«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

sabato 29 novembre 2014

In Nomine - V


Amiche care, amici,


questo è il quinto appuntamento con la mia raccolta di "sonetti" intitolati ai nomi di donna che hanno arricchito la mia vita.

Dirò, a chi non fosse addentro a questioni di prosodia e di storia della Poesia, o a chi fosse incuriosito da un poca di "cucina", che l'idea di raccogliere una "rosa" di quattordici sonetti, tanti quanti sono i versi che ne compongono la forma canonica, non è affatto nuova o inconsueta, né nel passato e neppure nella letteratura contemporanea, dove si possono incontrare diversi esempi di composizioni o raccolte formalmente simili a questa, in un arco che va dal Boiardo a Pasolini, Zanzotto, Landolfi.


Inoltre, ho parlato qui sempre di "sonetto", ma naturalmente siamo distanti dalla vera forma canonica e chiusa del sonetto tradizionale italiano, dal Petrarca in avanti.

Per prima cosa, mi sono sentita libera dalla rima, che rappresenta nella nostra lingua forse l'aspetto più marcato e riconoscibile di ogni forma poetica canonizzata.
Mi sono affidata piuttosto ad assonanze, rime interne, e in special modo al ritmo ricorsivo, per ottenere una sensibile tematica musicale, certo essenziale per questa forma poetica. Dal punto di vista puramente metrico/sillabico, ho mantenuto una qualche regolarità di struttura, e spesso mi sono affidata al più classico di tutti, l'endecasillabo. Questo perché desideravo ottenere una cantabilità piana e una tonalità dolce, adatta ai temi (e alle figure) trattate.
Inizialmente ero tentata di intitolare la raccolta "Cum Figuris" alludendo alla grande importanza del "genere ritratto" in tutte le composizioni, ma poi l'ho pensato troppo specifico e vincolante. Alla fine si tratta di suggestioni, più che di "life portraits", senza una necessaria concordanza con le figure "reali", quindi ho ripiegato sul titolo attuale.

"Laura" è il condensato simbolico di una figura di donna fragile e forte, che dal nome riceve un carattere particolarissimo di purezza e "innocenza" - nel senso paradigmatico del termine.
"Eleonora" invece è il ritratto di una donna prigioniera - in un certo senso - della propria consapevolezza e della propria acuta intelligenza, una donna sempre impegnata in un cammino di ricerca.

Diversissime tra loro, eppure accomunate da un comune destino di lotta e ribellione alla propria umana e femminile inadeguatezza. Ognuna è parte così di ognuna di noi.

Per voi, amiche dilette e amici fedeli, come sempre, con amore

M.P.





9

Laura

 

Ho seguito un mattino il corso del torrente
a ritroso, risalendo le pietre bianche
a piedi nudi, nella corrente, in cerca
della sorgente di quella casta purezza.

Non crediate sia stata una lieve fatica,
sanguinavano i passi sui bordi taglienti
dei sassi, e scivolava ogni malcerto appoggio
sui crani levigati dei massi giacenti sul fondo.

Così fresca, così dolce, questa sua fonte,
così lucente e lontana da ogni affanno
pare sgorgare per dissetare chi l'ama.

Chi mai direbbe quanto è aspro il declivio,
spaccate le rocce, nudo il sentiero, netto
e dolente l'alveo inciso nella sua valle!
 


Marianna Piani
Milano, 18 Giugno 2014




10

Eleonora


 
Inganna l'aspetto di una ragazza,
ingannano gli occhi ombrosi, distanti,
in apparenza svagati, o fiammanti,
ingannano le labbra richiuse in riserbo.

E ingannano le mani pallide e fini,
e le gambe scoperte dalle vesti
di lino, e i piedi lucenti di smalti
cobalto immersi nell'erba smeraldo.

Credevamo fosse solo passione
l'acerbo affanno che le gonfia il seno
come fa il maestrale al fiocco di prora.

É conoscenza, invece, orgoglio
dell'innocenza serbata, e il panico
di sé d'un astro che sa d'essere stella.



