Amiche care, amici
qualche tempo fa un'amica per me MOLTO specale - di cui non rivelerò il nome qui per discrezione - mi fece un dono inatteso ed emozionante. Si trattava dell'incisione di alcuni pezzi classici per chitarra (tutti capolavori assoluti, da Bach, a Giuliani, a Albeniz, a Dowland) suonati da lei in persona con incredibile maestria, che andava ben al di là da ciò che ci si potrebbe aspettare da una semplice dilettante. O meglio ancora, rinnovando in certo modo quel "dilettantismo di lusso" piuttosto in uso in musica in tempo passato, prima della invenzione del fonografo e della "riproducibilità tecnica" del discorso musicale. Un tempo, l'unico modo per rappresentare la musica nel mondo, oltre al concerto pubblico in sala (o in chiesa, o alla corte di qualche potente) era quello di avere a "portata di mano" qualche talento, in grado di eseguirla per noi.
L'ascolto di un pezzo musicale riserva - almeno per me - sempre emozioni inesprimibili in altro modo se non appunto in termini musicali, ma l'ascolto di un pezzo eseguito dalle mani vive di un'amica ha qualcosa di magico, di ineguagliabile.
Naturalmente non ho potuto rinunciare all'occasione, non ho potuto non cercare di catturare al volo quelle emozioni, anche come omaggio a una persona che già stimavo e amavo in modo profondo, di cui già mi ero da tempo in qualche modo "innamorata", ma che ora mi rivelava una dimensione di sé ancora più alta e intrigante.
Ho composto dunque, una appresso all'altra, cinque brevi liriche, ognuna ispirata all'ascolto "in diretta" di uno dei brani, che poi ho raccolto in un piccolo "ciclo poetico" che ho intitolato, in modo ammiccante, "Cinque pezzi facili".
E in omaggio proprio al virtuosismo anche tecnico della mia dedicataria, ho voluto intessere questi versi attorno a un piccolo gioco, quasi enigmistico, incastonando al loro interno messaggi, pensieri e riferimenti, che qui in parte rivelerò. Solo in parte poiché alcuni rimendano esclusivamente alla interessata. È un gioco apparentemente futile, che di solito non fa parte del mio "repertorio", ma è interessante, poiché, come del resto rima e metro, "costringe" il senso a imboccare strade inusitate, aprendo a prospettive inattese, cosa che con la versificazione libera moderna, dove predomina il controllo logico (o illogico) dell'eloquio, capita di rado di scoprire.
Poiché nati assieme, con un qualche senso di organicità, li pubblico qui uno di seguito all'altro, per chi tra voi volesse rileggerli.
M.P.
Cinque pezzi facili
Una Offerta Musicale
(Ascoltando I.P.)
(Ascoltando I.P.)
Mauro Giuliani (1781-1829) |
I
"Il Sentimentale"
(da Mauro Giuliani)
Intimo e intenso il fluire del torrente
lascia dietro sé ciottoli variegati:
accarezzati dalle dita della corrente
risuonano come corde d'un liuto
immenso, che ha per cassa l'intera valle,
ancor sopita nell'attendere l'alba...
Procede più adagio ora il viandante
indugiando alle svolte del sentiero
ammirato ad ascoltare quel suono
nascere e crescere e propagare
arditamente fino ai valichi più alti.
Anch'egli risale le sue Alpi, il cuore
martella il ritmo del suo passo, come
in una cadenza di danza, ma ora,
come in preghiera, devotamente
ascolta, e scioglie la rimembranza.
Ammaliato, rammenta la voce cara
modulata in canto, e in parole
appassionate tessute di note scintillanti:
trama è la melodia armonia l'ordito,
ascolta, e attende il declino del giorno infinito.
II
L'Allegria
(da Mauro Giuliani - Op. 148)
Ascolta - il bel petto procace appoggiato al davanzale -
la scintillante festosa notte che in laguna s'avanza,
libera come soltanto la donna veneta sa stare, vitale
emozione che cresce come un respiro; sul collo un sospiro
germinerà come una collana di diamanti, cercheranno
ricoveri gli amanti fuggitivi per consumare i loro amori
ombrosi e fecondi, al lume della luna soltanto.
Cogli il tempo, e nel ritmo che scorre con gaiezza
ogni battito del tuo cuore ti sia di sollievo: nella danza
nativa delle tue membra i pensieri conoscano sempre nuova
baldanza, saggezza sia nel movimento delle tue mani;
ritrova l'antico nobile rintocco delle corde tormentate -
intimo e affettuoso sia il tuo intessere suono al piacere,
orgoglioso sia il fuoco dell'impareggiabile tua virtù.
John Dowland (1563-1626) |
III
The Frog - Galliarda
(da John Dowland)
Siedi accanto a me, dolce signora,
siedi e accarezza con portento
il tuo strumento, in alto, e in grave
del suo registro ancestrale.
I tuoi capelli discendono come onde
sulle tue spalle bianche, scoperte,
la veste ti arricchisce come la corolla
d'un fiore raro, inebriante.
