«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

sabato 29 dicembre 2018

Futile scommessa



Amiche care, amici,

In queste ultimissime giornate dell’anno, nel silenzio di una tipica mattina d’inverno, con poca gente in giro, rifletto su quanto quest’anno è stato di svolta per me, con la contentezza per la mia “emigrazione felice” in un nuovo Paese, decisa e realizzata per amore, e l’angoscia, la tristezza per la situazione in cui ho lasciato il mio Paese, caduto nelle mani di una maggioranza retriva, reazionaria, carica di risentimento e in molti casi di odio vero e proprio.

Un conflitto interiore, tra la felicità che ho potuto raggiungere a livello personale, in tutti i sensi, dopo anni di burrasca, di squilibrio profondo; e tutto ciò cui in questi ultimi mesi ho assistito, in una specie di crollo globale di etica e politica, nel quale vedo minacciati tutti i miei ideali, le mie certezze, la mia fede nell’Umanesimo e nella Umanità dell’Uomo.

Questo conflitto mi ha gettato in una crisi personale, devo confessare, molto profonda, da una parte dovuta alla sensazione di non aver saputo dire e soprattutto FARE abbastanza in passato per evitare che tutto ciò accadesse, e dall’altra per la potente necessità sopravvenuta ora di AGIRE, con tutte le mie forze, per resistere a questa specie di dissoluzione, ma nello stesso tempo un senso di inadeguatezza, di impotenza, di fronte a una frana che pare inarrestabile.

Io, come donna, come pacifista, so di avere poche armi a disposizione per poter combattere questa battaglia, e le sto usando tutte: convinzione, accoglienza, partecipazione, dove, come e quando posso. Ma ora sono lontana, e, egoisticamente, sono molto tentata a esserne semplicemente contenta, contenta di essere lontana da un Paese che non riesco più a riconoscere, né ad accettare.
Ma sono troppo consapevole che ormai non esistono “isole felici”, e che questo crollo etico e morale sta coinvolgendo l’Europa intera, anzi l’intero mondo Occidentale. Non è più possibile stare a guardare, far finta di nulla, godendo del residuo dei propri privilegi. Brexit, Trump, il Climate Change, le destre più o meno estreme che dilagano un po’ ovunque, sono tutte cose connesse e globali, inutile illudersi.
Io, per mestiere e per diletto, sono, diciamo, una artista, e questo, per quanto di modesto talento io sia, mi impone ancora più grandi responsabilità, perché l’espressione (in immagini o parole, non importa) non può essere un rifugio, una fuga, un semplice sfogo di edonismo e narcisismo. Sono al contrario un impegno, un “contratto” stretto con il mondo, che mi concede il grande privilegio di esprimermi, ma pretende in cambio da me la Bellezza e la Verità.
E infatti, sia professionalmente che nel mio piccolo “rifugio” di dilettante della parola, in questi ultimi mesi sono precipitata in una crisi difficile, prolungata.
Da tempo sento il peso del lavoro, la mano sembra stanca, infelice, disegno meno, fatico anche di più a farlo su commissione (ciò da cui ricavo tutto il mio sostentamento), e scrivo meno, molto meno.
In compenso studio e leggo molto, cerco disperatamente di trovare una ragione alla mia stessa esistenza, di rinnovare quella che chiamiamo “ispirazione”: il sussurro, i toni tenui, mi sembrano ormai del tutto inadeguati, a me che vorrei gridare…

Questo componimento, che scrissi ormai quasi un anno fa, lo pubblico ora perché mi sembra esprima bene il mio disorientamento, e la mia ricerca, a provvisoria chiusura di queste note.

Amiche dilette, amici, vi lascio dunque alla lettura, con un caldo ringraziamento per la vostra presenza, e un caro, sincero augurio per l’anno che viene: come sempre, con amore. Che poi, alla fine, è tutto ciò che conta, tutto ciò che ci rimane, tutto ciò che rimane, dopo di noi, al mondo.

M.P.




Futile scommessa

Questi versi miei impudenti,
in perpetua ricerca di forma,
di ritmo, di suono, di senso,
di forza, di accento: versi
in certo modo indecenti
nella loro sfacciata nudità.

La nudità,
del corpo, della mente,
delle parole che spillo
su queste pagine bianche,
non sono voglia di seduzione,
non sono adescamento

dell’attenzione.
Sono solo espressione
di innocenza, una cadenza
in coda al concerto primo movimento
della mia vita, per quanto smarrita,
per quanto svagata sia di speranza.

Ovvero almeno una sparuta speranza,
ché la fede è già finita, sepolta,
per tempo e da tempo, immemore
tempo, per così dire.
La mia fede nell'Uomo, cui fui educata,
dove si è rifugiata?

