«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

mercoledì 25 giugno 2014

Il salmastro, il ventoso e l'onda


Amiche dilette e amici cari,

Sensualità ed erotismo in poesia: io ne diffido, perché si tratta di moti d'istinto, di emozioni al limite dell'incontrollabile, estranei all'espressione poetica.
Intendiamoci, non diffido dell'argomento in sé, la poesia di tutti i tempi è indubbiamente sensualità e eros fattisi verbo. Diffido della mia personale di sensualità, troppo forte, troppo intrigante e ingombrante, da esprimere carnalmente, ma non priva di rischi nel tradurrla sulla carta. L'Arte è dominio sulle emozioni e sui sensi, anche se parrebbe il contrario. Occorre distacco e tecnica per plasmare la materia ed ottenere un risultato accettabile, e degno di essere consegnato al mondo.
Chi ci legge ha diritto prima di tutto al rispetto. Non è questione di pudore, io non ne ho proprio, sono spudoratissima, e lo sapete; gli è che il lettore ha il diritto di trovare sé stesso nella nostra scrittura, e nulla gli può importare dei nostri intimi ardori se non nella misura in cui li possa riconoscere come propri. Noi scrivendo di noi stessi in realtà "interpretiamo" attraverso il nostro corpo e la nostra anima ciò che i nostri lettori-spettatori sentono di sé. Siamo degli attori in scena, dei musicisti sul palco, dei trapezisti in cima al tendone, dei clowns sulla sabbia del circo, dei gladiatori nell'arena. Quando il sipario si apre, quando il libro è in vetrina, quando il click del blog è scattato, da quel momento non siamo più noi ad importare, siamo ciò che il nostro pubblico, i nostri lettori, pochi o tanti che siano, riconoscono in noi.
L'erotismo personalmente, in quanto emozione primaria, mi distrae dalla scrittura, e quando la scrittura perde il dominio della materia narrata, l'eros da arte si muta in pornografia.
Nulla di male per me nella pornografia, se cosciente e non camuffata da ciò che non le compete. Uno scritto, o un'immagine - ma per noi donne soprattutto la parola, poiché a differenza dei maschi la nostra sensibilità è assai più di pensiero che di immagine -  ci può coinvolgere, eccitare, anche travolgere. Ma ovviamente ciò è più vicino al sesso che all'arte. Sesso e Arte ono due manifestazioni umane collegate in quanto appunto profondamente umane, ma ben diverse.


Tuttavia, come dicevo, la Poesia è il luogo deputato dell'Eros, così come lo sono tutte le arti se ci pensate, e questo converrete è un assai bel paradosso. Ed io non me ne posso esimere, se voglio scrivere ed emozionare...

Per voi, amiche care, e amici, un incontro. Immaginario? Reale? Sognato? Vissuto? Non importa, perché alla fine è uguale ad ogni vero incontro, tra due anime, e, brevemente, fugacemente, due corpi.
 

Con amore

M.P.




Il salmastro, il ventoso e l'onda


Il ragazzo che mi venne incontro, quel mattino,
lo sguardo cupo, i ricci neri intorcigliati, un incedere
scontroso e franco mentre dall'acqua saliva sulla riva
con l'odore acuto del pescato addosso e l'amaro
del salmastro incrostato su ogni centimetro di pelle:
avrei lasciato che mi prendesse all'istante, lì sul posto -
se soltanto m'avesse porto la sua mano scura
grossa e breve come il ceppo aperto da una saetta.

Chi sapeva cosa c'era di fatica e di avventura
dietro quelle labbra dure e fredde come squame
e quelle palpebre abbassate in un'espressione
di sprezzante e innocente selvaggeria?
Certo i marosi e la spuma urticante delle tempeste,
e il sole armato delle estati accese al largo
gl'incisero nel volto il marchio a fuoco
del suo libero e incantevole destino.

Ciò che in me sentii fu il soffio del maestrale
che mi spingeva vigoroso sulle spalle nude
e levava i capelli in un turbine di spighe brune
che mi accecavano lo sguardo e l'intelletto.
Ciò che volli allora fu soltanto lasciarmi andare
come il nocchiero abbandona la barra alle correnti
confidando solo nell'arbitrio della Natura
che affida ogni bellezza all'ala della sorte.