Marianna Piani
Milano, 19 Giugno 2014

mercoledì 26 novembre 2014

In Nomine - IV


Amiche care, amici,

Quarto appuntamento di questa mia piccola escursione nella forma più classica della nostra prosodia. E con i nomi che hanno rappresentato qualcosa nella mia vita.

Oggi nominerò due sorelle, o due modi di essere "sorelle". La prima, la sorella di sangue, amata e venerata, e che mi ha abbandonato, per seguire una vita sua, lontana da me. Lasciandomi un infinito rimpianto, e un sordo rimorso, per non aver fatto forse abbastanza per trattenerla. O per seguirla. Tanto amata che non posso fare a meno di amare in modo tutto speciale le amiche che ho successivamente incontrato sulla mia strada e che portano casualmente il suo stesso nome.
L'altra, sorella in spirito, perché incontrandola, sia pur solo virtualmente, dialogando con lei, sia pure brevemente, ho visto aprirmi davanti a me una strada, una prospettiva di vita, una speranza da perseguire. Come donna e come persona.



Come vedete, le suggestioni portate da un nome per me sono infinite, e bene ho fatto a racchiuderle in questo scrigno prezioso, ma piuttosto angusto, che è la forma sonetto. Così che non possano debordare, sulla pagina, con il loro travolgente carico emotivo.

Per voi, come sempre, con tutto il mio amore.

M.P.




In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto




7

Paola


 

Di noi due, la più bella. Di noi due
quella che avrebbe violato per prima
la vergine vetta, tra noi sorelle
gli occhi più chiari e più temerari.

Le sue spalle sono come un nevaio
che il sole d'estate a pena paventa,
se pur la più fanciulla, la più alta
di corpo, e d'anima quella più folle.

Lungo l'aspro sentiero m'hai lasciata
molto più indietro, piegata, nemmeno
hai girato il viso per un addio.

Quell'inviolato ghiacciaio era parte
di te, così come lo era quel vento
furioso che ti rapiva da me.
 


Marianna Piani
Milano, 9 Giugno 2014



8

Ilaria
 



Ella è la dea, colei che ricrea
il mondo al suo volere e piacimento,
è lei la regina che ha travolto
la mia mente in una sola battaglia.

È suo l'editto che restituisce
l'amore all'amore, il desiderio
al suo pari, la bellezza a colei
che la possiede o n'è posseduta.

Ella è la creatura fattasi cielo,
ella è la pianta che allarga le foglie
all'indomito abbraccio della sua Luna.

Lei è il faro al mio trepido passo
sul sentiero che conduce alla luce
dell'astro, e alla mia Femmina Sposa.



Marianna Piani
Milano, 16 Giugno 2014


sabato 22 novembre 2014

In Nomine - III


Amiche care, amici

terzo appuntamento con la mia raccolta di sonetti "al femminile".
Come dicevo, i nomi che cito appartengono ad alcune amiche, ma non ne sono  necessariamente il ritratto, non un ritratto fisico, comunque, piuttosto una "radiografia", un esplorare il sentimento e lo spirito che si cela dietro ogni nome, dietro ogni destino.
Io sostengo che ogni nome racchiude in qualche modo un destino, ogni nome ci somiglia, ci rappresenta, e, inconsapevolmente ci guida nel nostro modo d'essere.
Molti di questi nomi di donna, come avevo già osservato, sono doppiamente significativi, rimandano a un significato sensibile, a un'immagine, a un concetto. Pensate a quelli citati fin qui: Gloria, Gioia, Costanza, Serena… Non sembrano essi in sé, con il loro significato letterale, un ritratto dell'universo femminile, delle sue emozioni, delle sue speranze? Ah, la bellezza intensa e intima di questi nomi!
E qui oggi onoro due tra quelli che mi sono più cari, Rosa, forse il più autentico, profumato, femminile che si possa immaginare, e Domenica, che da solo evoca la festa, la disponibilità, suoni e voci, solarità…
Non pensate anche voi, amiche dilette, amici cari, che tutto questo sia una magia?

