«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

domenica 25 agosto 2019

Non una parola più, non un verso



Amiche care, amici,
Propongo un'ultimo componimento tratto dal mio libretto "Sillabario lirico e sentimentale", pubblicato da poco e disponibile su Amazon, per chi ne fosse incuriosito o interessato, sia in formato "paperback" tradizionale [QUI], che in eBook [QUI].
Colgo l'occasione per ringraziare ancora una volta davvero di cuore, con grande riconoscenza, tutti gli amici e le amiche che hanno voluto acquistare il libro, in un formato o nell'altro: per me è un'emozione grandissima sapere che la mia "creatura" ha trovato qualcuno che l'ha accolta. Grazie!

Questa è una delle ultime liriche della raccolta (prima dell'appendice dialettale), e l'ho voluta collocare proprio in quella posizione, violando anche un poco lo stretto ordine cronologico che ho tenuto coerente in tutto il volume, perché la sentivo, e la sento, come conclusiva di un intero ciclo della mia scrittura.
Dopo un lungo periodo in cui la scrittura mi scorreva piuttosto copiosa, spinta da una forte necessità tutta interiore, lo scontro con una realtà esterna nel frattempo profondamente mutata, resasi per me estremamente difficile, direi quasi intollerabile, ha messo in crisi forse definitivamente questa ispirazione primitiva quasi istintiva, obbligandomi a chiedermi praticamente a ogni singola parola che senso avesse questo mio esercizio di libertà espressiva ed estetica. Che senso avesse questo mio canto sommesso e tutto ripiegato su me stessa di fronte alla necessità divenuta ora per me impellente, irrinunciabile, di intervenire in prima persona e direttamente sulla realtà, per sostenere una lotta concreta contro ombre sempre più dense, cupe e minacciose.
La scrittura, che per me, anche quand'era fluente non è mai stata una passeggiata di salute, mi è divenuta penosa, difficile, aspra, dolorosa, stridente, come uno scavo in un terreno inaridito e pietroso. Ci fu anche un momento in cui ebbi la convinzione che non sarei mai più riuscita a scrivere nulla, nulla del tutto, come se avessi perduto la mia visione della vita, e la capacità di tradurla in immagini e parole.
Ora so che non è così, ma che sto effettivamente attraversando un momento di profondo malessere e di ripensamento sul vero valore intellettuale, e non (solo) estetico o (peggio) intimistico della poesia, e intendo proprio la poesia Lirica, dal momento che è questo e non altro il mio strumento d'elezione.


Ci sono altre parole, nella raccolta, e anche nel mio taccuino, altri versi dopo questo qui pubblicato - e non a caso come dicevo all'inizio questo è solo uno tra gli ultimi testi della raccolta, ma non è l'ultimo.
Subito dopo di esso riprendo il discorso temporaneamente interrotto proprio con un testo di rinnovata "fede" nella scrittura poetica, intesa come strumento di intervento sopra il mondo...


Amiche care e amici, vi lascio dunque alla lettura.
Dalla prossima settimana probabilmente riprenderò il corso normale del blog.


(Comperate il libro!)
Con amore


M.P.






Non una parola più, non un verso


Nulla. Non una parola distillata
nell’attesa, non una sola
scaturita dal pensiero
che pur mai è stato turbato
com’è ora.


Davanti, il precipizio – giù a piombo
la vasta la pianura, che si dilata
fino all’orizzonte pare, e oltre.
Non si può guardare dentro quel vuoto
senza un senso di scoramento.


La nebbia rende vaga la distanza,
stare lassù e non sapere cosa
davvero avviene sotto quelle coltri,
questo è il dramma, la nostra ansiosa
afasia in fronte a ciò che accade fuori.


Vorremmo prendere parola
ma non riusciamo a superare il chiasso
di chi esulta stoltamente – per niente! –
mentre il mare ingrossa: ed è il naufragio.




Marianna Piani
Irlanda, Aprile 2019


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domenica 18 agosto 2019

La tua vita contiene...


Amiche care, amici,

propongo anche oggi uno dei testi pubblicati sul mio ultimo libro, "Sillabario lirico e sentimentale", disponibile per chi volesse su Amazon sia in formato tradizionale (<Paperback>, 250 pagine) che <eBook>.

