«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»
«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)
«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)
«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)
«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)
«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)
sabato 30 settembre 2017
Il male
Amiche care, amici,
ancora un piccolo spunto di riflessione sul dolore, quasi un frammento di diario di un ricovero ospedaliero, a proseguimento e completamento ideale dei versi che ho pubblicato pochi giorni fa.
In realtà per me non fu nulla di troppo drammatico, si trattò in tutto di una quindicina di giorni trascorsi in degenza, e il male sopportato un'inezia in confronto a molte delle sofferenza che mi trovavo attorno; tuttavia, forse non c'è nulla che incide sull'esistenza come il trauma di uno spostamento così netto e improvviso della propria realtà, da una quotidianità a volte anche mal vissuta, a una realtà del tutto diversa, non più centrata sulla nostra volontà e arbitrio e pensiero, ma solo sulla nostra pura e semplice sopravvivenza, sulla nostra più basilare fisicità.
E non vi è nulla di più incisivo e permanente nel nostro animo come la vicinanza, il contatto, con il dolore e la morte che si esprime e mostra, senza pudire, tutto attrono a noi, come accade nella corsia di qualunque struttura ospedaliera.
Lentamente, gradualmente, dopo essere sprofondati nella crisi e dopo che, per fortuna e non senza pena e sofferenza, ne emergiamo, recuperiamo una conoscenza di noi stessi che non sarà mai più, in ogni caso, quella che era in precedenza.
Il dolore non è una benedizione o una espiazione - come in alcuni casi le religioni virrebbero farci credere - ma certo, che lo vogliamo o no, si tratta di una maturazione, e, sempre, di un percorso di conoscenza. Conoscenza di noi stessi, e del senso della nostra esistenza.
Amiche dilette, amici, grazie per la vostra presenza, sempre3 con amore
M.P.
Il male
Ė un'aspra continua lotta, il male,
tra lo spirito che non si piega
e il corpo che si ribella.
Il giorno pare troppo in luce,
abbaglia, ma rimane ancora
tutto intorno una parvenza di reale.
La notte invece tutto, corpo, l'anima,
le membra, tutto trasfigura, a noi
non rimane che il senso del dolore.
Le ore, quelle sono vere, quelle
che trascorrono goccia a goccia
mentre la sonda ci perfora il braccio,
e scende il torpore goccia a goccia
nelle vene, rendendoci immortali,
finché non sopravviene l'ora del reale,
la luce all'improvviso erompe ancora
nella stanza, come se fosse un Dio
a imporla dal suo trono astrale.
. . .
Vorrei sopirmi ancora, ma gli alati
messaggeri predano il mio sangue,
e con esso gocce del mio sentire.
Ricomincerà la pena del giorno
che non ha tregua perché non ha ombra,
e perciò rifugio. No, non lo so
se infine reggerò.
Marianna Piani
Milano, 4 Marzo 17
.
mercoledì 27 settembre 2017
Poi che c'eri
Amiche care, amici, terminata la mia piccola raccolta di "graffiti urbani", e al termine ormai l'estate, riprendo la normale pubblicazione, e la riprendo con una lirica che è la memoria di un paio di settimane trascorse a soffrire, per un banale incidente, ma che poteva costarmi caro, in una corsia d'ospedale.
Non c'è nulla più del dolore, parlo di quello fisico, per farci riflettere sulla violenta, assoluta voglia di vivere che nonostante tutto abbiamo dentro di noi. In quei momenti l'istinto prevale su tutto, la morte ci è più vicina che mai, ma non la corteggiamo, vogliamo vivere, solo questo conta, ci ritroviamo ridotti alle nostre funzioni fisiologiche più basilari, quando, per fare un esempio, anche la minzione dipende dalla cura di un operatore, a noi del tutto estraneo, che ci porta il recipiente, lo colloca in posizione, lo ritira e lo svuota.
E in quei momenti la presenza di una persona che ci ama, accanto a noi, diviene forse il più prezioso dei doni. Le regole crudeli dell'istituzione limitano di molto i tempi di questa presenza, confinandola a poche ore nella giornata, rendendola più preziosa ancora, semplicemente vitale. In quei giorni si vive in attesa di quella presenza, che non lenisce il nostro male, non potrebbe, ma fa di più, lo condivide.
