Amiche care,
amici,
Spesso ci si chiede che cosa possa decidere a che punto – e come – un componimento poetico si consideri concluso. Quando lo scrivente giunge a un punto in cui sente di dover alzare la penna, assolutamente certo a quel preciso punto di essere giunto all’ultimo verso di quella particolare poesia.
In prosa, nel racconto, o nel romanzo, è la narrazione che detta i suoi tempi, l’arco dell’azione, o del ragionamento.
In poesia non esiste nulla di tutto questo. Eppure vi sono poesie che si concludono dopo pochi versi, necessariamente, altre proseguono per molte strofe, altrettanto necessariamente, e se pure vengono interrotte ad esempio perché finisce la giornata, si è stanchi, o si è chiamati altrove, reclamano poi di essere riprese, perché sono evidentemente monche, incomplete.
Spesso ci si chiede che cosa possa decidere a che punto – e come – un componimento poetico si consideri concluso. Quando lo scrivente giunge a un punto in cui sente di dover alzare la penna, assolutamente certo a quel preciso punto di essere giunto all’ultimo verso di quella particolare poesia.
In prosa, nel racconto, o nel romanzo, è la narrazione che detta i suoi tempi, l’arco dell’azione, o del ragionamento.
In poesia non esiste nulla di tutto questo. Eppure vi sono poesie che si concludono dopo pochi versi, necessariamente, altre proseguono per molte strofe, altrettanto necessariamente, e se pure vengono interrotte ad esempio perché finisce la giornata, si è stanchi, o si è chiamati altrove, reclamano poi di essere riprese, perché sono evidentemente monche, incomplete.
Non so come
questo avviene, ma avviene, ed è del tutto spontaneo, ed è la poesia stessa che
ci dice, addirittura impone la sua origine, il suo sviluppo, e la sua
conclusione.
E se una poesia si interrompe perché la vena dell’ispirazione si esaurisce, ci apparirà sempre incompiuta, come potrebbe essere di una scultura cui manchi, indubitabilmente, un arto, o una parte importante della lavorazione.
Personalmente so di essere una scrittrice che tende a distendere la sua scrittura quasi sempre su misure piuttosto cospicue, il madrigale è la forma chiusa più compatta che ho frequentato, ma in questo caso è la forma stessa a determinare la chiusura di un componimento. Un sonetto, ad esempio, per essere tale deve chiudersi al quattordicesimo verso, il madrigale classico all’ottavo. Non prima, non dopo.
E se una poesia si interrompe perché la vena dell’ispirazione si esaurisce, ci apparirà sempre incompiuta, come potrebbe essere di una scultura cui manchi, indubitabilmente, un arto, o una parte importante della lavorazione.
Personalmente so di essere una scrittrice che tende a distendere la sua scrittura quasi sempre su misure piuttosto cospicue, il madrigale è la forma chiusa più compatta che ho frequentato, ma in questo caso è la forma stessa a determinare la chiusura di un componimento. Un sonetto, ad esempio, per essere tale deve chiudersi al quattordicesimo verso, il madrigale classico all’ottavo. Non prima, non dopo.
Nel caso del frammento che pubblico oggi, invece, non c’è alcuna struttura formale sottostante, trattandosi di una versificazione libera, eppure esso si conclude dopo solo sette versi brevi, e fin dalla prima stesura è questa la dimensione che mi ha “imposto”.
Ho semplicemente “sentito” che non avrei potuto aggiungere nemmeno una parola senza romperne l’equilibrio. Un nucleo chiuso in sé stesso, proprio come il geode di cui il componimento parla. La sua brevità mi affascina ed atterrisce.
Con amore
M.P.
Ametista
Il rimpianto è
nella memoria
come l'ametista che incrosta
il cavo d'una roccia:
è celato, alla vista, ai sensi,
e al creato.
Pure, nella propria tenebra
porpora sfavilla.
come l'ametista che incrosta
il cavo d'una roccia:
è celato, alla vista, ai sensi,
e al creato.
Pure, nella propria tenebra
porpora sfavilla.
Marianna Piani
Novembre 2017
.
Nessun commento:
Posta un commento
Sarei felice di sentire di voi, i vostri commenti, le vostre sensazioni, le vostre emozioni. Io vi risponderò, se posso, sempre. Sempre con amore.