Con amore

M.P.




In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto


5

Rosa


Rosaura, Rosalba, Rosamaria,
di tanti modi di essere Rosa
non è la spina, o il velluto del cuore,
mia cara, che ti distingue, piuttosto

la tua temeraria grazia fiorita
di carne e di sangue e odore di selva:
unica corolla in questo giardino
rimasta a guardare oltre la siepe.

Nel giardino, rinchiuso da una cinta
di bosso, ti risvegli e spalanchi
ogni tuo tenero petalo al sole.

Uno è il tuo sguardo, l'altro è il tuo orgoglio,
il terzo è il sogno di essere colta
innocente, da una mano fervente...


Marianna Piani
Annecy, 12 Giugno 2014


6

Mimma


La Domenica, la luce, e il mare
che se ne pasce, e il canto lontano
di un peschereccio al largo, nella baia,
che insegue la linea dell'orizzonte.

E i tuoi capelli rosso fiamma contro
il cobalto del cielo e gli occhi
fiammanti anche quelli, pronti a salpare
per infinite avventure oltremare.

Il profilo del vulcano, impresso
nella tua mente, magma ribollente,
libera e ribelle senza padroni.

E il pino leggendario, che come te
si sporge dal promontorio sulle onde
schiumanti la folle passione del vento!


Marianna Piani
Milano, 15 Giugno 2014

mercoledì 19 novembre 2014

In Nomine - II


Amiche care, amici,

come promesso, ecco il secondo appuntamento con la mia raccolta di sonetti dedicati ad alcuni, amati, nomi di donna.

Una volta finito di scriverli, voglio dire una volta completato il progetto originale di quattordici composizioni, mi sono chiesta in che ordine le avrei infine pubblicate. Avevo pensato a un ordine alfabetico, ma mi sembrava troppo ovvio, e rigido. Oppure in ordine di vicinanza delle persone cui su riferiscono in origine, vale a dire dai ricordi più antichi agli incontri più recenti. Alla fine ho optato per mantenere semplicemente l'ordine, del tutto casuale, in cui le avevo composte, nell'arco di poco più di un mese. Ma anche questo non mi soddisfaceva. Sembra questione di poco conto, in quanto si tratta in realtà di composizioni indipendenti e irrelate tra loro, accomunate solo dalla forma metrica. Invece anche questo è un atto in qualche modo poetico: nel mettere insieme una raccolta occorre pensare anche alla sua struttura generale, un poco come quando nel disporre i dipinti per una mostra si pensa a come disporli sulle pareti, in quale ordine, con quali accostamenti. Ed è proprio con questo ultimo criterio, quello puramente estetico, che poi, alla fine, ho deciso l'ordine definitivo, quello che se vorrete potrete seguire qui con me.
 

Vi "presento" quindi oggi Costanza e Serena (la mia Serenella!) due dolcissime amiche della mia tormentata adolescenza...

Per voi, amiche dilette, e amici cari, come sempre, con amore.

M.P.





In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto


3

Costanza

Occhi di danza, capelli di mare,
bruni gli sguardi, turbate dai venti
le ciocche odorose intrise di salso,
in cima al molo, a scrutare distanze.

Perserverante è il tornar delle onde
sempre sul dorso ai medesimi scogli,
e tu che osservi con malinconia
la marea che lascia gamberi morti.

Rimarresti aggrappata a quegli scogli
il corso di una - o dieci vite,
pur d'attendere un suo incerto ritorno:

imbandiresti le coppe col vino
del tuo desiderio, e con il miele
della tua fede in un incrollabile amore.



Marianna Piani
Milano, 4 Giugno 2014


4

Serena

Grandi immensi chiari occhi affluenti
come le lune d'agosto che sorgono
all'orizzonte dove il golfo s'apre
in un vasto sospiro di mare.