La morte ci passa accanto, e noi comprendiamo quanto la vita sia preziosa, e quanto sia prezioso l'amore che essa può esprimere.
(PS: la donna che si lamentava e che poi, seppi, morì, in realtà non era nel mio reparto, ma qualche stanza più in là, ma la morte, quando ci passa così vicina, lascia segni indelebili del suo passaggio nel nostro cuore.)
Vi lascio, come di consueto, se vorrete, alla lettura, amiche dilette e amici, con amore dalla sempre vostra
M.P.
Poi che c'eri
Come quando ti raccontai di me
nel delirio ciò che avevo celato
dentro me, lungamente: e tu tacesti.
Fosti accanto a me, a fianco
di quel letto di corsia, bianco,
e io, nonostante tu ci fossi,
nonostante i motori che l'inclinavano
in mille modi al mio comando,
non trovavo pace, al male.
Tu stavi, anche allora, senza dir nulla,
a parte le parole di conforto
che m'attendevo da chi mi amava.
Tacevi, e mi guardavi, io piangevo
nelle tue mani. Poi mi calmavo.
Era questo tutto il tuo dono:
tu c'eri, io mi calmavo.
Tu c'eri, al mio fianco, e io mi calmavo:
tutto poteva andare, allora, anche
la notte desolata che mi attendeva
nelle luci gelide della corsia,
e la sveglia all'alba, anzi, assai prima,
per i lamenti della donna al 300.
Se tu c'eri, tutto era un passaggio
senza traccia nella mia vita,
anche il dolore, anche la nausea
che ne deriva, anche lo strazio
di udire chi soffriva a sei metri scarsi
dalla mia fredda branda bianca.
La donna di quei lamenti morì
solo poche albe dopo il mio rilascio:
fu il destino, mi disse poi qualcuno.
Ma poiché tu c'eri, io mi calmavo.
Forse mi salvasti allora, salvifica
presenza, poiché c'eri -
c'eri sempre, al mio fianco.
Marianna Piani
Milano, 2 Aprile 2017
domenica 17 settembre 2017
Graffiti urbani - 10
Amiche care, amici,
con questo breve componimento chiudo questo ciclo, dedicato alla memoria del mio sofferto trapianto dalla città materna, la bella Trieste, a questa Milano per cui nutro un sentimento contrastante, di amore e odio.
Amore di certo, perché poche città al mondo, nel complesso, mi avrebbero accolta così com'ero, ragazza giovane, senza un soldo, completamente sola, dotata soltanto del mio assai modesto talento, artista spiantata e anche un poco "strana". Qui ho trovato il modo di sopravvivere, ricordo con angoscia e un filo d'orgoglio quando ho girato tutte le agenzie della città con il mio porfolio (all'epoca non c'era ancora l'uso generalizzato dei computer, il portfolio consisteva materialmente in una grossa - e pesante - cartella infarcita di disegni e bozzetti). Il ricordo è angoscioso, perché sono sempre stata (e sono tutt'ora) mortalmente timida, insicura del mio aspetto (nonostante tentassi di coprire questo mio lato caratteriale con abiti piuttosto, diciamo, aggressivi, e tacchi vertiginosi) per cui ogni appuntamento era una tortura, era una tortura decidermi di suonare il citofono e dire il mio nome, una tortura aspettare (spesso assai a lungo) che arrivasse il mio "contatto", una tortura atroce sciorinare i miei lavoretti - che visti con lo sguardo che ho ora, ora che mi capita di frequente la da me pochissimo ambita responsabilità di stare dall'altro lato della scrivania a giudicare giovanissimi artisti, mi pare incredibile di aver trovato così qualcuno che mi desse credito e mi facesse iniziare.
Orgoglio perché, in un modo o nell'altro, ce l'ho fatta.
Ma erano inveo anche altri tempi, i ragazzi oggi, me ne rendo conto appunto quando ho quelle occasioni di cui accennavo sopra, hanno è vero molte facilitazioni dovute a una tecnologia inimmaginabile quando ho iniziato io, ma anche una immensa difficoltà a far emergere il loro valore.