Sono ben cosciente ormai
della fine mia, e del vano
trascorrere del tempo,
la vita infine è una futile scommessa
che non si vince: il banco –
o è forse Dio? – vince sempre.




Marianna Piani
Milano, Febbraio 2018

mercoledì 19 dicembre 2018

Alcun rimpianto



Amiche care, amici,
la mia vita, come per molti, è stata un lungo, doloroso confronto tra la originaria purezza e innocenza - alimentata dalla luce di una infanzia sempre più flebile e lontana - e la corruzione, la perdizione portata dalla conoscenza, e dal desiderio, che di conoscenza è assetato e si alimenta. Il conflitto tra Innocenza e Conoscenza, il "Peccato Originale", è credo il destino primario della condizione umana. Il suo dramma e privilegio, nell'ordine naturale dell'universo.
La conoscenza della morte, e della propria mortalità, rappresenta la fine definitiva di ogni innocenza.
Ed è ciò che cerchiamo per l'intera vita di comprendere - poiché conoscere non significa necessariamente comprendere - e quindi di superare, affidandoci all'unica possibilità di ritrovare l'originaria innocenza, tramite l'amore.
È in questo senso, alla fine, che l'amore può davvero trascendere la morte.


(In questo testo ho sentito la necessità di lavorare più con le linee melodiche, le rime, piuttosto che con gli armonici e i ritmi, che ho lasciato spezzati, alquanto difformi, nel tentativo di rendere sensibile il tema di fondo, che è quello del contrasto, del conflitto interiore, sempre così drammaticamente accentuato nell’anima femminile.)

Vi lascio alla lettura, come sempre, con amore.

M.P.




Alcun rimpianto


Questa mia dissennata percezione
oscilla come un pendolo
tra verità e illusione, marcando
così un tempo ch'è già esaurito
prima ancora di essersi mostrato.


Ogni pensiero mio ha un lato
autentico e sincero, e nel contempo
è una finzione, pura immaginazione.
Ogni parola esprime sé sola, eppure
sa di avere in sé il senso profondo
e sensibile del mio essere nel mondo.


Allo specchio indugio ed esploro
quel sembiante disarmonico di donna
e di pudore femminile che io sono,
impigliato a un sorriso che si schiude appena
da labbra troppo timide, troppo infantili.
Mentre dagli occhi scuri come notti


senza luna, trafila un magma
ribollente di passione. Se tutto ciò
non sarà peccato, se non sarà
lussuria e perdizione sarà perché
troppo puro e libero è rimasto
il cuore mio, troppo vergine e fecondo.


E troppa è la purezza che ho dissipato
con il mio lacerante aprirmi al mondo
senz'altra protezione che la mia fede
nella verità d’un amore ritrovato.


La vita forse ha fatto e farà strazio
di quest'anima votata al canto
e al pensiero alieno da ogni giudizio:
ma di ciò non provo alcun rimpianto.




Marianna Piani
Febbraio 2018





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domenica 16 dicembre 2018

Quando ci avventuravamo


Amiche care, amici,

Anche questa è una lirica che, una volta scritta, tenni a lungo per me, senza decidermi a pubblicarla.
La scrissi e riscrissi più volte, senza sostanziali cambiamenti, inconsciamente credo per rinviare, o evitare la sua pubblicazione.


In realtà nulla al mondo mi “obbliga” in alcun modo a pubblicare alcunché, qui o altrove, e sono molti i componimenti che getto nel cestino o in fondo al “cassetto”, perché li giudico dozzinali, mal riusciti, o irrisolti, o troppo personali.
Questo in particolare racconta una storia per me difficilissima da narrare, e anche solo da ricordare: la perdita della mia amata sorella, non per una malattia o disgrazia, per fortuna, ma per una sua precisa e lucida decisione di lasciare me e ciò che restava della nostra famiglia, ogni avere e ogni oggetto che avevamo in comune, e scomparire di sua volontà, senza lasciare alcuna traccia, senza ritorno, e, ormai posso dirlo, per sempre.
C’è da dire che da piccole eravamo inseparabili, e il ricordo più vivo che ho di noi due assieme sono le “spedizioni” alpinistiche che effettuavamo in estate e autunno sulle rocce dolomitiche, affidando ciascuna la propria vita – letteralmente – nelle mani dell’altra.
Poi, all’improvviso, appena alle soglie della sua maturità (io sono la maggiore) avvenne il distacco, la sua fuga, che mi lasciò sgomenta e impotente.
E terribilmente sola.


