«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

mercoledì 31 ottobre 2018

Cinque pezzi facili - 1 Allemanda



Amiche care, amici,

torno alla mia scrittura preferita, la poesia d’amore, con una piccola raccolta di brevi componimenti a sestine di ispirazione – molto liberamente – musicale.
Si tratta di cinque liriche che ho pensato di raccogliere sotto il nome di “Cinque pezzi facili”, e cui ho dato – un poco arbitrariamente – la struttura di una Suite musicale.
In particolare, per il valore affettivo e di memoria che ha per me, mi riferisco alla Suite Francese No. 1 (BWV812) di Johann Sebastian Bach, che fu uno dei pezzi preferiti dalla mia mamma, che vi si avventurava periodicamente nei suoi studi quotidiani al pianoforte.

Non vi sono motivi diversi da questo in questa digressione, se non la necessità di dare, appunto, una struttura unitaria a questi cinque “pezzi”, nati tutti uno di seguito all’altro e da un unico stato affettivo.
Tuttavia ciascun componimento in qualche modo rispecchia, nel ritmo formale e nel contenuto emotivo, il particolare andamento ritmico, melodico e polifonico di ciascuna di queste cinque danze barocche, ma si tratta più di una risonanza mnemonica, di un substrato tonale, che di una vera e propria intelaiatura formale.
Una specie di “filo d’Arianna”, diciamo così, che mi ha aiutato a percorrere un territorio fortemente emotivo, senza perdermici.

Come di consueto in questi casi, pubblicherò qui questi titoli uno alla volta, e solo alla fine li ripubblicherò tutti assieme come raccolta, così avrò il tempo e la concentrazione necessaria per rivedere e sistemare i testi uno a uno, man mano che li andrò a pubblicare,

Vi lascio alla lettura, se vorrete, con amore.

M.P.



Cinque pezzi facili

1
Allemanda


L'anfora, elegante accenno
al femmineo sesso, reca sottili
aurei fregi sul margine slabbrato,
astratti segni di sapiente intensa
vocazione all'arte adornano
di foglie e fusti leggendari
l'effimero universo in terra cotta.

Intanto, nello spazio senza spazio
del ventre intatto dell'oggetto
figure leggiadre di danzatrici
muovono l'ampio peplo virginale
rivelando le lunghe gambe, perfette,
in slanci mirabili sospesi
tra morte e vita; tra pace e affanno;

tra l'effimera vitalità del volto
e la perpetua verità del corpo.
Ciò che si perpetua ben oltre il tempo,
oltre i millenni, è la bizzarra traccia
d'uno stilo sull'argilla. La figura
da sempre esiste nel nostro sguardo
solo. Finché viviamo, essa è viva.



Marianna Piani
Milano, Gennaio 2018



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sabato 27 ottobre 2018

Ugualità


Amiche care, amici.
Chi mi conosce un pochino sa che assai di rado mi concedo qui una scrittura che un tempo si sarebbe chiamata “civile”, per distinguerla dalla lirica così detta (ma mai lo è veramente) “pura”.

L’indignazione, come ogni emozione intensa e totalizzante, contrariamente a quanto in genere si pensi, è una pessima sorgente d’ispirazione. In ogni arte, per produrre qualcosa di valido esteticamente e emotivamente, che possa in qualche modo toccare il cuore e la mente del pubblico (lettori, ascoltatori, spettatori), occorre un pieno distacco dalla fonte emotiva della propria ispirazione (qualunque cosa questa cosa sia), per poter tenere saldo il dominio dello strumento comunicativo.
“Lasciarsi andare” sull’onda dell’emozione invariabilmente produce risultati magari assai onesti e generosi, ma nella migliore delle ipotesi modesti, mediocri, quando non francamente pessimi sul piano propriamente artistico. Rari sono gli Autori che sono stati capaci di “dominare” una materia così elusiva in modo efficace: Dante e Pasolini, giusto per citare due nomi sommi.
I comuni mortali invece rischiano di impantanarsi nel pompierismo retorico, o nell'estetismo, oppure, peggio, nell'autocompiacimento.
Conscio di questo, ho sempre evitato questa scomoda situazione,

Tuttavia ciò che sta accadendo in questi mesi, in Italia, la mia povera Italia, ma anche purtroppo in molta parte dell’Europa, la mia amata Europa, è divenuto talmente preoccupante, intollerabile, raccapricciante, da occupare una parte importante del mio pensiero e della mia azione, e quindi è inevitabile che in qualche modo qualcosa di tutto ciò trapeli nella mia scrittura. Gran parte di questi componimenti li tengo per me, perché, come prevedibile date le premesse, non li ritengo in grado di superare la barriera dei miei stessi filtri critici.
Ma questa breve lirica dedicata alla “uguaglianza nell’odio” cui ci stiamo precipitando, ha finito, dopo qualche rimaneggiamento, con trovare la strada per la pubblicazione su queste pagine.

