«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»
«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)
«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)
«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)
«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)
«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)
domenica 13 gennaio 2019
Andare
Amiche care, amici,
poco prima di partire per il piccolo esilio dorato nel mio “nuovo mondo”, in terra d’Irlanda, scrissi questi pochi versi, due liriche, anzi una lirica e un frammento, che così sono proprio le ultime da me scritte in Italia. Un dettaglio che per il lettore ha poca rilevanza, ma lo ha ovviamente per me.
La prima è soltanto un frammento, solo due versi, semplici semplici, un endecasillabo e un settenario
La sintesi ungarettiana non è certo usuale nel mio "repertorio" lirico, né la bella sintesi è il mio forte in scrittura, ma questa volta dopo quelle poche parole proprio non sono riuscita ad aggiungere altro. Il tema, autoreferenziale (la “Poesia”), è di quelli che occupano nella Storia corposi trattati, e studi, e analisi infinite. Per questo credo che l’unico, onesto modo per me di parlarne, e per cercare di esprimerne per me l’importanza, sia di affidarsi all’intuizione, e a ciò che rappresenta lo strumento espressivo primario della poesia, la concentrazione. Quella che ho chiamato, in altri miei interventi su queste pagine, la densità.
Il secondo componimento, con un respiro per me più usuale, cerca di esprimere il senso della mia imminente partenza, che tra tutte le partenze e gli arrivi della mia vita, rappresentava allora qualcosa assolutamente al di fuori dell’usuale, una vera e radicale discontinuità di ciò che allora era ancora il mio presente, e un balzo verso un futuro ancora oscuro, ma già pensato come definitivo. E tutto ciò che in quel momento sentivo come esigenza preminente, era l’atto stesso del partire: più ancora che il senso del “movimento”, del “viaggio verso” sentivo in quel momento l’urgenza e la perentorietà di quel “andare”. Andare, non “partire”, l’atto tutto spirituale di questo “muoversi verso” contro l’atto meramente fisico del “viaggio”. Movimento come mutazione anziché semplice spostamento: lo “spostamento” è un moto fisico, lineare, di un corpo nello spazio e lungo un vettore preciso. Mentre “mutazione” è il movimento in coordinate di spazio e tempo, strettamente connesse, e senza una direzione necessariamente precisa, e meno ancora predefinita.
Anche per questo mi è sembrato naturale che il titolo (una parte della struttura di senso di un componimento che io non trascuro quasi mai) si inglobasse in certo modo nel corpo stesso – significante – del testo.
Le presento assieme, queste due liriche così diverse, quasi antitetiche, non solo perché scritte in immediata sequenza temporale, e non soltanto per la brevità della prima, ma perché questa, in qualche modo, è la premessa necessaria della seconda. Sono vincolate tra loro in modo sottile e misterioso, e quindi mi sento di doverle pubblicare insieme, con una numerazione che ancor più le lega in un discorso unitario.
Vi lascio alla lettura, amiche e amici, con gratitudine, sempre, per la vostra presenza, e con amore.
M.P.
1
Poesia
Svagàti versi, per persi pensieri,
e daccapo, ripresi.
2
Andare
amica mia, per le vie affollate
rumorose e cieche della città
malata, della città genuflessa
che accoglie e ripudia
in un solo gesto magnanimo
e insieme infame, che include
e rigetta tra i liquami la stessa
propria Storia; che non sa più pregare.
Andare, passo per passo, perdute
nel vuoto del nostro pensiero,
lasciare che siano gli istinti
a dettare le svolte, le rincorse,
le fughe, gli sbandamenti, e le cadute:
così non dovremo biasimare
per nulla più la nostra viltà:
tutto sarà alla fine spiegato.
Andare a cercare le luci
per non svagare, per il terrore
che ci impone la tenebra
quando ci avvolge di confortevole
ambascia, e per la luce offesa
che ci rivela la via percorsa
e quella che ancora ci resta
da fare, arrancando, esauste.
Andare: riconoscere in questo tempo
ormai avaro, oramai inumano,
ormai del tutto sottratto di senso
e di direzione, andare, e riconoscere
le tracce del nostro passato,
sconcertate. Non possiamo più
indugiare, ogni minuto trascorso
non è più ciò che per noi fu,
in passato, quel minuto: un passo
ancora verso il futuro: ora è solo
tempo perduto, e dimenticato.
Per questo, amica mia,
potrei andare, così, anche con te,
procedendo all'infinito, illusa,
come fosse un'orbita finita
a chiudere l'ellittica della vita,
ritrovando il senso primordiale
dell'infanzia che ebbi libera,
e ribelle, e sana: colà
dove tutto di me ebbe inizio.
Che fu principio; e subito la fine.
Marianna Piani
Milano, 20 Febbraio 2018
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