Chi ha mai conosciuto occhi più grandi
più azzurri e più stupiti di sentirsi
amati, chi mai ha sognato sguardi
sognanti così, tra le sue mani?

I gabbiani svolano quasi in stormo,
ed in mezzo a loro passa la nave
che parte tra un garrire di ali

e di stendardi: il cielo è del tutto
sgombro di nubi, soltanto i gabbiani
hanno il futuro nelle loro ali.



Marianna Piani
Milano, 7 Giugno 2014

sabato 15 novembre 2014

In Nomine - I


Amiche care, e amici,

quest'estate ho sentito, dopo diversi anni di pratica del verso libero, di riavvicinarmi gradualmente alla "forma chiusa".
Non è una nostalgia del passato, né una reminiscenza scolastica. Semplicemente sentivo la necessità di riconsiderare la mia scrittura, un esercizio fin troppo facile per me, attraverso il filtro di una struttura formale, così come in musica, dopo decenni di atonalismo, l'orecchio sente il bisogno di "riposare" (si fa per dire) nell'ambito del sistema temperato e della tonalità, magari violandone qualche canone per motivi espressivi, o perché certi vincoli a volte ci vanno troppo stretti ormai.
Io ritengo la metrica classica, così come il sistema tonale, una convenzione di comunicazione, una sorta di patto stretto tra autori ed ascoltatori (o lettori) per stabilire un codice comune tra di loro, con un sistema di regole che in fondo sono una sorta di patto sociale, quasi di bon ton, dove anche l'infrazione assume un senso e una valenza forte.
In un sistema del tutto infranto, infatti, che senso può mai avere l'infrazione?
Se ci pensate, quando io mi affido al verso libero non dico nulla di "formalmente" nuovo, nulla che possa incidere sulla grigia entropia del convenzionale per trasmettere l'emozione o il messaggio poetico che mi sta a cuore. Il verso libero ha perduto ormai da molti decenni ogni sua valenza di novità, ed è divenuto semplicemente una convenzione come le altre, perfino più di altre. Con uno svantaggio, però, rispetto alle forme chiuse del passato, quella di aprire la via al facile, al superfluo, al nulla.
L'unico "canone" metrico del verso libero in realtà è il "a capo". E capirete che ciò traccia un confine assai labile con la prosa, e, peggio, con il prosastico, per cui è divenuto oggi difficilissimo comporre (o - purtroppo - leggere) dei versi liberi non dico eccellenti, ma anche solo accettabili. Un po' come oggi, nell'epoca degli smartphones, è divenuto difficilissimo realizzare (che non sia del tutto casualmente) una bella fotografia.
Per questo ho parlato di "riposo": il metro, la forma chiusa, la rima, offrono allo scrittore una struttura, un alveo in cui contenere la propria ispirazione, un modo di tenerla sotto controllo, come una vetta che offre al rocciatore gli appigli da afferrare, le spaccature a cui assicurare i chiodi che gli consentano di continuare a salire.

Naturalmente oggi non si può nemmeno semplicemente e mimeticamente "riesumare" una antica forma per appiccicarci i propri versi. Occorre assimilare, questa forma, renderla viva e significativa. Il che avviene non semplicemente con la conta delle sillabe, ma con un processo assai più complesso, che, se affrontato seriamente, diviene un nuovo autentico cimento per uno scrittore sufficientemente "onesto" con sé stesso. A questo punto la "facilità" non è più a portata di mano, e occorre invece lavorare (i.e. usare del proprio talento)  perché la forma non abbia il sopravvento, e dissolva l'emozione. Affascinante, non trovate?

Dunque, in tutte le mie composizioni da qualche tempo a questa parte ha teatro, in misura maggiore o minore, questo conflitto, che ormai per me è l'unico terreno su cui il seme dell'ispirazione riesce a germogliare.
Tuttavia ciò avviene sottotraccia, e raramente - al di là della la mia predilezione, che viene da tempi "non sospetti", per l'ordinamento in quartine o terzine - raramente dicevo si avvicina a un canone metrico ben definito.

