Amiche care, amici,
ho disertato per un paio di settimane questo appuntamento, per me così importante e vitale, mi spiace molto, scusatemi davvero tanto.
Potrei dire che si è trattata di una interruzione dovuta a pressanti impegni di lavoro (ho anche viaggiato molto, nel frattempo, tra Francia, Irlanda e Italia), e ciò è sostanzialmente vero. Ma non è tutto.
In verità, in questo ultimo periodo, qualcosa mi ha impedito di applicarmi pienamente alla scrittura e alla poesia così come ho sempre fatto, e non me ne è mancato il tempo, ma piuttosto la serenità, la concentrazione, l’energia necessaria, mentre dentro di me da tempo ribolle un senso di angoscia, di incredulità e di smarrimento di fronte a ciò che sta accadendo attorno.
Io mi considero una privilegiata, e molto, molto fortunata, ho potuto avverare il mio sogno di vita costruendomi una famiglia con la persona che amo in luoghi che amo, la mia vita è infine il risultato di scelte mie, prese in piena coscienza e maturità, ormai “nel mezzo del cammin di nostra vita”, e non determinate da circostanze fortuite o da incontrollabili destini. Almeno in apparenza.
Eppure non mi sento davvero libera ora: nel mondo, e in particolare nel mio Paese, che ho lasciato quasi con rabbia, sbattendo la porta dietro di me, dilaga oggi un odio e una frenesia di dissoluzione che limita fortemente la mia percezione di libertà, e quindi di felicità, anche quassù, a mille e più chilometri di distanza. Libertà e felicità: due sentimenti per me strettamente e indissolubilmente legati, non vi è possibilità dell'uno senza l'altro. E non vi può essere senso di libertà quando la libertà nel mondo che ci circonda è così pesantemente minacciata. La libertà minacciata non è solo quella delle vittime e dei bersagli inermi di quest’odio, uomini, soprattutto donne, gli immigrati, i diversi, i poveri e gli esclusi del mondo; ma anche, e secondo me soprattutto e più pesantemente, degli stessi carnefici, di coloro che odiano, e che dell’odio – e della paura che lo genera – sono prigionieri e schiavi senza speranza.
Purtroppo – e ovviamente – in me non alberga il genio e lo sterminato talento di scrittori come Pasolini, Lorca, Eluard, Ungaretti, Fortini, lo stesso Dante sopra tutti, che nella poesia sapevano trovare strumento e arma di battaglia e di lotta, di polemica e di impegno incisivo sulla Storia. La mia voce è incomparabilmente più flebile, flebilissima, incapace fin di di trovare singole parole adeguate all’indignazione, all’angoscia, alla rabbia, al ribrezzo di fronte a questa onda anomala di follia e di depravazione reazionaria. Un'onda che pare inarrestabile, che minaccia di abbattersi su di noi portandoci indietro di decenni, e che anzi si è in parte già pesantemente abbattuta sulle nostre teste.
Per questo sempre più di frequente mi devo fermare, prendere fiato dall'affanno che mi vela la vista, cerco di ritrovare una traccia visibile del percorso compiuto fin qui, un orientamento al mio cammino, scavando a mani nude tra i detriti e le macerie che coprono i segnali rossi che marcano il sentiero, cercando di disseppellirli uno ad uno man mano che faticosamente avanzo.
La scrittura, beninteso, per me continua ancora, mi accompagna sempre, ma per poter pubblicare sento la necessità di elaborare (e di “soffrire”) molto più di un tempo. E proprio per il rispetto che devo ai miei quattro lettori, voi amici e amiche, non me la sento di procedere a qualsiasi pubblicazione fintanto che la mia visione rimane così confusa e turbata.
Per questo sempre più di frequente mi devo fermare, prendere fiato dall'affanno che mi vela la vista, cerco di ritrovare una traccia visibile del percorso compiuto fin qui, un orientamento al mio cammino, scavando a mani nude tra i detriti e le macerie che coprono i segnali rossi che marcano il sentiero, cercando di disseppellirli uno ad uno man mano che faticosamente avanzo.
La scrittura, beninteso, per me continua ancora, mi accompagna sempre, ma per poter pubblicare sento la necessità di elaborare (e di “soffrire”) molto più di un tempo. E proprio per il rispetto che devo ai miei quattro lettori, voi amici e amiche, non me la sento di procedere a qualsiasi pubblicazione fintanto che la mia visione rimane così confusa e turbata.
Oggi comunque, dopo questa pausa prolungata provo a riprendere (forse non a caso occupandomi di un sentimento insieme dolce e devastante, confortevole e distruttivo, quale è la nostalgia) questi miei appuntamenti, ma per la prima volta da anni senza sapere veramente se riprenderà in modo continuativo o se invece rimarrà frammentario, discontinuo, sebbene nel mio taccuino vi siano sempre decine di testi che attendono e chiedono con insistenza di uscire nel mondo. Perché lo stato d’animo, se pure non “placato”, deve essere almeno sufficientemente lucido e sereno per poter affrontare il necessario lavoro di lettura e revisione indispensabili prima di proporre alla pubblicazione alcunché.
Perdonatemi questa lunga prolusione, ma penso che la vostra amicizia e la vostra fedeltà a queste paginette meriti da parte mia non una giustificazione, ma certo almeno un tentativo di intima e scoperta confessione.
Vi lascio alla lettura di questo breve testo in endecasillabi piani, dedicato alla mia antica città d'adozione, che ho lasciato orai da quasi tre anni, un testo semplice e ingenuo come lo è la “nostalgia” per il tempo che ineluttabilmente ci lasciamo alle spalle e quella per la nostra prodiga e forse sprecata giovinezza.
con amore
M.P.
Nostalgia e Milano
Avrei detto mai che avrei provato
questo strano, un poco obliquo
sentimento del tempo sprecato
che potrei chiamare nostalgia,
se non ne temessi la greve risacca
in un’ondata di cruda amarezza:
sì, direi nostalgia, per la città
che ho abbandonato, per la Milano
che ho abitato nei miei anni più cari,
e più disperati, per le sue piogge
petulanti e malate, per quei giorni
di smarrimento, per le luci e le ombre
cupe dei viali e dei cavalcavia,
per le passeggiate vaghe e affrettate
in vie affollate di morte illusioni,
morte foglie cadute di mortali
illusori traguardi, un camposanto
di mortali soccombenti ambizioni.
(Vestivo elegante, un abito nero
attillato sul mio corpo minuto,
scarpe col tacco e intrepide gambe
per il mio primo colloquio importante,
e fremevo con la mia giovinezza
colma di rabbia e spavalda fierezza.)
Marianna Piani
Kilkenny, Febbraio 2019
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