Vorrei, oh come vorrei posare la mia mano
e poi le labbra, su quelle onde chiare,
come fa il gabbiano che sfiora il mare,
e pescare il tuo guizzante amore!
Come vorrei annegare in quel tuo sguardo
tanto compreso nel suo canto
da parere un oceano di luce, profondo
quanto basta per scomparire,
e mai più esser ritrovata. Come vorrei
tesoro mio diletto, abbandonare la mia fronte
sulle tue ginocchia, nel rapimento folle
della tua bellezza e della certezza
della tua voce intensa. "Amore - mi dici - guarda,
guarda come ogni corda con dolcezza
sposandosi con l'altra, vibra nell'altra come padre
madre figlia, nell'ordine d'un perfetto accordo".
Volesse il Cielo ch'io fossi quella corda,
toccata con sapienza dalle tue dita,
potessi essere il vibrante canto
del tuo madrigale, d'ora e per sempre.
Ascolto il sibilare leggero dei polpastrelli
sulla tastiera, sfreccianti come uccelli
nell'aria, ascolto il riverbero degli armonici
dalla pregiata cassa di profumata essenza.
Quanto vorrei che questo suono fosse
il suono del vento stesso, senza tempo,
e senza affatto fine. Quanto vorrei, mia cara,
sfidare il mondo intero, e in te legarmi,
come l'argento all'oro, la pioggia al suolo,
la luna alla notte, la chitarra al canto:
canto antico, canto amoroso, un canto solo,
e ti sfiorerò le spalle, e sarò al tuo fianco.
IV
Asturias
(da Isaac Albéniz)
L'onda giunge alla riva, gioiosa, festosa,
l'onda strappa con sé brandelli di costa,
e li restituisce al mare, l'onda consuma
come l'attesa, impercettibile, inesausta.
La costa è un susseguirsi di visioni
di piccoli porti esposti ai marosi,
il profumo acre del salso aggredisce le cose,
e le confonde, senza fretta, nella caldaia del tempo.
Le ruggini penetrano l'anima in profondo,
schietti pescatori dal viso di cuoio
ritirano, oppure riparano le reti, e ci osservano
dai loro occhi di petrolio e di sigaro spento.
Il sangue dell'uomo si spande sulla terra
irrorandola di speranza e di futuro,
ma il sangue del poeta versato innocente
è in un'anfora di gloria, non si rapprende,
non coagula in grumi di fiele come quello
delle fiere inutilmente massacrate nell'arena.
Il sangue del poeta canta, canta ancora,
canta per sempre su questa musica gitana:
"Quale musica, intessuta di tenerezza!
Occhio acuto dello sparviero, cuore spavaldo!"
Ecco l'uomo, ecco il Poeta, ecco il cantore,
ed ecco il gitano, sangue del sangue di quelle terre.
Da Granada all'abbagliante luce catalana,
alla barbarica costa battuta dalle tramontane
rabbiose, laddove si spalanca l'oceano alla rotta
dei conquistadores crociati assassini di genti...
Ecco, suona questo arpeggio, mia gitana,
accarezza le tue corde come l'amante
ardente afferra i miei capelli tra i suoi denti
di madreperla, e v'ispira tutta la passione.
Suona, adorata, suona chiudendo gli occhi
che imprigionano visioni, e io con te invocherò
gli amori, aspirerò i sapori, gusterò gli odori
di quel mare, di quelle terre, di quelle labbra
riarse di sangue d'odio e di sete di passione.
Quelle tue mani candide danzatrici delle Muse,
evocatrici di poeti, quelle mani che coprirò di baci
come la neve le tenere alture che guardano il mare:
Dolcemente.
Semplicemente.
Armoniosamente.
Melozzo da Forlì (1438-1494) |
V
Pavana
(da Pietro Paolo Borrono 1490-1563)
Il ritmo che m'incuora è una danza
liquida, lenta, cadenzata, altera:
archi di pietra nell'antico borgo,
ricordo di Storia millenaria, eterna,
incrostata negl'intonaci di salnitro,
aderente alla pietra come alla carne la pelle.
Aristocratiche mura, silenziosi androni
nascoste e segrete corti, porticati ombrosi,
gente che occhieggia alle finestre sgusciate,
eco dei passi nelle anguste calli,
lindi panni stesi tra muro e muro,
ogni cosa, ogni viso sa qui d'antico e d'eterno.
Mutevole è il tocco del musico sullo strumento,
una carezza un momento, l'altro dopo un graffio,
scorre le corde come il felino alla preda, oppure
indugia in un adagio vellutato come un sipario
che s'apre arioso a un paesaggio di morbidi colli,
arditamente s'inerpica su ripidi sentieri dell'alpe,
naviga le acque quiete del lago, che subito si fanno
tempestose: e intanto la danza si scioglie libera,
estatica, in un'architettura di geometrici accordi.
Marianna Piani
Per Ilaria
Milano, 20-30 Novembre 2013
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