Amiche care,
amici
torno su queste pagine dopo una assenza piuttosto lunga. Ancora una volta è per il lavoro, che mi ha occupata in queste settimane in modo così esclusivo da non lasciarmi tregua un istante. Poiché il mio lavoro è da “libera professionista”, e poiché per fortuna mi occupo di qualcosa che amo e a cui posso dedicare tutte le mie energie e la mia creatività, praticamente da sempre (tranne il breve periodo in cui ho lavorato da impiegata in un ufficio, indimenticabile e orribile esperienza, specialmente per una donna, ma questa è un’altra storia) non ho orari, né tempo libero propriamente detto, né ferie, né weekend. La mia giornata tipica si divide tra il lavoro “pagato”, vincolato da commissioni, calendari, consegne, e quello libero, puramente di vocazione, la scrittura. Quando il lavoro che mi dà da vivere aumenta in quantità e difficoltà (sono sempre alle prese con tempi di consegna, modifiche e rifacimenti, tempi sempre troppo stretti per poter essere sostenuti in un orario normale), inevitabilmente l’altro impegno viene compresso e limitato, sovente mi ci posso dedicare soltanto nel cuore della notte, a volte nemmeno in quello.
Il lavoro di scrittura però è un’urgenza impellente e irrinunciabile, quasi fisiologica, per me; e ciò che per primo viene sacrificato – per forza di cose – è l’editing e la “pubblicazione” finale. Quest’ultima fase tuttavia per me non è mai una semplice trascrizione della prima stesura, come chi ha la bontà di seguirmi da qualche tempo sa bene, ma ho bisogno di ritornare a distanza di tempo sul testo, e lavorarci ancora, spesso anche molto approfonditamente, per rendere il componimento “degno” di essere pubblicato, quanto meno per rispetto di chi mi legge, oltre che di me stessa.
Certo potrei fare semplicemente un “copia e incolla” di ciò che giace inedito nel mio cassetto, ma proprio mi ripugna farlo, lo troverei disonesto, almeno per quanto riguarda me. Da ciò derivano queste mie imprevedibili, a volte lunghe, sospensioni.
Questo va contro tutte le regole della brava blogger, ma dal momento che non mi occupo di fashion o cucina asiatica, dal momento che questo impegno è puramente di diletto, dal momento che non intendo ricavarne né danari né gloria, dal momento che mi rivolgo ai pochissimi ma meravigliosi amici che càpitano tra queste pagine, e infine dal momento che i numeri delle “statistiche” di contatto o like mi interessano né punto né poco da sempre, va bene così, le amiche e gli amici sono sicura che continueranno a perdonarmi questa mia incostanza.
(In questo stesso quadro ho anche dovuto per ora abbandonare – e di questo mi spiace moltissimo, forse perfino di più – la pubblicazione delle traduzioni dagli autori non italiani che sto studiando, una pratica fondamentale per affinare i propri strumenti tecnici ed espressivi. Ma il tempo, per ognuno di noi, è molto avaro, e non è possibile fare tutto ciò che si vorrebbe: proprio da qui nascono i più vivi rimpianti. E le speranze, anche, perché i progetti rimangono aperti, pronti per essere ripresi…)
Ciò detto riprendo per un poco le pubblicazioni con questa lirica che ha una origine piuttosto particolare, che forse vale la pena di raccontare:
torno su queste pagine dopo una assenza piuttosto lunga. Ancora una volta è per il lavoro, che mi ha occupata in queste settimane in modo così esclusivo da non lasciarmi tregua un istante. Poiché il mio lavoro è da “libera professionista”, e poiché per fortuna mi occupo di qualcosa che amo e a cui posso dedicare tutte le mie energie e la mia creatività, praticamente da sempre (tranne il breve periodo in cui ho lavorato da impiegata in un ufficio, indimenticabile e orribile esperienza, specialmente per una donna, ma questa è un’altra storia) non ho orari, né tempo libero propriamente detto, né ferie, né weekend. La mia giornata tipica si divide tra il lavoro “pagato”, vincolato da commissioni, calendari, consegne, e quello libero, puramente di vocazione, la scrittura. Quando il lavoro che mi dà da vivere aumenta in quantità e difficoltà (sono sempre alle prese con tempi di consegna, modifiche e rifacimenti, tempi sempre troppo stretti per poter essere sostenuti in un orario normale), inevitabilmente l’altro impegno viene compresso e limitato, sovente mi ci posso dedicare soltanto nel cuore della notte, a volte nemmeno in quello.