In questo caso ho scelto un "quasi sonetto", formalmente piuttosto tradizionale, ma strutturato un po' come un montaggio cinematografico, per immagini accostate senza transizione, a stacco, e senza un ordine preciso se non per pura associazione di idee. Il discorso è in seconda persona, ma è diretto a me stessa. il "tu" qui sono in realtà "io", con ritagli sparsi dei miei ricordi più grati e più intensi. Da ognuno potrei sviluppare il tema di una lirica a sé, ma qui hanno il valore dei tocchi di colore su un dipinto quasi astratto, colto per sensazioni, emozioni, più che per impressioni.
Avrei potuto intitolare il brano "la mia vita contiene...", e svilupparlo di conseguenza, in modo soggettivo, ma sentivo la necessità di marcare un distacco più netto da questa materia, da queste immagini, e soprattutto dalle emozioni che le hanno generate.

Devo aggiungere che, nel trascrivere qui questo testo direttamente dall'originale pubblicato, non ho potuto resistere a introdurre una - importante - variante: proprio all'ultimo verso, quello di solito più delicato perché costituisce il punto d'arrivo di tutta la composizione, ho sostituito l'avverbio "perdutamente", troppo compiuto e chiuso, e forse alquanto scontato, con "finalmente", che sottende una dinamica più evidente di attesa e di desiderio, così rispecchiando meglio il mio stato d'animo al momento della prima stesura.
Questo solo per significare come in poesia il lavoro di elaborazione del testo, e del suo stesso significato, non si ferma mai, nemmeno dopo una pubblicazione considerata "definitiva".
Come per ogni organismo vitale, anche in poesia di definitivo vi è solo la morte.

Con amore
M.P.




La tua vita contiene…


La tua vita contiene: – I mille sogni
d'infanzia. – Le forti, rinvigorenti
spinte dell'onde. – Le piogge odorose
dell'autunno precoce che tu cogli

come una grazia sul viso innocente,
goccia a goccia. – Le corse sugli scogli
a balzi, come stambecchi. – Gli abbagli
che luccicano in mare. – Lo scosceso

sentiero che a quel mare sprofonda
e ti precipita fin giù alla spiaggia.
– Le alghe e i coralli sulla sponda,

quella che t'appartiene. – L'erosione
che scopre le rive mostrando le ossa
dei tuoi ricordi e pensieri. – Le canne

che sibilano negli stagni. – E più
il verde prato dell’anima tua
quaggiù, finalmente innamorata.


Marianna Piani
Luglio 2018



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sabato 10 agosto 2019

Porto franco




Amiche care, amici,

proseguo nel presentarvi alcuni estratti dal mio ultimo libro "Sillabario lirico e sentimentale", disponibile, se lo vorrete, presso Amazon sia in formato cartaceo (11€ qui) che digitale (1€ qui).

Una delle "novità" per me più rilevanti di questa raccolta è la presenza di alcuni componimenti in dialetto triestino, quello della mia città natale e quindi della mia infanzia e prima giovinezza.

Non avevo mai pubblicato poesia dialettale prima d'ora sul questo blog né altrove, e mi era capitato molto di rado in passato di sentire l'esigenza di esprimermi in quell'idioma, se non per brevi occasionali strofe, comunque inserite in un ambito linguistico del tutto italiano.
Curiosamente - ma forse a pensarci bene non è così strano - è stato il mio trasferimento in Irlanda, quasi due anni fa, e l'immersione totale e quotidiano in un ambiente linguistico nuovo, oltre alla distanza che mi preclude ora anche psicologicamente la possibilità di tornare, seppur di rado, alle mie terre di origine, che ha fatto scattare questa scintilla improvvisa, e il bisogno di recuperare in qualche modo dalla memoria quei suoni, quelle cadenze, quei ritmi, così intimamente legati ai luoghi in cui ho consumato la mia infanzia.
Ma non si è trattato solo di un'operazione di memoria, e tanto meno di nostalgia, che in realtà è estranea alla mia sensibilità: io per educazione, cultura, e anche per le mie origini ebraiche, mi sento quasi per un istinto profondo un'anima "errante", senza radici affondate in una terra particolare, più navigante che contadina, da sempre mentalmente rivolta al mondo. E non a caso andai via dalla mia città non appena ebbi l'età della ragione, e da allora, pur stanziando per periodi più lunghi a Milano, mi sono mossa in giro, per lavoro, un po' in tutta Europa, Stati Uniti e, una volta (ma importante) anche in Cina. E ora questo mio, per molti motivi forse definitivo, ultimo trasferimento.