Eccezione per il sonetto: la Forma Poetica forse più nobile della tradizione Italiana, che ha esercitato su di me da sempre una attrazione e un fascino irresistibili, tanto da spingermi, se pur sporadicamente, a tentare qualche esperimento in tal senso.
Ma quest'estate ho sentito in desiderio - dovrei dire l'urgenza - di fare un passo in più, di esplorare a fondo questa forma nobile, sintetica, armoniosa, e di saziarmene per un po', in un certo senso.

Per questo ho avviato un progetto di raccolta che aveva (cosa inconsueta per me già questa) già dall'inizio una struttura architettonica ben definita:
quattordici sonetti come quattordici sono i canonici versi del sonetto, in una simmetria di carattere appunto architettonico certo non nuova in assoluto (sono tanti gli esempi del genere, anche solo restando nell'ambito della Poesia del novecento), ma di certo nuova, nell'intenzione, per me. Sonetti, come vedrete, "liberi", che si permettono di "giocare" un poco con la forma classica, versi irrelati e metri magari inconsueti, ma pur sempre dei sonetti.
E l'idea, l'ispirazione di base, è stata subito quella di scriverne ognuno dedicato a un diverso nome di donna, tra quelle che hanno avuto importanza nelle mie vita.
Non si tratta di ritratti veri e propri però, solo di suggestioni: dietro ciascun nome si cela un destino (di questo sono convinta) e ognuno di questi è il ritratto di UNA specifica donna che porta quel nome, ma non solo. Ogni nome è l'apparato simbolico che raffigura una certa universalità del femminile, vista dall'ottica di una donna, quale sono io, profondamente innamorata della femminilità, in tutte le sue espressioni.
Per fare un esempio, Gioia non è (solo) il ritratto di una specifica donna, amica mia, di nome Gioia, ma rappresenta, o vorrebbe rappresentare, tutte le Donne-Gioia che ho incontrato, e amato, nella mia vita.


Uh! Ma quanto chiacchiero! Scusate...
Ecco, da oggi vi proporrò, con la solita cadenza "tendenzialmente" bisettimanale, due di questi ritratti, o meglio, due di questi bellissimi e amatissimi nomi. Fino alla fine della raccolta.

Oggi aprirò la prima coppia anche con un "prologhetto giocoso" che ho composto (alla fine) con l'intento voluto di sdrammatizzare ogni aura accademica o scolastica di questo piccolo esperimento. Che spero tanto vorrete seguire con la vostra consueta indulgenza.

Grazie per esserci. Con amore, vostra

M.P.







In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto



Sonetti sono!

(Prologhetto giocoso)


I sonetti, mi vanno un po' stretti:
come un paio di bei sandaletti,
così sensuali, alti di tacco,
ma così scomodi da portare.

Per questo ne ho composti di fila
un'intera dozzina, più un paio
che ho aggiunto poi per pareggiare
coi pezzi il numero dei canonici

versi. E per scongiurare i rischi
d'una accademica noia, presi
a caso tra le amiche più care

quattordici nomi di splendide donne,
care amiche, sorelle, amanti o spose,
a ispirarmi l'incanto della bellezza.


Nebbiuno, 12 Ottobre 2014




1

Gloria


Vita di sole, vita di luce, vita che al mattino
t'affacci alla vita; prato di salvia, muschio silvestre,
profumo dorato del lago che ti reca il libeccio,
sguardo adorato, gioiello di cielo in uno scrigno

di ciglia. Bocca ridente come la valle nell'alba
che s'apre alla brezza, le labbra assetate di brina,
e le tue braccia nude, sottili e bianche, appoggiate
al parapetto del giorno, e io qui che ti contemplo...

E allora io mi chiedo stupita che mai ti trattiene
dal prendere il volo, come fa l'airone cinerino
dal suo canneto, per elevarsi al cospetto del sole.

E dispiegare le tue ali immense contro la luce
abbagliante. E invece, quieta, rimani nei tuoi pensieri,
appagata della beltà della tua candida grazia.