Vi lascio alla lettura, se vorrete
Con amore
M.P.





Ugualità


Siamo nullità: perché fingete
d'indignarvi, perché vi ostinate
a fingere d'ignorarlo?

Siamo nullità in un mondo vasto
di nullità stipato, a nulla vale
credersi speciali: siamo uguali,

almeno in questo, tutti uguali!
E la coscienza d'esser tutti
uguali nullità, ci rende pazzi.

C'illudiamo d'essere speciali,
ma ciò che più l’arsura infiamma
del nostro odio, è ciò che è diverso.

L'odio nostro schiuma in sputi
contro ciò che solo salverebbe
la nostra umanità perduta -

se solo la nostra mente fosse
meno ottusa nel mirar noi stessi
mille volte replicati, e disperati.

Il nulla, l'odio contro tutti e tutto
è tutto quel che ci rimane: fummo
nullità, e nullità ci estingueremo

strepitando dalle sentine della Storia
che senza noi procede inascoltata,
per la rovina, o per la gloria.

Senza attendersi da noi altro che il nulla:
altre genti, altre umanità presto
senza rimpianti ci rimpiazzeranno.



Marianna Piani
Milano, 16 Gennaio 2018





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sabato 20 ottobre 2018

Passo passo




Amiche care, amici,

racconto il passo di due donne nella vita, il mio e quello di una giovane sconosciuta.
Entrambe un poco incerte, sempre in equilibrio instabile, apparentemente precario, sui nostri lussureggianti e fieri tacchi a spillo, cui dovremmo rinunciare per tener fede ai nostri ideali e alle nostre aspirazioni, ai nostri legamenti articolari, e non lo facciamo, chissà, forse per ispirazione, forse per disperazione.
Forse è un gioco, il nostro, forse un impegno, certo i maschi non hanno tacchi, e vanno via spediti, sicuri, vanno anche in guerra, e noi incerte, precarie in apparenza (e anche in sostanza) ma sempre alte e fiere, insane ma, nonostante tutto, salde.
Padrone della nostra bellezza, e dei nostri desideri.
Tacchi o non tacchi, le donne procedono, nella Storia che mai le avvantaggia, procedono sempre, vincenti.

Con amore, vostra

M.P.





Passo passo





La tipa che mi precede
maltratta il marciapiede
con i suoi alti tacchi ostinati,
forse incolleriti: saperlo...

La seguo un poco, senz'intenzione,
ammirando quel suo passo svelto,
che somiglia al mio (anch'io traballo
su tacchi alti e aguzzi come illusioni
e non cado), ma non è il mio quel passo.

Quello è un passo
da venticinquenne.

Fiero, direi bastardo, scanzonato,
arrogante anche, temerario,
il passo di chi percorre la sua via
la prima volta, con la certezza
che il suo tempo sia infinito ancora.

A prescindere dalla sorte.
A prescindere dalla morte.

Che squisita prospettiva,
dice il passo mio, prendere il volo
a venticinque anni,
e non dovere mai penare
la fatica, la pena del risalire.

Il mio passo questo dice, ritmando
una stanchezza che adagio cresce
a ogni passo verso l'oblio,
verso l'esser nulla, verso ciò
che da giovani più ci inorridiva.

Ci dividiamo, lei si perde
tra la folla della Galleria,
io proseguo, rallentando,
vacilla la caviglia, quasi si piega
per un istante: il mio passo è stanco.


