«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

sabato 15 febbraio 2020

La fede e l'oscuro



Amiche care, amici

Non commento oggi questo mio testo, già corposo in sé, che ho immaginato in forma di dialogo tra la mia visione cupa di un mondo sempre più disperato e chiuso e ciò che rimane della speranza e della fede dei miei anni migliori.
Certo che quando la scrivevo, ma ancora ora purtroppo, assistere a morti innocenti nei nostri mari e a un continuo rigurgito di odio, intolleranza e, perfino peggio, indifferenza, non aiutava a distinguere una luce in questa oscurità che si addensa sempre di più. Se non proprio l’impegno di quelle persone che ancora credono nei princìpi morali in cui siamo cresciuti e che sono al fondamento della nostra stessa civiltà
Io continuo a sperare, con tutta me stessa, che la civiltà potrà alla fine avere il sopravvento sulla barbarie.
Altrimenti a cosa verrebbe vivere?

Con amore, sempre!
M.P.





La fede e l’oscuro


L’amico:
«Non c’è fede, amica mia.
Non dico fede trascendente,
non dico nemmeno in Dio,
o pensiero, o Scienza, o Conoscenza:
dico mera fede, fede in qualcosa
che risieda in noi,
e che da noi s’estenda
a ciò che siamo al mondo,
e col mondo si confronti.»

Io:
«Mio caro, io la temo
questa tua visione senza luce,
senza respiro, temo
che se così fosse essa sarebbe
inesorabile fattrice
di smarrimento, di solitudine,
e di paura.»

Lui:
«La morte della fede, certo,
uccide la speranza,
termina ogni futuro,
si appiattisce contro un muro
di pietra inerte, 
lascia un vuoto nella crosta
come un buco senza fondo,
e nell’anima questo buco
che tutto ingoia è tutto annulla
è la paura: questa paura
su cui oggi si regge il mondo.»

Io:
«La catastrofe che tu paventi
non s’è attuata ancora,
c’è ancora chi vi si oppone,
chi impegna la sua vita tra lo scherno
degli stolti astanti che non sanno
capire i segni che il destino
ci invia in abbondanza.»

Lui:
«Lasciami finire amica mia:
la fede muore, soffocando
la speranza, e questa,
precipitandoci nella paura
che è la materia oscura
che origina il nostro Universo,
uccide la più preziosa
e potente delle umane qualità,
ciò che chiamiamo “carità”.
Senza carità nel mondo
ogni umanità s’annulla,
diserta, tradisce tutta sé stessa.
Con ciò quindi non ci salveremo.
Mentre sul fondo dei nostri mari
giacciono corpi inermi, affogati
nelle urne del nostro odio,
la nostra umanità una volta ancora
verrà sopraffatta.»

 . . . . . . 


[ Nulla può dire di tutto questo 
la poesia, nulla può fare, 
tranne che esistere e testimoniare 
ciò che accade.]


Marianna Piani
Irlanda, Marzo-Aprile 2019


(Per chi volesse, la mia ultima raccolta "Sillabario lirico e sentimentale" (ISBN 978-0-244-18660-9) è disponibile su Amazon, sia in versione tradizionale QUI che eBook QUI)
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domenica 9 febbraio 2020

My Hand Hurts


Amiche care, amici,

un piccolo evento banale, nulla di davvero grave, tuttavia sufficiente a mutare per un po’ il corso e il tranquillo fluire quotidiano della vita.

C’è da dire che la mia compagna è musicista e polistrumentista, per cui questo evento, già in sé doloroso, lo è più ancora perché incideva sul suo lavoro, o meglio, sulla sua arte, sulla sua stessa capacità di esprimersi. Oltre al dolore, l’angoscia di non sapere, infine, come sarebbe andata, per quanto tempo sarebbe durata l’immobilità forzata, ma più di tutto l’impedimento improvviso a un bisogno, a una impellente necessità, un po’ come se ci venissero assicurate alla caviglia delle catene che ci impediscono di muoverci non solo fuori, ma perfino nella stessa cella di una prigione.

Ora, a un anno di distanza, l'incidente, dicono dovuto a un eccesso di esercizio e di lavoro, è finito e perfino dimenticato. Tre/quattro mesi di riabilitazione, durante i quali lei ha comunque potuto continuare con il canto, non essendo per fortuna il suo apporto limitato agli strumenti, il tutto con l’appoggio affettuoso del suo gruppo che l’ha sostenuta perfino modificando per lei, temporaneamente, il repertorio.
E infine, per me, il ricordo di un periodo di difficoltà che abbiamo potuto affrontare insieme, io facendo per un po’ cucina, da piccola infermiera e da casalinga a tempo pieno, ruoli che non amo e cui sono pochissimo tagliata, ma nobilitati, anzi, resi lievi così, banalmente, semplicemente, dall’amore.