Egli non si fermò accanto a me che un istante,
il tempo di vederne le pupille venate d'oro,
e di sentire il suo respiro largo e calmo
com'era il ritmo inquieto del suo mare.
Io lasciai la mia veste sulla riva
come la corolla d'una campanula sfiorita,
e lasciai giungere a me morbida e lenta l'onda.

Fu presto su di me, mi prese e mi sommerse
e infine mi trascinò al largo inerte, aperta
come le valve disseccate d'una conchiglia.



Marianna Piani
Milano, 20 Marzo 2014

sabato 21 giugno 2014

Le tue mani, la tua gloria


Amiche dilette, amici cari

a volte mi si chiede (è una domanda piuttosto comune, tanto per far conversazione, ma non così banale se ci pensate), quale è la prima cosa che osservo in una donna (o in un uomo).
Io non ho dubbi nella risposta, in questi casi, anche se certo non si tratta di una risposta particolarmente sorprendente credo. Gli occhi, di certo, sono fondamentali, ma prima ancora lo sono le mani. Le mani, per me, sono la sintesi dell'intera persona e della sua personalità, più ancora dello sguardo, che negli anni e con l'interazione sociale impariamo a dominare, a mascherare, anche a fingere: le mani invece, sono l'autentico specchio dell'anima.

Non è soltanto una metafora, o un paradosso poetico, nelle mani è davvero espressa l'intera persona, a cominciare dall'aspetto fisico, l'eleganza, la bellezza, la dolcezza. Le mani sono forti o tenere, snelle o gravi, agili oppure caute, delicate oppure tenaci, sensibili o voraci; attraverso le mani si compie per me una gran parte del percorso seduttivo che si scatena tra un individuo e l'altro, l'attrazione (o all'opposto la ripulsa) per me partono dal contatto e dalla immagine che le mani per prime ci comunicano, senza possibilità di finzione o mascheramento, poiché sono le parti più esposte e nude che offriamo all'ambiente esterno.


Le mani, poi, sono quelle che ci sfiorano, ci accarezzano, ci eccitano, esplorano il nostro corpo e scatenano emozioni e puro piacere nell'incontro con i nostri più segreti e intimi recessi.
L'innamoramento è un processo complesso, non importa quanto istantaneo o di lunga maturazione possa essere, coinvolge così nel profondo e così tanta perte di noi da non poter essere definito, per quanto da sempre i Poeti, eterni illusi, si sforzino a farlo. Ma per me, di certo, nel momento in cui le mie mani raggiungono e stringono quelle dell'oggetto della mia attenzione e del mio desiderio, in quel preciso istante sono certa il processo giunge al suo compimento, al suo apice, e l'attrazione si può chiamare da quel momento, e forse solo da quel momento, amore.

Dedico a voi, amiche care e amici, queste mie piccole riflessioni, e le parole che ne sono scaturìte.

Con amore.

M.P.





Le tue mani, la tua gloria,
furono tutto il mio destino
dal primo istante che le scorsi:

più degli occhi, così chiari
come stelle alla marina,
in cui temetti di annegare.

Più delle labbra tue
ardenti come fiamme
che mai avrei osato di sfiorare

per timore di bruciare.
Prima anche del tuo cuore,
che solo ora così conosco

e mi sconvolge, più del vento
che scompiglia i tuoi capelli
riversando oro puro sul tuo viso.

Così sfiorarono le mie le mani tue,
come le ali d'un falco bianco,
salde e lievi, sussurranti.

Le mie allora, incerte inerti
raggelate dal riserbo,
palpitariono lievemente.

E da quel palpito soltanto
le tue seppero che mi possedevi,
da quell'istante, forse per sempre.

Mani bianche come neve,
mani calde, tenere camelie,
senza il segno d'uno screzio,

prive di ogni esitazione,
mi stringevano le dita
acciocché io non più fuggissi.

Le tue mani vidi, quel giorno
sulle mie, e da allora
è mutato il mio destino,

è mutato il corso delle stelle,
è mutato il cielo ed è mutato
fino anche il mare che ci attende

tra faville di bellezza.
Mai più vorrei lasciare
il loro tenero possesso.

Questa dolcissima
mia tenera prigione.