In realtà quello che mi ha affascinato, dietro l'onda del ricordo, nel ritornare al mio dialetto è stato l'incontro con sonorità, lessico, timbro, musicalità del tutto diverse dall'Italiano, del tutto nuove, per me, dal punto di vista della composizione. Per fare un parallelo non tanto forzato con l'ambito musicale, è stato come passare dalla tastiera di un pianoforte a quella di una chitarra. Concetti, emozioni, temi (le note) sono i miei consueti, ma cambia totalmente il timbro, l'arrangiamento, la tecnica e l'impostazione della frase musicale. Non è solo questo, la cosa è più complessa, ma questo esempio può aiutare a comprendere come questa "scoperta" mi abbia preso ed impegnato con entusiasmo, pur senza mai abbandonare il mio consueto lavoro in italiano.

Potrei dire che è un lavoro simile a comporre in un'altra lingua, per esempio l'inglese, di cui abbia una quasi completa padronanza, ma non è la stessa cosa, si tratta di qualcosa di più profondo, che risale a un tempo primordiale dello sviluppo della mia personalità, ed è legato in modo inestricabile a luoghi precisi, tanto da risuonare come una loro diretta emanazione sonora e concettuale.

Aggiungo che io non fui educata in dialetto: i miei erano di nascita diversa, mio padre istriano, mia madre veneta, e curarono con molta attenzione a farmi apprendere un corretto uso della lingua Italiana, che consideravano fondamentale per la mia educazione di base (assieme ad Inglese e Francese, cui mi avvicinarono fin da dall'infanzia, e di questo non finirò mai di ringraziarli). Tra di loro e con i loro conoscenti usavano sì il dialetto, ma lo usavano di rado, e mai in ambito familiare. Io quindi imparai il dialetto, letteralmente, in strada, con i compagni e compagne di giochi, e a scuola, oltre che nell'uso comune nella vita quotidiana, essendo Trieste, un po' come Napoli, una città ancora molto "dialettale", proprio nella pratica di vita quotidiana, sul lavoro, al mercato, nella scuola, perfino nei circoli culturali più raffinati.

Per questo la mia pratica dialettale è sempre stata molto "pensata", molto consapevole e voluta, e questo certamente ha una valenza molto speciale per me.
Infine, come ho detto lasciai la città molto presto - sui miei 19 anni - e da allora ebbi sempre meno occasioni di usare questa lingua, che quindi si è depositata come uno strato di sedimento profondo nella mia memoria.
Ritrovarla, a distanza di tanto tempo, è stata una esperienza di grande significato, per tutti gli aspetti, espressivi, di forma, di suono, di sintassi, di lessico, di ritmo.

Ora sto continuando, sporadicamente e senza una vera intenzione continuativa, a comporre in dialetto, non posso ancora dire se si tratta di un innamoramento contingente, o se si trasformerà in una pratica usuale e continuativa. Ma finché sentirò l'esigenza di risentire questi suoni, e ne proverò piacere, continuerò. Se lo sarà, forse un giorno dedicherò una raccolta interamente ad essa, ma per ora semplicemente seguo l'ispirazione del momento: nulla di forzato, tutto molto naturale: semplicemente vi sono argomenti, pensieri ed emozioni che "chiedono" di essere espressi in dialetto.

Quella che presento oggi è la composizione eponima della piccola raccolta, "Porto franco".
Il porto di Trieste è stato fin dalle origini ottocentesche un PORTO APERTO, anche definito da precise funzioni legali e commerciali con una denominazione ufficiale, appunto, di "porto franco", e mi è sembrato molto significativo aprire la raccolta ricordando, indirettamente ma non troppo, come la attuale demenziale e criminale politica dei "porti chiusi" sia in contrasto con ogni possibile logica di umanità e di sviluppo. A Trieste, per decenni e decenni, proprio per la presenza di un "porto franco", si incrociarono culture, lungue, usanze di ogni parte del mondo, e proprio questo fece di questa città, per un breve ma intenso periodo aureo, uno dei centri culturali e commerciali più importanti d'Europa.