Marianna Piani
Milano, 15 Gennaio 2017


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mercoledì 17 ottobre 2018

Pound a quaranta




Amiche care, amici

torno su queste pagine dopo una assenza piuttosto lunga. Ancora una volta è per il lavoro, che mi ha occupata in queste settimane in modo così esclusivo da non lasciarmi tregua un istante. Poiché il mio lavoro è da “libera professionista”, e poiché per fortuna mi occupo di qualcosa che amo e a cui posso dedicare tutte le mie energie e la mia creatività, praticamente da sempre (tranne il breve periodo in cui ho lavorato da impiegata in un ufficio, indimenticabile e orribile esperienza, specialmente per una donna, ma questa è un’altra storia) non ho orari, né tempo libero propriamente detto, né ferie, né weekend. La mia giornata tipica si divide tra il lavoro “pagato”, vincolato da commissioni, calendari, consegne, e quello libero, puramente di vocazione, la scrittura. Quando il lavoro che mi dà da vivere aumenta in quantità e difficoltà (sono sempre alle prese con tempi di consegna, modifiche e rifacimenti, tempi sempre troppo stretti per poter essere sostenuti in un orario normale), inevitabilmente l’altro impegno viene compresso e limitato, sovente mi ci posso dedicare soltanto nel cuore della notte, a volte nemmeno in quello.
Il lavoro di scrittura però è un’urgenza impellente e irrinunciabile, quasi fisiologica, per me; e ciò che per primo viene sacrificato – per forza di cose – è l’editing e la “pubblicazione” finale. Quest’ultima fase tuttavia per me non è mai una semplice trascrizione della prima stesura, come chi ha la bontà di seguirmi da qualche tempo sa bene, ma ho bisogno di ritornare a distanza di tempo sul testo, e lavorarci ancora, spesso anche molto approfonditamente, per rendere il componimento “degno” di essere pubblicato, quanto meno per rispetto di chi mi legge, oltre che di me stessa.
Certo potrei fare semplicemente un “copia e incolla” di ciò che giace inedito nel mio cassetto, ma proprio mi ripugna farlo, lo troverei disonesto, almeno per quanto riguarda me. Da ciò derivano queste mie imprevedibili, a volte lunghe, sospensioni.
Questo va contro tutte le regole della brava blogger, ma dal momento che non mi occupo di fashion o cucina asiatica, dal momento che questo impegno è puramente di diletto, dal momento che non intendo ricavarne né danari né gloria, dal momento che mi rivolgo ai pochissimi ma meravigliosi amici che càpitano tra queste pagine, e infine dal momento che i numeri delle “statistiche” di contatto o like mi interessano né punto né poco da sempre, va bene così, le amiche e gli amici sono sicura che continueranno a perdonarmi questa mia incostanza.

(In questo stesso quadro ho anche dovuto per ora abbandonare – e di questo mi spiace moltissimo, forse perfino di più – la pubblicazione delle traduzioni dagli autori non italiani che sto studiando, una pratica fondamentale per affinare i propri strumenti tecnici ed espressivi. Ma il tempo, per ognuno di noi, è molto avaro, e non è possibile fare tutto ciò che si vorrebbe: proprio da qui nascono i più vivi rimpianti. E le speranze, anche, perché i progetti rimangono aperti, pronti per essere ripresi…)

Ciò detto riprendo per un poco le pubblicazioni con questa lirica che ha una origine piuttosto particolare, che forse vale la pena di raccontare:
lo scorso inverno una brutta infezione mi costrinse per parecchi giorni a letto con una febbre altissima, forse la più alta che ricordi da adulta, e, non so se perché si adattava alle mie condizioni deliranti, mi ero dedicata tra i tremori a rileggere dei testi di Ezra Pound. Credevo di poter morire in ogni momento, anche perché in particolare all’inizio ero da sola (la mia compagna era in tour e accorse appena le fu possibile, ma a quel punto il peggio era passato, nel frattempo mi aiutò un poco il mio ex, sempre carissimo, ma si sa che i maschi in queste occasioni sanno offrire solo poco più della loro presenza fervente e molto impacciata), per cui rimasi nel guazzabuglio tra Pound e la febbre per diversi giorni.
Alla fine mi “risvegliai” ancora viva, quasi sorpresa, e ne scaturì (ancora a letto) questa cosa, un poco febbricitante, un poco in stile poundiano, forse…
Giusto per capire l’origine del titolo, il 40 non sono i miei anni (magari!) ma la febbre, appunto. Che arrivò per la cronaca fino a punte di 41,5, ma un numero così non avrebbe funzionato in un titolo.

Vi lascio alla lettura, dilettissime e amici cari, come sempre, con (caldo) amore…

M.P.







Eppure, ora che so quanto finita
e preziosa sia la vita, e il tempo,

e la solitudine siano infiniti,
proprio ora, ancora,
per tutto ciò sarei pronta.



  
Pound a quaranta


Il corpo giace, e le membra
mi sono fredde, gelide, feroci
come in una morte in contumace,
e in vero mi pare di poter morire
prima che il giorno fugga a occidente.

È qualche ora ormai
che il tremito mi scuote
così dal profondo del mio torace
da non potere quasi respirare,
così mormoro qualcosa ch'è un lamento.

Il lamento serve all'uomo
non per cercar conforto – o aiuto – o pace:
ma per sentir sé stesso ancora in vita.
O per l'ultimo respiro.

Ardo, ma non d'amore, ora,
ardo di una specie di tossico rimpianto,
e del calore paradossale del mio corpo.
Intanto,
Ezzzrr...

la mente ronza versi di Ezra Pound
che mi emergono dalla memoria
poiché non li ho mai intesi, solo
forse un poco intuiti.

Ezra scende ora lungo la strada e
s'avvicina; mi fissa col suo chiaro
vecchio sguardo pazzo
da anarchico-fascista.

E mi lascia con un sorriso acre
e alcuni versi suoi mai più trovati:

mi lascia qui, da sola, a delirare.



Marianna Piani
Milano, 13 gennaio 2018



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