Marianna Piani
Milano, 16 Marzo 2014

mercoledì 18 giugno 2014

Sette ore di volo


Amiche dilette, amici,

partivo allora per un viaggio, di lavoro.
L'occupazione che ho adesso, dopo un anno abbondante di gravi difficoltà, accentuate anche dal mio stato di salute non proprio brillante, mi porta a spostarmi relativamente spesso, anche per destinazioni, come nel caso che è l'ispirazione delle righe che seguono, piuttosto lontane.
In generale adoro viaggiare, chi mi conosce appena un po' lo sa. Non amo però viaggiare in aereo, il volo lo considero quasi una sfida dell'orgoglio - o tracotanza - umana alla natura, e comunque si tratta a mio avviso di uno dei più disagevoli modi di spostarsi. Non è solo una questione di fobia nei confronti dell'idea del volo in sé. Anzi, devo dire che quella è l'ultima delle mie preoccupazioni.
No, sono le attese, le situazioni di costrizione alla libertà cui occorre sottoporsi spontaneamente per poter accedere a questo privilegio, i controlli e i controcontrolli, i sedili angusti (anche per me che sono piccolina) e scomodi, il vicino della poltrona davanti che inclina lo schienale fino addosso alla tua faccia, quello del sedile al lato che non trova di meglio da fare che importunarti, tanto non puoi allontanarti, le ore e ore che non passano mai, l'attendere la fila per il bagno, che poi è un loculo cimiteriale, appena sufficiente per respirare, pesantemente promiscuo.
E potrei continuare. Eppure, come dicevo, il concetto del "viaggio" per me, nella mia vita, è essenziale, e costituisce certamente una grande metafora, aperta alle nostre riflessioni e, ciò che più conta, alla nostra immaginazione. Il viaggio è cambiamento ed è immaginazione, per questo è sempre comunque produttivo.

Eccomi dunque qui, su una scomoda panchina nella sala turistica dell'aeroporto, in attesa del mio volo, peraltro puntuale, per fortuna. Scrivere, è un modo per riempire un tempo "istituzionalmente" vuoto, un momento di sospensione tra l'immobilità, la conservazione, e il movimento, la mutazione, e per fissare questo momento non solo nello spazio, ma anche nel tempo…

Condivido con voi, amiche care e amici fedeli, come di consueto, con amore.

M.P.




Sette ore di volo


Nessuno è più solo, con sé stesso,
di chi parte in volo.
Rarefatta è l'atmosfera oltre il vetro spesso,
e il sole, imperioso, non è più il buon sole noto,
compagno dolce - o vivido - della terra:
il sole è un astro ora, il suo sguardo
acceca, puntiforme, assoluto,
sfolgorando sulla sciabola d'acciaio
dell'ala tesa a tagliare il gelo
e le nubi che si fondono
in nevai sterminati.
Sessantacinque gradi sotto zero
quarantamila piedi
di spaventoso vuoto
quattromila miglia di distanza
da ogni nuova accogliente terra.


Il pensiero si spaura, si ritrae
stupefatto, sconfitto da ciò che in questo
v'è d'inumano e vi è d'astratto.
Nessuno al mondo è più solo
d'un passeggero in volo.
Il destino è appeso alla corrente
impalpabile che lo sostiene in vita -
in questo non difforme
da ogni altra forma di esistenza.
Ogni vita è un'ala sfolgorante
che ci sostiene sopra il mondo.
Ogni volo è immaginazione,
ogni partenza è sogno,
ogni viaggio è ispirazione,
ogni ritorno infine
una sconfitta.