Marianna Piani
Nebbiuno, 5 Giugno 2014




2

Gioia

 
Sei discesa d'un balzo dalla motocicletta
come una rondine in livrea neroargentata,
hai liberato i capelli dall'elmo lucente
con una vampa di rosso che m'ha illuminata.

Per un istante i tuoi occhi color di foresta
hanno fissato la strada percorsa d'un fiato
che riverbera ancora del pulsare ruggente
del tuo due tempi - e del tuo cuore appassionato.

Ognuno vedendoti sogna di starti accanto
e di stringerti forte i fianchi per non cadere
mentre tu ti getti in picchiata nel precipizio

dell'aspide grigio d'asfalto giù dallo Stelvio.
La tua bellezza è quella d'una fiera pantera
che balza sull'anima, e ne addenta la gola.



Marianna Piani
Nebbiuno, 6 Giugno 2014


mercoledì 12 novembre 2014

Adriatico caro e solenne



Amiche care, amici,

Una nuova poesia dedicata al "mio" mare, scritta durante una breve visita alla mia città natale, all'inizio dell'estate.

Ogni città, ogni luogo, specialmente qui in Italia, ha qualcosa di speciale, di inconfondibile ed inimitabile.
Io da parte mia sono fiera di essere nata in questa città di frontiera, così peculiare, incrocio di vie, di culture e di mentalità, e perfino di idiomi.
Città laica come poche, eppure capace di ospitare i templi di tutte le principali religioni, templi che convivono quasi fisicamente, faccia a faccia l'uno all'altro.
Città mercantile, eppure venata di un raffinato intellettualismo, città dal dialetto ancora vivo, ancora in alcune zone incontaminato, eppure patria di scrittori e poeti di grande e raffinato livello.
Città corrusca, difficile, ventosa, incostante, eppure dolcissima, mite di clima, luminosa, fedele.

Città infine che si affaccia al mare, anzi che ha il mare proprio nel cuore del suo centro urbano, aprendo una tra le piazze più particolari del mondo, con il lato scenograficamente primario, il frontale, il boccascena, affacciato direttamente sul mare, pronto ad accoglierne le brezze temperate e le furiose tempeste.
Questo è ciò che chiamo il "mio mare", anche se in questa composizione narro di una particolare veduta, non direttamente sulla riva, ma dall'alto di una strada (pedonale, per fortuna e per lungimiranza) che lo costeggia, meta di mille mie passeggiate da ragazzina, in compagnia della mia adorata sorella.

Una antica passeggiata, la sua memoria, o anche nostalgia, e il mio amore per il mare che mi ha visto nascere, in cui ho giocato, lungamente, durante tutta l'infanzia.
Se l'anima che abbiamo in noi è fatta come è fatta, molto lo dobbiamo - anche - a certi luoghi speciali, che hanno una particolarissima valenza per ciascuno di noi. Questo mare, queste vedute, questi suoni, tutto questo ha contribuito a plasmare la Marianna che conoscete, in modo profondo e decisivo.

Ve l'affido, amiche dilette e amici fedeli e pazienti, con tutto il mio amore.

M.P.



Adriatico caro e solenne


Liquido pensiero, cullante memoria,
solida roccia per le mie parole, impresse
a colpi di scalpello là dove infrange l'onda.

Nostalgia, vana forse, impigliata tra i rami
dei rovi lungo le sponde dell'erta terrosa
che percorrevo con la sorella di sangue

parlando delle nostre illusioni, nel mentre
cento metri sotto a noi la corrente
si confondeva schiumando con la scogliera.

Lente sul ciglio avanzavano le file solenni
delle processionarie dei pini, surreali convogli,
con i loro velenosi colori bruni e arancioni

indolenti, come pellegrini al sacro monte:
io non le amavo, seppure ammiravo il prodigio
delle mutazioni cui si assoggettano pazienti

queste creature di terra e di cielo.
Mia sorella ne aveva invece vivo orrore,
e all'incrocio cambiavamo il passo e il sentiero.

