Amiche care,
amici,
consentitemi una riflessione un po' lontana dalla leggerezza cui ho sempre cercato di improntare queste pagine.
In questo spazio che mi sono ritagliato, un po' appartato, sebbene aperto a chiunque abbia voglia di avventurarsi, ho sempre cercato la ricreazione, l'affidarmi al senso della bellezza per ritrovare me stessa, e per comunicare le mie emozioni. Anche le più segrete.
Purtroppo, di fronte al quotidiano disfacimento cui dobbiamo assistere in questo sfortunato periodo, alla progressiva, apparentemente inarrestabile negazione di molti di quei diritti, di quelle conquiste di civiltà, libertà e umanità che pensavamo ormai acquisite, e al rigurgito sempre più rumoroso e tracotante di ideologie, tentazioni, comportamenti che credevamo ormai condannati, giustiziati, sepolti e per sempre rigettati dalla Storia, di fronte a tutto questo devo confessare che faccio sempre più fatica a rifugiarmi nella consuetudine quieta e serena della pratica della scrittura. In particolare della lirica, il mio campo d'azione preferito, per definizione il luogo dell’intimo, del personale, del sentimento e dell’emozione.
In questo spazio che mi sono ritagliato, un po' appartato, sebbene aperto a chiunque abbia voglia di avventurarsi, ho sempre cercato la ricreazione, l'affidarmi al senso della bellezza per ritrovare me stessa, e per comunicare le mie emozioni. Anche le più segrete.
Purtroppo, di fronte al quotidiano disfacimento cui dobbiamo assistere in questo sfortunato periodo, alla progressiva, apparentemente inarrestabile negazione di molti di quei diritti, di quelle conquiste di civiltà, libertà e umanità che pensavamo ormai acquisite, e al rigurgito sempre più rumoroso e tracotante di ideologie, tentazioni, comportamenti che credevamo ormai condannati, giustiziati, sepolti e per sempre rigettati dalla Storia, di fronte a tutto questo devo confessare che faccio sempre più fatica a rifugiarmi nella consuetudine quieta e serena della pratica della scrittura. In particolare della lirica, il mio campo d'azione preferito, per definizione il luogo dell’intimo, del personale, del sentimento e dell’emozione.
Del resto è stato detto che, dopo Auschwitz, non più è possibile la Poesia.
Direi, peggio ancora, se è così, allora dopo la negazione dello stesso Auschwitz, cui ci tocca assistere in questi tristi giorni, che senso può davvero più avere la Poesia?
Direi, peggio ancora, se è così, allora dopo la negazione dello stesso Auschwitz, cui ci tocca assistere in questi tristi giorni, che senso può davvero più avere la Poesia?
In realtà la scrittura non è e non può essere un rifugio, o una consolazione. La poesia, poi, se cede alla tentazione del distacco, dell’astrazione formale, del monologo masturbatorio, perde totalmente di significato, perde la sua stessa ragione d’essere.
Di tutto questo
mi rendo conto, e questo rappresenta per me oggi un motivo di crisi profonda:
sento di potere, anzi di dover lottare, sento che la tentazione di ritirarmi
nelle mie angustie, di chiudermi in una biblioteca come in un bunker blindato
da muri di carta e di cultura (la stessa cultura che ora viene offesa, negata e dileggiata
da un sedicente “nuovo” che pretende di imperare indisturbato) equivarrebbe a
una resa. Sarebbe più che una rinuncia, sarebbe una morte anticipata.
In passato abbiamo avuto
esempi sommi di artisti e scrittori che hanno saputo incidere profondamente
nella realtà, nella lotta, con gli strumenti della loro arte e della loro scrittura.
La loro memoria e il loro esempio sono scolpiti nel nostro, nel mio cuore.
Io però non ho
questo privilegio, non dispongo di questo dono, sono solo una piccola dilettante,
come ho sempre sostenuto – e rivendicato –, e dentro questo limite mi dibatto. Nella
angusta prigione del “diletto”, e nella mia impotenza, esplode, lacerante, credetemi, tutta la mia crisi.
Ho sempre scritto – e letto - per necessità, ma si tratta di una necessità personale, privata. La necessità di non smarrirmi nel dolore, nella solitudine, nella follia. Ma la scrittura di uno scrittore, di un poeta degno di tale definizione, deve essere necessaria agli altri, ai lettori, al mondo. Qui sta il confine, ciò che separa il diletto (privato) dal valore (pubblico), dell’arte in generale, e della poesia in special modo, per quanto labile e ardua è nel suo caso la via all’eccellenza.
Ho sempre considerato la Poesia come “strumento di conoscenza”, ma non si dà conoscenza se non si è in grado di affrontare la criticità della propria condizione umana. E allora la tentazione più forte è quella di abbandonare il campo, rinchiudersi nel silenzio, dedicarsi alla lotta solo come conflitto fisico, materiale. Smettere quindi, semplicemente, di scrivere (o dipingere, o comporre).
Tuttavia, nel pieno di questa crisi, anzi, direi proprio per questa crisi, sento, continuo a sentire, con maggiore fatica, con maggiore dolore, ma anche con maggiore impellenza che mai, la necessità di continuare a scrivere.
In fondo, voglio credere, anche questa, prendere la Parola, è una forma di resistenza.
Ho sempre scritto – e letto - per necessità, ma si tratta di una necessità personale, privata. La necessità di non smarrirmi nel dolore, nella solitudine, nella follia. Ma la scrittura di uno scrittore, di un poeta degno di tale definizione, deve essere necessaria agli altri, ai lettori, al mondo. Qui sta il confine, ciò che separa il diletto (privato) dal valore (pubblico), dell’arte in generale, e della poesia in special modo, per quanto labile e ardua è nel suo caso la via all’eccellenza.
Ho sempre considerato la Poesia come “strumento di conoscenza”, ma non si dà conoscenza se non si è in grado di affrontare la criticità della propria condizione umana. E allora la tentazione più forte è quella di abbandonare il campo, rinchiudersi nel silenzio, dedicarsi alla lotta solo come conflitto fisico, materiale. Smettere quindi, semplicemente, di scrivere (o dipingere, o comporre).
Tuttavia, nel pieno di questa crisi, anzi, direi proprio per questa crisi, sento, continuo a sentire, con maggiore fatica, con maggiore dolore, ma anche con maggiore impellenza che mai, la necessità di continuare a scrivere.
In fondo, voglio credere, anche questa, prendere la Parola, è una forma di resistenza.
E di certo è
una forma di libertà, da esercitare in faccia a qualsiasi regime o tentazione
liberticida.
Con amore
M.P.
Con amore
M.P.
L'arma
Un pensiero mi
tormenta, mentre scrivo:
nulla può, come
insinua, anzi grida
quel poeta
grande nel suo naufragio
di parole e
vita, nulla può nel mondano
mondo, la
poesia.
E dunque, per
che motivo al mondo
io persisto e ancora
scrivo?
In questo mondo
in carne e muco e sangue
risorgono
spettri infami, digrignano
sentenze che
credevamo ormai sepolte
nelle
discariche della Storia.
Posso credere
che pochi versi
disposti in
armonia o dissonanza
possano non
dico opporsi
ma anche solo
temperare questo male?
Sento
l'impellenza d'imbracciare un'arma,
se la frana non
si ferma,
ma questa certo
non sarà di versi
strofe o canti.
Sarà di ferro o pietra.
Dunque, torna
il tormento del pensiero
come una spina
sottopelle:
perché,
comunque sia, disperata,
perdio perché
persisto, e ancora scrivo?
Marianna Piani
Febbraio 2018
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