Marianna Piani
Malpensa, Marzo 2014

sabato 14 giugno 2014

Al fulgore degli amanti


Amiche dilette e amici,

Come i più "fedeli" tra voi sanno, io ho una sorta di riserva di composizioni inedite che attendono con pazienza di "venire alla luce", dopo un periodo più o meno lungo di quarantena che mi consente di "filtrare" tra le tante solo le più "degne", non prima di averle sottoposte ad una attenta revisione.
Per questo non so mai, fino all'ultimo, quale sarà la composizione "di turno", e il mood, la tensione e l'emozione che racchiude in sé, frutto di un momento  particolare, magari oramai dimenticato. E per questo esse sono, in un certo senso, una sorpresa anche per me, quando le ritrovo.
Questa, che non a caso non ha - come invece usualmente hanno i miei pezzi - una data precisa, è frutto in realtà di uno di quei momenti che un tempo si sarebbe detto "ispirazione", momenti che stanno diventando per me sempre più rari, in quanto la mia scrittura si va facendo via via sempre più "sorvegliata" e in cerca di una espressione - anche formale - sempre più studiata, pur non perdendone mai di vista il motivo primario, che è la comunicazione. Si tratta invece in casi come questo di una ispirazione così rapida ed urgente da farmi dimenticare di annotare il giorno e il luogo di creazione.
Composizioni così nascono da una forte emozione - ma attenzione, si tratta di emozione che nasce dall'interno dell'anima, non necessariamente di un vissuto contingente - e in un certo senso "si scrivono da sole", quasi imponendosi allo scrivente che altro non può fare se non trascriverle, come sotto dettatura, e di solito si compiono in un unico "gesto" di scrittura. Voglio dire che nel giro di pochi minuti la composizione si presenta pronta e finita, da inizio a fine, senza ripensamenti o pause di indecisione, in questo o quel punto.
Scrivere così è pericolosissimo, in quanto si rischia veramente di perdere il controllo della situazione, ed infatti in passato, quando la presenza di queste "improvvisazioni liriche" nel mio lavoro era più consistente, la maggior parte di esse non superava la prova di una prima revisione obiettiva, e veniva eliminata, o riposta nel fondo del cassetto.
Tuttavia in alcuni casi - e tutt'ora mi accade - la vivezza di una "ispirazione", che sfiora a volte la visionarietà, mi pare che produca dei risultati che vale la pena di proporre alla vostra - fin troppo benevola - attenzione, miei cari lettori e lettrici.


È il caso, ho creduto, di questa cosetta di oggi, dal tono molto teso e quasi declamatorio: ciò del tutto involontariamente, vi assicuro, poiché qui non è la scrittrice a dominare la scena, ma la Pura Parola.

Ve la propongo, come sempre, amiche dilette e amici cari, con amore.

M.P.




Al fulgore degli amanti


Ogni intensità di vita
ci prende alla sprovvista
perfora lo sguardo breve
delle nostre attese
e travalica il traguardo
delle nostre idee.

Così ogni fulgore
che ci inonda di calore,
e ogni deflagrar di stella
incide la nostra mente
dal profondo di galassie,
inesplorate e ignote.

Così ogni bellezza
che travolge la mia saggezza
come una foglia spiccata cade
in acqua, in balia della corrente,
tra le pietre levigate da millenni d'ira
e di gelida perserveranza.

Così negli occhi degli amanti
si consuma e si fonde
ogni volontà e ogni riserbo,
e i corpi dilagano mutando
l'anima in pura luce bianca
come fissili atomi raggianti.

Così è la luce che trafigge il mondo
a ogni incontro di chi s'ama,
scaturigine d'energia
primordiale forza della terra;
quando tu mi sei accanto
la fiamma arde nel braciere

dei nostri cuori precipitanti in fiamme.



Marianna Piani
Marzo 2014

mercoledì 11 giugno 2014

Al ritorno


Amiche dilette, amici…

E se proprio non "presentassi" questa mia proposta di oggi? Se lasciassi, per una volta, che fosse la stessa composizione a "presentarsi" da sé?
Sapete, sono diversi i motivi che mi spingono a scrivere queste brevi introduzioni, mi piace certo intrettenere un dialogo diretto con chi dedica una parte del suo tempo a leggere le mie parole, e mi piace usare questo spazio per "sdrammatizzare" anche un pochino questa mia "ispirazione", spesso malinconica, o drammatica, magari illustrandone un poco l'origine, la genesi, la tecnica, come una specie di backstage, per così dire. Ma di sicuro alla base c'è una mia profonda ed invincibile insicurezza, e il bisogno che sento di non lasciare queste mie fragili creature ad "affrontare il mondo" senza accompagnarle per mano, almeno i primi passi… In effetti, al di là della "forma" più o meno riuscita che riesco a dare a queste mie parole, io in queste pagine ho scelto di scoprire me stessa nel profondo, senza infingimenti o pudori, e dunque sento una forte appartenenza nei confronti di questa scrittura. Ogni volta mi sento vivamente emozionata, come se dovessi uscire allo scoperto di persona, sulla scena, in un teatro, di fronte a dieci, cento o mille persone che mi osservano. Per questo la "presentazione" è quasi un'esigenza compensativa, un'ultimo brandello di "difesa" cui mi aggrappo, prima di "buttarmi" allo sbaraglio, ed è anche forse un modo per dilazionare il più possibile il momento dell'impatto...


