Amiche care, amici,
A volte ci pare così effimera, inutile la poesia, di fronte a tutto ciò che accade nel mondo di orribile e imperdonabile, e spesso purtroppo irrimediabile, definitivo.
Da cent’anni (o forse da sempre) ci si chiede cosa può mai la poesia nella Storia: cosa rimane di essa, dopo le ceneri di Auschwitz, e cosa può oggi, di fronte a chi, tutto attorno a noi, da queste ceneri non ha saputo né voluto apprendere nulla, non ha mai accolto in sé una parvenza umana, credendosi per ciò divino, e non ha mai creduto in un riscatto, o, peggio, continua ancora nutrire il vomito dell’odio, negando così tutto ciò che di lui lo potrebbe far diverso dalla bestia?
È vero, che senso ha più la poesia, dopo questo secolo di storia che pare non avere insegnato nulla a tanti, a troppi, se non il falso mito, che la forza, e l’atrocità che ne deriva, infine sia vincente?
Eppure la poesia tuttora c’è, nel mondo, ed è irrinunciabile, insostituibile. È fiorita perfino tra i reticolati, di fronte alle bocche dei forni crematori, e ora forse, nel deserto effimero e desolato delle reti, è divenuta ancora più essenziale.
Al pianto del poeta rispondo che senza le sue parole, senza i suoi versi tracciati a sangue, e senza il suo pianto, la vita umana, quella di tutti noi, sarebbe semplicemente inaccettabile. Intollerabile. Inconcepibile. Incomprensibile.
La poesia infine è tutto ciò che di innocente ci rimane.
Con amore
M.P.
M.P.
Davanti a un cielo così chiaro,
e luminoso e prossimo che pare
di affondare le braccia nelle nubi
come in una schiuma irreale
al solo alzarle, resto immobile
mentre rammento della mia innocenza
chiara e tormentata anch’essa,
effimera come un pensiero all’alba.
. . . .
Risalii dunque l’altura che dava
lungo sguardo al vallone, e sullo sfondo
riposava del lungo giorno il lago
con un suo nitido baluginìo
al cielo denso e intento del tramonto.
Fu qui che mi raggiunse, silenzioso
come un alito di vento, il poeta,
sostò a lungo sopra il bastione spoglio
prima di pronunciare una parola,
un pensiero solo dopo cent’anni di silenzio:
«Che sarà di noi ora, soffocati
dall’odio, dal risentimento torvo,
che faremo se ci ridesteremo
e ci ritroveremo, troppo tardi,
incapaci di riscattare una vita intera?»
Io guardai in basso, sotto i miei piedi,
nel precipizio, tra i tronchi frantumati
degli abeti e dei castagni, pensando
che sarebbe una morte assai insincera
finire a fracassarsi in quella anarchica purezza.
Guardai lui, l’esteta, il limpido maestro
di parole, l’autore del “esser saggio”,
il cinico romantico che aveva
insegnato al mondo la ragione vera
del distacco: e vidi che piangeva.
Marianna Piani
Kilkenny, Febbraio 2019
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