Naturalmente, poiché si tratta di un dialetto, e per di più di nicchia, non certo diffuso come il romanesco o il napoletano, ho provveduto a comporre una traduzione in Italiano, per tutti i testi pubblicati nel libro.

Con amore
M.P.






Porto franco



Go visto le foto picade
in un bareto in zentro
un poco in scuro, in scondòn:
qua ’na volta pasava i cavai
strassinando cari càrighi
de sachi de café
qua iera le sine dei cari
che vigniva suso dal scalo.
I bastimenti i fis’ciava cussì:
a longo co iera caligo,
curto per saludarse tra de lori.

Questa che ogi qua scrivo
ma ’sai poco ormai parlo
per ani e ani xe stada
la lingua franca de ’sto porto,
misiada a mile altri parlari
de tuti i cantoni del mondo.
Epur, se se capiva
’sai più che ’deso, in fondo…


Marianna Piani





Porto franco


Ho visto le foto, esposte
in un baretto in centro,
un po' nascoste, nell'ombra:
qui passavano i cavalli
un tempo, trascinando i carri
carichi di sacchi di caffè, qui
c'erano le rotaie dei carri
che risalivano dallo scalo.
Fischiavano le navi:
un suono lungo per la nebbia,
un breve colpo per un saluto.

Questa, che qui ora scrivo
ma assai poco ormai parlo,
per anni è stata
la lingua franca di questo porto,
mescolata a mille altri linguaggi
provenienti da ogni luogo al mondo.
Eppure allora ci si capiva
assai più di adesso, in fondo.

(Versione italiana di M.P.)


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domenica 4 agosto 2019

Nuda, l'onda allo scoglio va


Amiche care, amici,
ieri ho avuto il grandissimo piacere e ancor più l'emozione di ricevere la segnalazione di una piccola ma amichevolissima recensione del mio libretto, a firma di Marinella Zetti su "LeggereOnLine" (lo potete leggere qui). Non so davvero come ringraziare Marinella per la sua attenzione, e per la sua stima.

Comunque, ecco, vedere la propria "creatura" staccarsi finalmente da noi, e iniziare il proprio viaggio nel mondo è una sensazione ineffabile, che da sola basta largamente a compensare mesi di lavoro e di impegno. Non sappiamo naturalmente quanto lontano potrà spingersi poi questo percorso, dipenderà in gran parte dalla forza e convinzione del testo che abbiamo saputo comporre, alla fine non ci sono infingimenti o alibi che possano, alla lunga, tenere: ciò che può spingere l'opera fuori dall'anonimato e dell'oblio è alla fine solo il suo valore.
Tuttavia, soggettivamente, l'atto d'amore è compiuto, ciò che abbiamo creato ha l'intero mondo davanti a sé, e noi riprendiamo da parte nostra il nostro cammino, in costante ricerca di nuove mete.

Intanto, come promesso, continuo a pubblicare qui alcuni estratti dal libro, e oggi vi propongo questa breve lirica, piuttosto recente, più vicina alla mia "vena figurativa", una tendenza che mi porto appresso nella scrittura che di certo proviene dalla mia consuetudine artistica professionale. Il mio taccuino di appunti è da sempre affollato in modo abbastanza indifferenziato di figure, paesaggi, immagini, e parole, frasi, versi...

(Il "Sillabario", se vorrete, è a disposizione da Amazon e Lulu, sia in versione a stampa, qui, che come eBook, qui, o dai link a lato su questo blog.)

Con amore
M.P.






Nuda – l’onda allo scoglio va


L’onda giunge allo scoglio
con un suo certo malcelato orgoglio,
si direbbe quasi con sollievo:
si schianta, poiché è stanca
di prendere su di sé tutti i crucci
del mare, in supplemento
agli importuni tormenti del vento.


Prima la sontuosa cresta, via via
più ambiziosa, più alta, ribolliva
di schiuma candida e pennacchi
di vapore e di rabbia.
Ora nell’impatto si polverizza
in un’iride evanescente come
gli sguardi degli amanti tra la gente.


Lo scoglio, da parte sua, sta immoto
com’è sua natura, lascia il mare
accarezzare la sua crosta, lustra
come il dorso d’un capodoglio,
mentre sul bagnasciuga nero d’alghe
sfiatano i paguri e le patelle.
Intanto, trotterella solitario un granchio.



Marianna Piani
Aprile 2019


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