Eppure, sinceramente, vorrei lasciare a chi legge la totale libertà di comprendere e giudicare le mie "cosette", lasciando piena libertà di pensiero, senza cercare di guidare in alcun modo il suo cammino nel bosco dei significati: in ogni caso farlo non ha senso, in prosa il testo dovrebbe essere del tutto autosufficiente, mentre in poesia, beh, in poesia proprio il margine di ambiguità, di oscillazione, di sfocatura del "senso compiuto" ne costituisce il fondamento e insieme il fascino.


Ecco dunque, senza presentazione salvo queste parole che parlano d'altro, questo mio piccolo, chiamiamolo così, "racconto di viaggio con ritorno"… Lo avevo intitolato inizialmente "Volver", ma poi mi è sembrato inutilmente cesellato, per cui ho deciso per un più limpido titolo in italiano.

Per voi, amiche mie care e amici, come sempre, con amore

M.P.





Al ritorno


Attraverserò il giardino di erba riarsa
dal gelo ancora impigliato alle radici,
lo stesso giardino che avevo varcato
in qualche era del passato: non ricordo
quando fu l'ultima volta che respirai
l'aria libera quale libera creatura.

Poco prima gli angeli bianchi, e quelli
dalla tunica verdeazzurra come ali di salvia
mi avrebbero accompagnato all'androne
scherzando sui miei giorni folli, scialacquati
senza coscienza né conoscenza: non piango mai
quando sono travolta da questo mio strano male.

Rido piuttosto, smodatamente, e questo i miei custodi
lo sanno. In altre stanze vi è un'umanità violata
che grida, che si torce le mani, io invece
preferisco piuttosto narrare. Oppure immaginare.
Per questo non m'arrendo, nemmeno
un istante: loro lo sanno. E io così sogno.

Quanto immenso è il mondo, sogno, e stupefacente
è il tramonto: se ciò è vero, per quant'è vero,
quanto è indicibile l'alba di un nuovo giorno!
Uscire dai cancelli che ci hanno recluso
ha più valore di ogni alba di ogni giorno
che potremmo mai trascorrere al mondo.

Ho sciorinato l'enigma della mia esistenza
intricata in trame strappate di legami irrisolti,
oppure spezzati, oppure indecenti; ho versato
il mio sangue nella cavità del vuoto trivellato
da molecole capaci di divorarmi la mente
per svellere il male dal bene, come un dente.

E assieme al male, la volontà di essere viva,
l'arbitrio che rende ogni respiro una conquista.
Così, alla fine, uno degli angeli mi vide,
che non piangevo, eppure tremavo,
e allora comprese, e mi accompagnò
dolcemente alla luce di quell'androne.

Temevo allora quel portone enorme antracite
più d'ogni altra cosa: dopo averla agognata
ora per ora, giorno per giorno, ora la luce
che mi si spalancava libera innanzi mi atterriva
come può atterrire il fascinoso abisso
cui ci affacciamo, quando disperiamo.

Me ne andai allora svelta, senza voltarmi.



Marianna Piani
Marzo 2014

sabato 7 giugno 2014

Finestagione


Amiche dilette e amici,
oggi, come scriveva qualcuno a proposito del "libero mestiere" poetico (Aldo Palazzeschi): "Lasciatemi divertire. Cucù, grugrù... ecc."
Oddio, divertire però a modo mio, naturalmente, senza troppo impegno, nel divertimento dico...