Eppure, intanto, nostro malgrado sempre inatteso,
avanzava il meriggio caldo e dorato d'estate,
intriso dell'essenze pur aspre e riarse

delle pinete. E placidamente, solennemente
al di là di una fragile trina di ispidi rami,
si estendeva all'orizzonte questo cielo capovolto,

questa distesa di spume, di alghe sommerse,
di scogli affioranti, di valve schiuse, di guizzi argentei,
di meduse danzanti e di vagheggiar di sirene.

Se si faceva silenzio a sufficienza, lo si sentiva
fin da lassù respirare, questo nostro caro mare,
e sussurrare il canto della nostra primigenia

dolce, irripetibile, giovanile incoscienza.



Marianna Piani
Trieste 22 Giugno 2014

sabato 8 novembre 2014

A5, Chatillon





Amiche care, amici,

da un taccuino di viaggio...
Un appunto fissato sulla carta di un colpo di fulmine scoccato durante un veloce trasferimento per lavoro, a bordo della motocicletta, potente, elegante e pericolosa, di una compagna d'avventura, e mia collega per un incarico oltreconfine, in Francia. Io, grazie alle mie conoscenze linguistiche, ricevo spesso incarichi di questo tipo. Ma quell'occasione fu diversa, perché era quasi Estate, e la mia collega mi offrì un passaggio. Che per la verità ci portò un poco fuori dal percorso tracciato.

Il fascino e la bellezza del viaggio, il fascino e la bellezza della velocità.

Il fascino e la bellezza della libertà assoluta, reificata, incarnata nel viaggio - una libertà espressa dallo stesso concetto di movimento: il movimento è trasformazione, e la trasformazione per definizione è libertà.
Il fascino e la bellezza, infine, della mia compagna, capelli color rame, molto lunghi, corpo agile, mente brillantissima.
Questo è stato il cocktail che ha sconvolto la mia vita, per diverse settimane, in quei giorni precocemente caldi. Questi sono gli incontri - e i momenti che da questi incontri scaturiscono - che rendono la vita davvero degna di essere vissuta.
Poi
, come ahimé spesso avviene, il legame non ha retto, alla prova della vita, che poche settimane di passione molto sconsiderata. Ma di certo l'emozione e la memoria di quella corsa in autostrada, con il cuore in gola, ancora mi suscita vertigine, e rimarrà vivida e netta, impressa nella mia anima, per sempre.

La condivido con voi, amiche dilette e amici cari, se vorrete; come sempre, con amore.

M.P.


(Perdonatemi se non sono stata presente mercoledì scorso, ma il lavoro un po' strabordante, e qualche problema di salute di troppo, in questo periodo mi impediscono di essere puntualissima con voi. Appena posso, ci provo. Scusatemi davvero tanto...)



A5, Chatillon


 

Si profila, sulla linea dell'orizzonte
il monte ancor bianco innevato come
un immane cetaceo addormentato.

L'autostrada come un arpione
diritta gli si conficca nel ventre,
mentre io mi aggrappo alle anche

tenaci dell'amor mio alla guida.
Precipitiamo, come aviogetti abbattuti
nell'inesplicabile turbine del tempo.

Pare che intoni la nostra passione
il cuore due tempi che ci proietta
lungo l'incostante linea di mezzeria.

Accecata dal vento e dai suoi capelli
che sfuggono all'elmo e mi frustano il viso,
mi sento senza peso, e senza tempo.

Più veloce! le grido, un grido, o un guaito,
che pare un bisbiglio in quel frastuono,
ed è invece un grido vero, quasi d'amplesso.

Quasi di fuoco. Quasi di orgasmo.
Il suo corpo pronto risponde, tendendo l'arco
del dorso, come una puledra che impenna.

Sfila il paesaggio mutato in un vortice
di luce e d'ombra, con in fondo il sole
così distante da noi da parere

privo di sguardo, senza espressione. E invece
io sento che l'astro ora ci invidia
la nostra libertà selvaggia di fuga

e ci dardeggia di raggi fiammanti
che picchiano sui caschi balenanti,
abbacinando chi da lontano ci scorgesse.