Nel mio campo c'è sempre stata una lurida fogna di approfittatori, gente che si industriava di fare i soldi con il lavoro e il talento di altri, specialmente se giovani, o gatti&volpi che tentavano di spacciare illusioni in cambio della tua passione e credulità. Io non mi sono mai prestata, fin dall'inizio, ed ero un po' "famosa" per questo in ambiente, per la mia combattività, che mi ha anche fatto "perdere" non poche "occasioni". Ma oggi vedo che tutto questo si è elevato a sistema. ormai lo sfruttamento schiavistico di ragazzi appassionati a costo zero (lo ripeto: a costo zero. Ai miei tempi erano compensi bassissimi o pagamenti dilazionati all'infinito, ma oggi è il tempo del "gratis") è diventato ormai prassi consolidata, assieme al ritardo di pagamento delle fatture ormai definitivamente fissato ai 90/120 giorni, quando va MOLTO bene, che costituisce un UNICUM credo al mondo (io lavoro per fortuna anche all'estero, Francia, Germania, Irlanda, Cina, Australia, e posso testimoniarlo).
E questa è una delle ragioni per cui anche "odio" questa città, ma anche per la progressiva nevrotizzazione dei suoi abitanti, per la cafonaggine diffusa, per le immense sperequazioni miseria-opulenzaesibita cui si deve assistere, per non pensare alla crescente aggressività di frange di manifesta intolleranza e razzismo, un carattere che non centra NULLA con la grande tradizione di accoglienza e tolleranza che è sempre stato il carattere di questa città, brutta e sgraziata in confronto ad altre grandi città Italiane, dal punto di vista urbanistico ed architettonico, ma di grande cuore per la sua meravigliosa gente, per il suo popolo. Qui oggi ha la sede centrale un "partito" xenofobo e razzista, con un largo consenso, e questo deprime non poco, nella città di Strehler, Dario FO, del Cabaret, del Teatro Verdi, della Cultura con la C maiuscola…
Concludo dunque questo breve itinerario, come chi ha avuto la bontà di seguirmi avrà notato, molto sofferto, corrusco, non facile (e vi ringrazio di cuore, perché mi rendo conto che questa "difficoltà" del percorso lo è stata anche per voi) con un sonetto: perché ho sentito il bisogno di concludere con una ricerca di armonia, di plcarmi, in vista di prospettive nuove che forse per me si aprono, saldando questa città a me, Triestina ma anche, stendhalianamente, "MIlanese".
E cosa c'è di più armonico, placato, di un sonetto?
Dalla prossima settimana riprenderò la pubblicazione "normale".
Grazie, amiche dilette e amici, come sempre, con tanto amore.
M.P.
10
Commiato
La prima notte fu agitata: ero
troppo eccitata e in ansia per sopirmi
più d'un paio d'ore. Prima dell'alba
mi rigiravo desta nel giaciglio
dell'albergo da due soldi adiacente
al grande viale della tangenziale –
una livida luce dalle tende
ingrigite preannunciava il giorno.
Ma prima del chiarore venne un suono
un rombo cupo come un sordo tuono
in un lentissimo crescendo alieno.
Era il respiro di un leviatano
che si destava: quella era Milano.
Questo il mio primo tormentato giorno.
Marianna Piani
Milano, 29 Marzo
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domenica 10 settembre 2017
Graffiti urbani - 9
Amiche care, amici,
ultima stazione di questo viaggio. Vi sarà poi un commiato, il decimo e conclusivo componimento di questa serie, ma il viaggio idealmente termina qui, davanti a un muro graffito in una qualunque via cittadina, forse periferica, di questa Milano con cui mi sono confrontata per la prima volta anni fa, giovane ragazza sola, con un bagaglio di speranze, di illusioni, e anche un bel po' di ambizioni.
Il "riscatto" dal sogno e dall'incubo, qui così inestricabilmente confusi, per me è rivelato tutto in quel gesto, primordiale, di espressione di un "libero pensiero" che è l'eponimo di tutta questa raccolta. Questa era, e rimane, la mia via di salvezza. E su quel mattone ho costruito la sopravvivenza del mio corpo, e, ciò che più conta, della mia anima.