Una piccola escursione nell'intimità femminile, spesso oggetto delle mie riflessioni, e la voglia di apparire, come ne ha voglia, anzi urgenza un fiore che sboccia: la voglia di adornare il corpo di vesti ed emozioni, e di minimi fondamentali dettagli, di frammenti di fantasia.
Narcisismo femminile? Vanità? Forse, ma certo non solo.
Noi donne possediamo per natura il dono - o se volete la condanna - di una sensualità accesa e mai pienamente appagata, né domata, a volte schiettamente selvaggia. Il nostro corpo è una distesa infinita di recettori sensibili ed eccitabili, i nostri orpelli, i nostri abiti e abitini, le nostre sete, i nostri pizzi, prima ancora di fare da cornice alla nostra grazia, ci regalano direttamente sensazioni vive, sulla pelle, di piacere, di confortevolezza, difficili da descrivere a parole, spesso inconfessate (e a volte inconfessabili), eppure così intense e appaganti in sé: lo scivolarci addosso di un vestito lieve come un soffio, la sensazione d'instabile slancio d'un paio di tacchi a spillo, il profumo e il dolce bacio del rossetto sulle labbra, sono tutte espressioni di una femminilità che nasce dal profondo del nostro cuore. Noi - almeno. molte di noi - non pratichiamo la seduzione come mezzo, ma spesso piuttosto come fine. Ci piace immensamente sedurre, ma non una persona particolare, uomo o donna, almeno non il più delle volte: ci piace sedurre la vita.

E di seduzione, senza nominarla mai, parla tutta questa mia composizione, nata a seguito di una mattinata trascorsa tutta intera a rovistare nervosamente nel guardaroba in cerca di una "me stessa" che sapevo essersi celata colà, da qualche parte, ma che non riuscivo a ritrovare.
Alla fine, come quasi sempre mi accade in questi casi, la lunga ricerca ebbe successo, e riappropriatami di quella me stessa che avevo tanto cercato, sono uscita dritta dritta a pavoneggiarmi lungo le vie del Centro, il Corso, la Piazza, la Galleria…

Così è a volte la vostra Marianna: futilitàaaaaa...

Per voi, amiche care, che forse un pochino qui vi riconoscerete, e per voi, amici e compagni, perché possiate intuire qualcosa in più su di noi...

Con amore

M.P.




Finestagione


Ho cercato a lungo, lungo l'intera mattina
l'abito che confacesse al mio stato mentale:
certo una gonna - poiché adoro indossarle -
e una certa camicetta di seta, bianca,
adorna d'un orlo di pizzo, ricco di grazia.

Essere donne ci impegna
nella quotidiana tensione con la nostra bellezza,
un paio di scarpe ci può elevare
nell'incedere al rango di una sovrana.
Le nostre labbra profumano rose,

e delle rose rivestono i densi colori
e il vellutato incarnato. Una goccia di smalto
trasmuta la più piccola unghia di un piede
in un prezioso rubino, o smeraldo, rendendoci complici
degli sguardi indiscreti, e di quelli voraci.

Tutto questo per godere il contatto
le carezze e gli assalti di quegli occhi insaziati?
Non lo ammettiamo, eppure ci dà piacere
lo scivolare nelle morbide sete
dei nostri boudoir di sogni segreti.

Uscire, libere, e sentire il vento importuno giocare
tra le sete e le pieghe e le gambe nude immerse
nelle gonne, questo è il sottile piacere, l'essenza
del nostro essere donne,
così come lo è il gioco colpevolmente eccitante

tra il volersi concedere ansiosamente indifese,
e l'atavico invincibile orrore di esser violate.
L'uomo ha mani grandi, e forti, e rocciose,
che adoriamo, che sanno fiaccare ogni difesa
per come ci afferrano i polsi e stringono i seni.

Noi siamo così per infinitesimi istanti
plasma tra quelle mani e ci abbandoniamo
come una informe materia al fiato
e al fluire della Vita che ci possiede.
Incoscienti: ma, badate, cari, sempre presenti.

Travalichiamo la giornata, non la viviamo!
Ma ora io so finalmente con esatta certezza
quale abito, quale scarpa, quale bracciale
si confaccia al mio stato di cuore e di mente.
La femmina trionfante ch'è in me finalmente

ha compiuto la scelta.
Sarò presto tra voi,
e sarò proprio questa me stessa.