Stringo a me le braccia, con lei in mezzo,
che alla mia stretta convulsa trasalisce
e mi chiede, inclinando il capo: "Paura?"

Ma quale paura? Potessi morire
ora all'istante, confusa alla sua vita,
in questa corsa folle tra i guard rail

verso una meta che nulla più importa!



Marianna Piani
Milano, 15 Giugno 2014

sabato 1 novembre 2014

Il vento muove



Amiche care, amici

Io sono nata in una città di mare e di vento, e, appunto, amo, anzi adoro il mare, e adoro il vento.

Non sempre questo mio amore è condiviso. Ho avuto una ragazza che il vento lo detestava, proprio lo detestava. Qui a Milano non è un evento comune come dalle mie parti, e certo non ha l'aspetto e la voce emozionante dei turbini di borino che sollevano schiuma salmastra, e ne irrorano vestiti e capelli mentre si passeggia sul molo o lungo riva, tuttavia è sempre un fenomeno eccitante, per me, capace di farmi sragionare, di farmi correre all'aperto solo per il piacere di sentirlo passare tra i capelli, nelle gonne, sulla pelle. Questa ragazza non capiva, quando s'alzava il vento piuttosto si rintanava in casa, ascoltava inquieta come una gatta il rumore delle persiane che sbattacchiavano, o l'ululato vagamente sinistro della corrente spinta tra le fessure di una porta chiusa. Lei in quei casi mi diceva che ero proprio una matta, a fare tutte quelle scene. Il vento per lei era una seccatura, si legava stretta i capelli (quand'io invece li scioglievo) pur di non sentirseli strapazzare, come diceva lei, indossava pantaloni attillati e scarpe basse, come se temesse che la spinta traditrice di una folata improvvisa potesse farla cadere. Io cantavo, lei mugugnava. In quei momenti avevo come la sensazione che fosse molto gelosa, del mio rapporto intimo con il vento.
Ma si può essere gelose di un fenomeno naturale, come il vento?
Sicuramente sì, secondo me, perché il vento è amore, ed è in qualche senso un amore sensualissimo, per chi lo prova, quasi carnale…

Amiche dilette e amici cari, vi lascio a questa ventosa composizione, sperando che, a differenza di questa mia ragazza abbiate qualche volta provato queste sensazioni, e quindi che mi possiate capire!

Con amore

M.P.





Il vento muove


Il vento muove le sue ali
e rigonfia d'ebbrezza le mie vesti,
s'insinua tra i capelli come dita
di un'amante e li scompiglia,
e come amante, scompiglia i miei pensieri,
e vela i miei occhi appena desti
di lacrime che non sono pianto,
né dolore, né emozione,
e neppure nostalgia dell'amore,
del nostro letto sfatto all'alba.
Non memoria, non oblio.

Io le chiamo:
lacrime di vento.

Poiché assieme al vento
vengono, e con esso vanno,
come le nubi che dilagano
sopra il lago, come una coltre,
e poi si sfanno in un tramonto
commovente, dal tenero colore
delle tue guance imporporite
dalla piena del piacere che ti ho versato
quand'eri tra le mie braccia.
Dalle mie labbra.
Sulle tue indicibili pupille.

Che io chiamo:
le mie accecanti stelle.

Il vento è come un ragazzo,
incapace di memoria, spoglio
d'ogni passato, incosciente
d'un qualsiasi futuro: viene, e passa
sopra il mio corpo come il brivido
d'un falco che si getta sulla preda;
e come il falco, il vento spiega
le sue ali, con il palpito
di un arcangelo che s'invola,
e ancora, il suo afflato azzurro
gonfia d'ebbrezza le mie vesti bianche.

È consolante, è esaltante,
accogliere questo mio vento
tra le braccia, come un amante.



Marianna Piani
Nebbiuno, 2 Giugno 2014