, della prosa o del verso.

Come ho sempre sostenuto per scrivere occorre distacco e studio, impossibile (almeno per me) intessere una trama, una struttura, un manufatto di parole quando l’emozione è ancora troppo viva, imponente, sanguinosa. È possibile scrivere un articolo, un pamphlet, un discorso, un saggio, ma non una architettura sapiente che possa trasmettere non solo i meri fatti, le sensazioni, il pathos, ma l'emozione, direttamente al cuore di chi ascolta/legge, e illuminarne nel contempo almeno un poco il senso.


Questo da solo tuttavia per me è un alibi, se devo essere onesta con me stessa fino in fondo. Io in passato scrivevo con urgenza, ed erano molte pagine, molti versi al giorno, tutti i giorni; molto dovevo eliminare per semplice sovrabbondanza, lasciavo decine di scritti a decantare anche per mesi, pur avendo sempre qualcosa da pubblicare qui, con regolarità, almeno una volta a settimana.

È questa “urgenza”, in realtà, ad essersi spenta, come la fiamma di un lumino dei morti, che all'esaurirsi della paraffina che l’alimenta tremola, vibra, e infine, con un’ultimo guizzo che pare uno spasmo, cessa di mandar luce.


Dunque si è esaurita la vena, come si diceva un tempo con un curioso linguaggio minerario? Può essere, per anni ho potuto continuare a scavare, sempre più in profondità, e ne ho tratto del minerale, non so se di qualche valore, ma sempre abbondante, e sempre pensando che avrei potuto continuare ad estrarlo indefinitamente.

Invece, all’improvviso, letteralmente da un giorno all’altro, mi sono trovata tra le mani solo argilla, e sabbia, e sassi.


O meglio, forse quello stesso materiale, pur continuando a riempire la vanga immutato, ha iniziato a sembrarmi del tutto privo di valore, dozzinale, superfluo. E mi sono fermata.

E dopo che mi sono fermata, mi sono girata finalmente all’indietro, verso il grosso cumulo di materiali estratti e depositati in tutti questi anni, i molti testi scritti e anche, degnamente o meno, pubblicati. E con angoscia non ho trovato nulla o quasi nulla di tutto quel materiale, a una rilettura più accurata e distaccata, che non mi venisse a noia, che non mi sembrasse ingenuo, peggio, infantile, peggio, dilettantesco, peggio, scurrile, ciarpame da premio letterario di terza categoria, nonostante il tanto lavoro e studio profuso lungo tutti quegli stessi anni.

Nulla che fosse davvero "urgente", davvero necessario.

Non solo la vena si era dunque esaurita, ma ciò che credevo fosse oro ora lo sentivo come non si trattasse che di torba? Che altro avrei dovuto fare se non fermarmi?


. . .


Che accadrà ora?

Non lo so veramente, ma so che vagamente, ancora tenue, lontano, sento riaccendersi un timido calore, un vestigio vago di quella antica “urgenza”, alcune parole hanno ripreso a scorrere nella mia mente, a tentare di organizzarsi in versi: sapete, metrica, rima, contenuto, metafora, pensiero… E a depositarsi sulla carta.


Non è un caso, comunque: in tutto questo tempo non ho mai smesso di leggere, di studiare, la scrittura in versi è rimasta sempre la regina della mia mente e della mia giornata, anche se il confronto con i Maestri, maestri per me “nuovi”, come il Magrelli che ho citato all’inizio, come Penna, DeAngelis, Pusterla, è diventato acutissimo e insostenibile. Tuttavia, mi rendo conto come questo che, pur essendo ferma la scrittura “militante”,  sto ancora “lavorando”, non mi sono mai davvero fermata, sto ancora cercando una mia cifra, adeguata al dramma e alla commedia che sto vivendo, ora che le grandi felicità e le grandi angosce si stanno piano piano depositando sul fondo, ammassando sedimenti, ancora cedevoli, motosi, viscosi, ma finalmente quieti, vicini ad esaurire quella turbolenza accecante che impediva di vedere e distinguere forme e pensieri in una foschia indistinta, onnipresente, soffocante.


Forse un giorno, un giorno forse anche vicino, qualche parola tornerà a depositarsi nella mente, e da qui sulla tastiera, o sulla carta, e da qui su questi fogli, e da qui a voi lettori.

So che sarà qualcosa di molto più meditato di un tempo, so che non saranno più componimenti fluviali, di cui il mio debole talento stentava a mantenere il controllo, lo so perché ora ogni singola parola mi costa fatica, sofferenza, sento di doverla domare, fermare, capire fino in fondo. So che il mio dominio sulla parola non è totale, come credevo un tempo, e non lo è mai stato. Anzi sento che, all’opposto, è la parola a dominare il senso. È solo la parola, indipendentemente da noi, a poter dare un senso al senso. Noi possiamo soltanto trascriverla. Trasfigurarla in caratteri e renderla decifrabile al mondo fuori di noi. Se questa nuova coscienza si radicherà nel mio istinto, forse allora qualcosa riprenderà a scorrere. E non solo qui, ma nella mia vita stessa: perché la scrittura, come la lettura, è la mia vita.



Non so dunque, ora, cosa accadrà, o se mai accadrà qualcosa. Ma già il fatto che io sia qui, oggi, a confidarvi queste cose è un primo segnale che, forse, la vena non è del tutto esaurita, che, più in profondità, racchiusa dentro rocce più dure e inaccessibili, c’è ancora qualcosa, per me, da portare alla luce.


Mi permetto di concludere, provvisoriamente, con un’altra “venatura” di Magrelli, dallo stesso libro:



Queste note nei giorni

sono briciole

per ritrovare il sentiero

lungo il bosco degli anni.

Ma verranno i fringuelli

a cancellare le tracce,

a beccare molliche,

a seguire la pista,

a mangiare la strada,

a divorarti.


(Valerio Magrelli - “Nature e venature” - 1987)


Quanto disperante era la prima, tanto questa appare benaugurante, perché possa accadere che possiate trovare ancora qui le mie briciole sparse da beccare, e me stessa, smarrita, da “divorare”.



Con amore

M.P.