Per Mara, con affetto
Marianna Piani
Milano, 26 Febbraio 2014

mercoledì 4 giugno 2014

Arrigo Beyle, a Milano



Amiche dilette e amici,

La composizione che vi propongo oggi appartiene al genere che io chiamerei (mutuando il termine dal linguaggio musicale) della variazione.

Infatti, nasce dall'incontro di un tema, variato su diverse visioni e prospettive: il mio essere, il mio sentirmi Milanese, pur sentendomene tutt'ora estranea, il mio amore contrastante per questa città, che io considero tra le più brutte d'Italia, e che pure mi ha accolto da anni nel suo grembo, e cui sempre ritorno, pur sempre tentando di fuggirne.
Lo spunto, casuale, viene dall'aver fatto un po' d'ordine in biblioteca, nella "sezione" francese, e quivi d'aver re-incontrato e riordinato la mia piccola collezione "opera omnia" di uno degli autori a me più cari, tra gli scrittori fondamentalmente estranei all'ambito della Poesia, quel Marie-Henri Beyle, aka Henri Brulard, aka Stendhal, sublime dilettante, nato nel 1783 e morto nel Marzo del 1842, e tumulato a Montmartre sotto la  pietra che reca la celebre iscrizione, in Italiano, voluta dallo stesso Stendhal:

"Arrigo Beyle / Milanese / Scrisse / Amò / Visse".

Riflessioni sul mio pellegrinare da Triestina transfuga (anche Beyle fu per un periodo non breve a Trieste ndr), milanese d'adozione, cosmopolita di spirito e vocazione, dilettante pura, innamorata del bello, innamorata della letteratura e delle lingue romanze, quasi bilingue italo-francese… Ovviamente non poteva non entrare trionfalmente nel mio background la figura di questo grande Spirito Libero.
E poi questa Milano, soprattutto, questa intollerabile, sgraziata, malversata ma generosa città…

Vi lascio amiche care e amici con queste riflessioni, venate di malinconia per un amore mai veramente totalmente espresso, mai totalmente riconosciuto, come tenuto in un cantuccio. Non un omaggio, quindi, una semplice constatazione.
Milano in fondo, secondo me, è una città da cui occorre fuggire, per poterla comprendere…

Con amore

M.P.

 



Arrigo Beyle, a Milano


Questa città che mi aspetta
in una mattina di inverno inoltrato
indecisa tra un sole ingiallito
e un grigio torpore di nebbia.

Questa città senza un fascino vero
se non quello d'esserne priva,
dove i palazzi s'affollano senza grazia
a ridosso di larghi viali anneriti
da decenni di traffico inerte,
ai crocevia di strade sbucciate
da secoli di passi affrettati.

Nuove torri crescono su spianate
orridamente livellate, come scheletri
di brontosauri spolpati dalle ere.
Negli occhi di gente ai passaggi
qualche speranza si legge, ma non per oggi:
forse, se sarà, sarà per l'indomani.

Potrei lasciare l'informe cerchia
di là dai navigli, e avventurarmi, col cuore in gola,
al centro del centro pulsante: qui gli edifici
da casuali si fanno maestosi, inutilmente,
senza un'autentica nobiltà da esibire.
O forse palese, ma io non la distinguo.

Tuttavia qui dove punto ora i miei piedi
elegantemente calzati di design italiano
le pietre hanno veduto ben altri passi,
e forse per questo sono sconnesse, corrusche,
come piastre di archetipe testuggini
schiacciate dal peso di reggere il mondo.

Ogni qualvolta mi lascio portare
dalla tranvia della mia mente
tra quelle muraglie dense, macchiate
dal nero dei fumi di una civiltà ormai decaduta,
mi rammento di quella pietra, a Parigi,
così incongrua in quel luogo di morte.

Chi la depose lo fece in memoria
di uno spirito acceso, spietato
nel suo ironizzare leggero, scorrevole
come scorre la Senna sotto i pilastri dei ponti
a bagnare i basamenti delle cattedrali.
E io mi chiedo cosa spinse quell'uomo

a dichiararsi straniero a sé stesso
per amore forse d'un luogo più creduto
che conosciuto. Più sognato che vissuto.
Se egli lo fece, anch'io lo posso,
di dichiararmi, pur non essendo,
d'amore, Milanese…


 

Marianna Piani
2 Marzo 2014