«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

domenica 23 giugno 2019

Adriatico minimo e solenne


Amiche care, amici

Una lirica dedicata alla mia terra. Anzi, per meglio dire, al mio mare.

Ora che mi sono trapiantata proprio di fronte a “un altro mare”, per citare Claudio Magris (si chiama “Mare d’Irlanda”, in realtà è un pezzetto appartato di Oceano, e da Dublino, con una breve traversata, se voglio posso recarmi direttamente a visitare la casa natale di John Lennon, a Liverpool), la lontananza ha avuto l’effetto di una lente d’ingrandimento sulla memoria, e così ritrovo dentro di me dettagli e frattaglie che pensavo ormai dispersi da tempo.

Non si tratta di nostalgia, vorrei sottolineare. Si tratta di un sentimento complesso, in certo modo contradditorio, difficile da definire in poche righe. Un poco come se il tempo e lo spazio (come del resto sostengono le teorie relativistiche) non siano che il tessuto di un’unica coperta distesa sulla nostra esistenza: la tiri da una parte, e ne scopri un’altra.
La distanza dai miei luoghi d’origine è aumentata, soprattutto psicologicamente: non è più alla portata di una corsa in macchina sulla orribile A4, occorre un volo internazionale – e io detesto volare – e un trasferimento in treno. Nulla di tremendo, ma sufficiente per farmi percepire ed interiorizzare un netto distacco, che sarà probabilmente definitivo.
Questo distacco è ciò che mi ha portato quasi inevitabilmente ad esplorare ancora i luoghi della memoria con uno sguardo nuovo, insieme disincantato e intenerito, senza ombra di nostalgia, come dicevo, ma solo la voglia, e forse il bisogno, di riconoscermi in essi viva. In fondo, la memoria è come uno specchio, che rimanda immagini – e di conseguenza emozioni – strettamente intessute al tempo.

E, piccola anticipazione, questo distacco mi ha fatto ritrovare ed esplorare, per la prima volta in assoluto, il suono e i toni del mio dialetto. Ma di questo parlerò in una prossima occasione.

Con amore
M.P.




Adriatico minimo e solenne


I

Adriatico minimo e solenne,
come un bimbo che gioca
a esser grande; odore di salsedine,
di pece, e di pescato putrescente
nei recessi segreti dello scalo,
e io nel ricordo, a zonzo tra le barche.

Gli ormeggi ben tesi in attesa
dei tre giorni di bufera, il sartiame
che scampanella a ogni onda,
un poco più a quella, lunga e profonda,
del mercantile all’orizzonte,
pur già lontano miglia.

Pigramente, dondolano le rande
contro il cielo livido e viola
dei tramonti di settembre, in attesa
della pioggia improvvisa, che si perde
a rivoli tra le pietre del porto:
ricordi che mi vedono bambina.

Gridi aspri di gabbiani esasperati
con le strette ali lampeggianti
contro gli oscuri nembi sullo sfondo:
dicono di viaggio, di fuga libera
oltre i confini, di malinconia,
del coraggio selvaggio delle onde.

Così immaginavo che si potesse,
amare, venerare il mare,
fino all’esaurimento di ogni forza,
di ogni volontà, oltre ogni prudenza.
proprio come si fa in amore, un viaggio
verso, dentro un ignoto mondo.

Il grido degli uccelli nel mio cuore,
il lamento a tratti di questo vento
che adorna di spume d’argento l’onde,
le voci spigolose e il suono brusco
del dialetto, i volti antichi, scolpiti,
dei vecchi uomini di mare, bruni

come tizzoni arsi: li avrei amati
se li avessi rivisti, a bestemmiare
e ad imprecare sulle loro barche
ingombre di cordami, e reti vuote,
e di sfasciumi di memoria. E invece
trovo che tutto è ormai scomparso.

Spazzato via. Come nulla lascia
l’onda che si ritira dalla battigia,
abbandonando solo
una torma di carapaci e valve
svuotate, nella sabbia.
Fino alla futura onda già in arrivo.


II

Questa riva cui mi accosto è una linea
che non è stabile, che non si ferma,
che si avvicina, e subito mi sfugge,
un limite vago, che del confine
non ha la sostanza né la costanza:
non è un confine, non è una barriera.

Basta un minimo alito di vento:
se non mi sposto in fretta, l’acqua salsa,
carica di fragranze e turbinii,
mi investe il piede, nudo
nel sandalo festivo, e l’accarezza
con un sensuale mormorio d’invito.

In piedi sulla riva, sola,
penso che potrei ripartire, ora,
senza indugiare oltre, traversare
l’immenso piano d’acqua che
come separa, così unisce
le sponde delle nazioni, e le genti.



Irlanda, 2018
Marianna Piani




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