Non riuscii mai a spiegarmi il perché di questo gesto, così radicale e così definitivo, tanto che lo ho vissuto come una specie di suicidio figurato, proprio diretto a me, che l’amavo dal primo giorno in cui era venuta al mondo.
Anzi, per qualche aspetto questa scomparsa fu anche peggiore di una morte, perché come quella definitiva e senza speranza, ma crudelmente priva della possibilità di piangerla, di elaborare il lutto. Forse il dolore più grande è proprio quello che non ci concede nemmeno il sollievo del pianto. Forse il senso di colpa più intollerabile viene dal male che non abbiamo mai pensato o voluto o saputo di fare. Forse la colpa che sentiamo più insostenibile ci viene dal nostro sincero sentirci innocenti. E certo la ferita che più ci fa male è quella inferta senza che ce ne venga detto il motivo. 

É per questo che, quando riesco a distillare questo dolore in un pensiero compiuto, in una memoria articolata, come in questa occasione – cosa che riesco a fare di rado, perché la ferita è sempre aperta e bruciante –, non posso e non voglio esimermi da infilare il messaggio in questa bottiglia virtuale, la “rete”, e lasciarlo andare, per quanto sofferto e per quanto sia causa di rinnovato dolore il farlo. La speranza, labilissima, improbabilissima, è che il messaggio spinto dalla corrente, raggiunga in qualche modo il misterioso rifugio in cui lei ha voluto celarsi, e, cosa ancora più improbabile, una volta raccolto, possa in qualche modo muovere qualcosa nel suo cuore…

Improbabile, ho detto, e infatti non è mai accaduto, non accadrà mai;
ma è impossibile, e perfino crudele, anche solo pensare che io non ci provi, ora e sempre.



Con amore
M.P.







Quando ci avventuravamo


Poter essere in volo, come allora,
sopra le valli, e le rocce nude
che addentano il cielo, e le nubi
che l'affollano come un gregge
di ovini spauriti, sfuggenti
e misteriose creature di pura
suggestione, o leggenda.


Azzardano i caprioli l'avventura
allo scoperto, fuori dalla selva,
le rapide ombre dei gracchi in amore
compiono le loro danze nuziali
sopra di loro, e si propiziano il nido
tra le spine inospitali dei rovi.
Tu sai come tutto questo sia vero:


mille volte, assieme, ci incamminammo
per quei ripidi ostili sentieri
che s'inerpicano nel folto di abeti
centenari e solenni; la meta
si raggiungeva poi per pareti
di granito o dolomite affilata,
fino in vetta ai nostri sogni e pensieri.


Tu sapevi sorella, che mi avresti
tradito, piccola fragile Giuda,
che a un punto il sentiero senza preavviso
tra noi si sarebbe diviso
e sarebbe stato per sempre, sapevi!
Quando iniziasti a volerti lontana
da me, quando io fui morta, dimmi, per te?


Il dolore cancella
ogni memoria, effimera o salda:
quale fu l'ultima via che aggredimmo?
L'ultima cengia, l'ultimo diedro
di granito che assieme violammo?
Quando fu che mi mentisti allora?
Perché non ti seppi io ancora capire?



Marianna Piani
Milano, 22 Novembre 2017


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sabato 8 dicembre 2018

Innocenza e brama



Amiche care, amici,

nei miei anni giovanili, nell’adolescenza e anche un bel po’ dopo, la mia vita era lacerata tra due forze contrapposte: la mia ingenuità, la mia innocenza infantile, mai davvero superata; e la mia pulsione istintiva, ciò che in questa lirica, non sapendo come chiamarla, di volta in volta chiamo “voglia”, o “desiderio”, o “bramosia”, o “passione”.
Sono tutti impulsi di conoscenza, la conoscenza che la Bibbia così efficacemente e indissolubilmente lega ai concetti di bene e male.

La mia libido (altra declinazione, assieme al piacere, del desiderio), la mia sessualità diversa - che tanto ha pesato proprio negli anni del mio sviluppo, come persona, gravandomi di dolorosi sensi di colpa – sono espressione naturale (per me come per tutti) di un ineludibile bisogno di conoscenza. E la conoscenza, sappiamo, è l’antitesi dell’innocenza.
Si tratta forse del passaggio più catastrofico (in senso etimologico, di rivolgimento radicale di un universo in equilibrio) per ogni persona, quello che ci strappa dalla innocenza (appunto) dell’infanzia alla conoscenza (preferisco questo termine a “coscienza” o “consapevolezza”, perché più pregnante di tutte le implicazioni di perdita e di conquista che sottende) dell’età adulta.
Nel mio caso il fatto di innamorarmi di altre ragazze, anziché essere attratta dai ragazzi come tutte le altre attorno a me, costituiva una aggravante della radicalità di questo processo, e fonte di un dolore violento, lacerante, e tanto più lacerante in quanto (parlo di diversi anni fa) indicibile e insieme irresistibile.


