Amiche care, amici,
un piccolo evento banale, nulla di davvero grave, tuttavia sufficiente a mutare per un po’ il corso e il tranquillo fluire quotidiano della vita.
C’è da dire che la mia compagna è musicista e polistrumentista, per cui questo evento, già in sé doloroso, lo è più ancora perché incideva sul suo lavoro, o meglio, sulla sua arte, sulla sua stessa capacità di esprimersi. Oltre al dolore, l’angoscia di non sapere, infine, come sarebbe andata, per quanto tempo sarebbe durata l’immobilità forzata, ma più di tutto l’impedimento improvviso a un bisogno, a una impellente necessità, un po’ come se ci venissero assicurate alla caviglia delle catene che ci impediscono di muoverci non solo fuori, ma perfino nella stessa cella di una prigione.
Ora, a un anno di distanza, l'incidente, dicono dovuto a un eccesso di esercizio e di lavoro, è finito e perfino dimenticato. Tre/quattro mesi di riabilitazione, durante i quali lei ha comunque potuto continuare con il canto, non essendo per fortuna il suo apporto limitato agli strumenti, il tutto con l’appoggio affettuoso del suo gruppo che l’ha sostenuta perfino modificando per lei, temporaneamente, il repertorio.
E infine, per me, il ricordo di un periodo di difficoltà che abbiamo potuto affrontare insieme, io facendo per un po’ cucina, da piccola infermiera e da casalinga a tempo pieno, ruoli che non amo e cui sono pochissimo tagliata, ma nobilitati, anzi, resi lievi così, banalmente, semplicemente, dall’amore.
Vi lascio dunque oggi a un componimento lieve, colloquiale, quasi da camera, ma, come sempre, appunto, con amore.
M.P.
My Hand Hurts
Mi duole la mano, mi dicesti.
Per un po’ non ti credetti, pensavo
fosse un pretesto, per farmi far cucina
al posto tuo, cosa che assai detesto.
Che cattiva sono, che ingenerosa!
Presto mi avvidi che mi sbagliavo:
ti lamentavi, in certi momenti
perfino gridavi, e ti aggravavi.
Ti trovai in bagno infine, la sera,
che singhiozzavi in silenzio, una cosa
che per te segnala massima angoscia:
Mi fa male, non posso suonare!
Ci affrettammo al pronto soccorso,
dopo le lastre sapemmo che occorreva
un intervento, urgente, per ridare
funzione alla sinistra. Non uno scherzo.
Nulla di trascendentale, dicevano,
per loro era una faccenda banale,
e noi tacemmo, cercammo di ragionare
che così fosse, ma lo schianto
poco dopo ci scosse dal nostro torpore:
occorreva passare attraverso il dolore
per ritrovare il nostro equilibrio turbato,
la nostra mite sorte d’amore percossa.
Ora, sulla scomodissima panca
e in un caldo torvo che non riscalda
attendo soltanto il suo
e del suo canto ritorno.
Marianna Piani
Irlanda, Marzo 2019
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