Vi lascio dunque, se vorrete, amiche dilette e amici, alla lettura.
Questa collana, più di altre analoghe che ho pubblicato precedentemente su queste pagine, in realtà andrebbe letta in quanto tale, come una raccolta di versi e di stanze in cui ciascun episodio prende senso e motivo dal precedente e lo passa al successivo, anche se il legame che li tiene assieme appare paradossalmente più esile e sfumato, e anche se non vi è - volutamente - una vera progressione narrativa, ma si tratta piuttosto di una serie di appunti sparsi. Proprio per questo, per questa difficile costruzione di senso dal nonsenso (questa in fondo è la città, un immenso postulato di non senso) vi ringrazio di cuore di essere rimasti con me, al mio fianco, con pazienza e disponibilità, lungo questo percorso.
Con amore
M.P.
9
Graffito
Davanti a questo muro
finisce ora il mio percorso
di storia e di memoria.
Qualcuno nella notte
vi ha lasciato il segno
del suo pensiero,
un pittogramma astratto
non bello o brutto, incompiuto.
Segni che non hanno
nulla d'esoterico, soltanto
un paio di colori primi
che s'intersecano nelle forme
d'un alfabeto ignoto
ai più, per un racconto
monco, interrotto
nessuno saprà mai perché.
Di là dal muro,
oltre l'inferriata,
un altro mondo attende
il mio risveglio finalmente
da questo sogno: forse,
tra me penso,
tutta la mia vita ora
riparte da questo muro.
Forse dietro i segni rossi
e neri e gialli del graffito
rimasto a mezzo
e senza autore sia
l'idea di un riscatto, forse
una salvezza rivelata
tra il rosso e il nero
di un libero pensiero.
Marianna Piani
Milano, 28 Marzo 2017
domenica 3 settembre 2017
Graffiti urbani - 8
Amiche care, amici,
questo componimento, ottava stazione del nostro viaggio urbano, è l'ideale proseguimento del precedente.
La notte, quasi senza che vi sia segno di tale passaggio, sfuma presto nell'alba.
Pochi sono gli indizi che la distinguono, l'oscurità è ancora profonda, le voci sono ancora quelle della notte, e così i silenzi. È in questo momento che si rivela in tutto il suo severo rigore la solitudine metropolitana, quell'essere da solo di ogni individuo pur immerso in una folla sterminata di solitudini come la sua.
I versi qui sono volutamente spezzati, discontinui, aritmici, per lo più brevi e molto brevi, ho scelto parole di un vocabolario urbano, rumoroso, impoetico. Il pigro ambiente della provincia è già ormai un vago ricordo, sostituito dal fermento inquieto della Grande Città. Questa città, che non fu, e non sarà mai, anche dopo anni, la mia.
Vi affido questi versi, amiche dilette e amici, come sempre - con amore
M.P
8
Alba
Prima dell'alba, di là
dalla finestra chiusa
le voci che s'odono sono
solo quelle delle
spazzatrici meccaniche
che soffiano via lordura
dagli scoli ai lati
delle carreggiate,
e qualche acuto isolato
strillo di ragazza, in distanza,
mentre i woofer di una vettura
diffondono un cupo rimbombo
nel trascorrere tra i palazzi,
grev, più che severi,
che incoronano il centro.
Le voci, e i suoni,
giungono annebbiati
dai doppi vetri, ma basta
per apprendere l'idioma
delle divinità notturne,
quelle dei nostri sogni
sconsiderati, quelle
dei nostri incubi
improvvidi, ricorrenti:
narrano, le voci,
storie di solitudini
umane, ai margini
dell'indifferenza del mondo
dei vivi, di morte anime
e morti cuori dispersi
nelle vie senza fine
e senza traccia
di pietà e accoglienza.
I suoni e le voci, remote,
sono solo un'eco
tra muri di pietra
e androni deserti, tra piazze
desolate e i rintocchi
di qualche lontana
campana di Dio: l'eco
di un collettivo
salmo all'abbandono
e al dolore di questa città
che mi ha adottata,
ma mai per me sarà
la madre ormai perduta
indimenticata.
Marianna Piani
Milano, 25 Marzo
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