Molti anni sono trascorsi, tuttavia, e a distanza di tempo mi rendo conto come questo dramma non venga mai risolto, per molti di noi: intendo il senso della perdita irrevocabile della nostra innocenza in cambio della potenza e del piacere che – per un breve lampo – la conoscenza ci concede.
E questo conflitto perenne, dentro noi stessi, non tanto tra bene e male, ma tra innocenza e conoscenza, tra purezza e perdizione - e la nostra incapacità di superarlo - è il senso ultimo della nostra condizione umana.


Vi lascio amiche dilette e amici alla lettura, se lo vorrete, di questi versi.
Come sempre, con amore.
M.P.





Innocenza e brama


A lungo – quanto a lungo! – ho vagato
tra innocenza e desiderio,
tra la vitale aura di giovinezza
e la torbida perdizione
della coscienza – e della conoscenza.

Il bene e il male hanno
confini vaghi, corrosi:
la mia ingenuità allora
non era grazia, o merito, o virtù.
Era – ora so – semplice incoscienza.

Eppure, sempre, nel mio piacere
non corrompevo la mia innocenza,
e con essa rimaneva intatta
tutta la mia bellezza: ogni donna
ha in sé quest'incorruttibile gemma.

La passione, che mi ha guidato
sulle vaghe strade della vita,
ora lo so, è bramosia di nulla,
è nostalgia di morte: eppure essa è
il motore primario della vita.

Il desiderio giace con me
nella perdizione tra le sue cosce
divaricate, emana il profumo
incantevole e acuto della femmina
feconda che mi soggiace

docile e ribelle, vinta e rapace.
L'innocenza è tutta in questa
fervida sopraffazione;
il piacere tutto si risolve
nella conoscenza che ci rivela.

La conoscenza cancella l'innocenza,
è il prezzo da pagare
per i nostri occhi rapiti al sogno.
È il prezzo della nostra libertà
ora che ci attende l’infinito mondo. 



Marianna Piani
18 Ottobre 2017


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mercoledì 5 dicembre 2018

Mi prese per mano



Amiche care, amici,


A lungo ho indugiato, e a lungo ho lavorato su questi versi, prima di decidermi a pubblicare.
Poiché si tratta, in questi versi, di un momento così importante della mia vita, il momento in cui all’improvviso tutto nella mia esistenza, fino ad allora quieta e disperata, è mutato, marcando un netto, drammatico iato tra un passato che di colpo diveniva storia e memoria, e un futuro ancora tutto da immaginare, ancora inconcepibile.

Un attimo sospeso, forse proprio quello invocato dal Dr. Faust, “All’attimo direi: Sei così bello, fermati!” (Zum Augenblicke dürft ich sagen: / Verweile doch, du bist so schön). Quegli attimi che nella vita possono capitare solo una, due volte. Attimi che, nel momento stesso in cui ci si prova a fermarli, con l’immagine o la parola, svaniscono, sono già ricordo, un nulla. Per questo l’indugio, per questo il grande timore. E per questo il grande lavoro, quasi artigiano, nel tentativo di stemperare l’emozione, sempre nemica dell’espressione, antitetica all’estetica.
Da qui, infine, la sostanziale impossibilità del parlare dell’amore in Poesia, pervicacemente, ostinatamente contraddetta da sempre da ogni poeta - sommo o infimo - del mondo…

Parole che dedico alla mia compagna e sposa, e a tutte e tutti voi che, nonostante le esaltazioni, le delusioni, i dolori, le follie che inevitabilmente ci porta – anzi proprio per questo -, amate l’amore.

M.P.




Mi prese per mano. 

Ma questo fu dopo:
prima avvenne, impercettibile,
un piccolo moto del cuore,
un subbuglio, un capogiro profondo,
forse non inatteso, certo insperato.

Avvenne che nel parlare
di nulla e di tutto, come avviene –
senza apparente intenzione –
la sua mano si posò sulla mia.
Non si ritrasse. La mia nemmeno.

Spietata e fastosa come
una vanessa su un giglio,
indugiò, senza fermare
il lento moto delle ali ansiose;
io non mossi un respiro

per tema di farla fuggire.
Osservai le sue dita,
esili e tenaci, come giunchi
dalla corrente impetuosa
mai vinti. In cima, coralli.

Ne ammirai il colore: rosso scarlatto.
Come i capelli, come le guance
segretamente infuocate di me;
come le labbra, che proprio quel giorno
avrei per la prima volta baciato.


Marianna Piani
15 Ottobre 2017


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