Vi lascio dunque oggi a un componimento lieve, colloquiale, quasi da camera, ma, come sempre, appunto, con amore.
M.P.





My Hand Hurts


Mi duole la mano, mi dicesti.
Per un po’ non ti credetti, pensavo
fosse un pretesto, per farmi far cucina
al posto tuo, cosa che assai detesto.

Che cattiva sono, che ingenerosa!
Presto mi avvidi che mi sbagliavo:
ti lamentavi, in certi momenti
perfino gridavi, e ti aggravavi.

Ti trovai in bagno infine, la sera,
che singhiozzavi in silenzio, una cosa
che per te segnala massima angoscia:
Mi fa male, non posso suonare!

Ci affrettammo al pronto soccorso,
dopo le lastre sapemmo che occorreva
un intervento, urgente, per ridare
funzione alla sinistra. Non uno scherzo.

Nulla di trascendentale, dicevano,
per loro era una faccenda banale,
e noi tacemmo, cercammo di ragionare
che così fosse, ma lo schianto

poco dopo ci scosse dal nostro torpore:
occorreva passare attraverso il dolore
per ritrovare il nostro equilibrio turbato,
la nostra mite sorte d’amore percossa.

Ora, sulla scomodissima panca
e in un caldo torvo che non riscalda
attendo soltanto il suo
e del suo canto ritorno.


Marianna Piani
Irlanda, Marzo 2019



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sabato 1 febbraio 2020

Un anno



Amiche care, amici.

Questa poesia la scrissi quando fu un anno dalla mia “fuga d’amore” in Irlanda, e rimase incompiuta. Non so, o non ricordo, perché mi interruppi allora, ma ora, che gli anni ormai sono due, l’ho ripresa e finalmente completata, aggiungendo un paio di strofe e mutando qualche verso, e ve la propongo qui, riprendendo anche la mia consuetudine settimanale di pubblicazione interrotta per una lunga ma irrinunciabile pausa di riflessione. Ho tuttavia lasciato la data originaria, di prima stesura, come faccio di consueto, ma questa volta con una scelta ancor più motivata, e ho mantenuto il titolo, doverosamente.

Forse oggi finalmente inizio a sentirmi più stabile, più serena, e certamente meno in fuga. Appena arrivata – un anno in realtà in questi casi è pochissimo – le sensazioni e le emozioni erano ancora troppo vive e coinvolgenti per poter essere trattenute in un verso: ogni parola scritta mi sembrava inadeguata, oppure goffa, oppure già consumata dall’uso, oppure scontata. Mai si può scrivere impunemente a ridosso d’una emozione, quando il taglio incide ancora la carne viva, che sanguina e pena. Mai è possibile raggiungere un risultato che lontanamente rifletta il nostro dolore, o la nostra gioia. Occorre tempo, a volte molto tempo, per comprendere, per uscire dal centro del vortice.
Ora piccole nuove radici stanno spuntando e si stanno aggrappando a questa terra, che è anche la terra della mia compagna.

Vi lascio alla lettura, con amore, come da anni ormai qui scrivo per salutarvi e ringraziarvi per la vostra presenza…

MP




«È un’ora incerta e lunga, tempo
di acquate e fumi, il sole indica
gli orti d’Irlanda...»

(Franco Fortini, 1948)

Un anno

Un anno, l’intero giro di un anno
è andato, da rifugiata,
vissuto accanto a chi amo,
lontana da chi in patria detesto.

Ho appreso a contare i minuti –
anziché i mesi – al suo ritorno,
e ho compreso questo verde smeraldo
ch’ella ha negli occhi da dove proviene.

Ho conosciuto le nubi veloci
in fuga come ovini sbandati,
e il mutare repentino del giorno
da limpido a cupo, e da radioso

a tremendo, e ho capito
quella malinconia profonda
nel ritmo giocoso del flauto, quel pianto
nella voce gioiosa del suo canto.

Ho incontrato nei viali
e in ogni giardino, i corvidi neri
eleganti, non troppo guardinghi,
in cerca del loro motivo di vita.

E gli scolari, in divisa, e i gabbiani
che s’incrociano scambiandosi i gridi
e i colori della loro lingua salmastra
spazzata dal vento mai quieto.

Ho conosciuto, di quel vento,
l’ululato alla notte, che non spaventa
ma parla di mare, di libero andare,
e anche un po’ di nostalgia di casa.

Un vento che abbraccia
mentre m’abbraccio alla mia ragazza
che dorme serena al mio fianco.
Ignara di essere rara.

Di essere il frutto d’un ghiribizzo
di vento e di uno schizzo di mare
sulla cima d’un onda, insolente
come un riccio dei suoi capelli

da sirena gaelica a guardia del Porto.
Io m’accosto
la guardo sognare. Mi accorgo
solo ora quanto la mia vita è cambiata:

e già un anno è passato,
inoppugnabilmente.


Marianna Piani
Kilkenny, Marzo 2019



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