Il lavoro di scrittura però è un’urgenza impellente e irrinunciabile, quasi fisiologica, per me; e ciò che per primo viene sacrificato – per forza di cose – è l’editing e la “pubblicazione” finale. Quest’ultima fase tuttavia per me non è mai una semplice trascrizione della prima stesura, come chi ha la bontà di seguirmi da qualche tempo sa bene, ma ho bisogno di ritornare a distanza di tempo sul testo, e lavorarci ancora, spesso anche molto approfonditamente, per rendere il componimento “degno” di essere pubblicato, quanto meno per rispetto di chi mi legge, oltre che di me stessa.
Certo potrei fare semplicemente un “copia e incolla” di ciò che giace inedito nel mio cassetto, ma proprio mi ripugna farlo, lo troverei disonesto, almeno per quanto riguarda me. Da ciò derivano queste mie imprevedibili, a volte lunghe, sospensioni.
Questo va contro tutte le regole della brava blogger, ma dal momento che non mi occupo di fashion o cucina asiatica, dal momento che questo impegno è puramente di diletto, dal momento che non intendo ricavarne né danari né gloria, dal momento che mi rivolgo ai pochissimi ma meravigliosi amici che càpitano tra queste pagine, e infine dal momento che i numeri delle “statistiche” di contatto o like mi interessano né punto né poco da sempre, va bene così, le amiche e gli amici sono sicura che continueranno a perdonarmi questa mia incostanza.
(In questo stesso quadro ho anche dovuto per ora abbandonare – e di questo mi spiace moltissimo, forse perfino di più – la pubblicazione delle traduzioni dagli autori non italiani che sto studiando, una pratica fondamentale per affinare i propri strumenti tecnici ed espressivi. Ma il tempo, per ognuno di noi, è molto avaro, e non è possibile fare tutto ciò che si vorrebbe: proprio da qui nascono i più vivi rimpianti. E le speranze, anche, perché i progetti rimangono aperti, pronti per essere ripresi…)
Ciò detto riprendo per un poco le pubblicazioni con questa lirica che ha una origine piuttosto particolare, che forse vale la pena di raccontare:
lo scorso
inverno una brutta infezione mi costrinse per parecchi giorni a letto con una
febbre altissima, forse la più alta che ricordi da adulta, e, non so se perché si
adattava alle mie condizioni deliranti, mi ero dedicata tra i tremori a rileggere
dei testi di Ezra Pound. Credevo di poter morire in ogni momento, anche perché
in particolare all’inizio ero da sola (la mia compagna era in tour e accorse
appena le fu possibile, ma a quel punto il peggio era passato, nel frattempo mi
aiutò un poco il mio ex, sempre carissimo, ma si sa che i maschi in queste
occasioni sanno offrire solo poco più della loro presenza fervente e molto
impacciata), per cui rimasi nel guazzabuglio tra Pound e la febbre per diversi
giorni.
Alla fine mi “risvegliai” ancora viva, quasi sorpresa, e ne scaturì (ancora a letto) questa cosa, un poco febbricitante, un poco in stile poundiano, forse…
Giusto per capire l’origine del titolo, il 40 non sono i miei anni (magari!) ma la febbre, appunto. Che arrivò per la cronaca fino a punte di 41,5, ma un numero così non avrebbe funzionato in un titolo.
Vi lascio alla lettura, dilettissime e amici cari, come sempre, con (caldo) amore…
M.P.
Alla fine mi “risvegliai” ancora viva, quasi sorpresa, e ne scaturì (ancora a letto) questa cosa, un poco febbricitante, un poco in stile poundiano, forse…
Giusto per capire l’origine del titolo, il 40 non sono i miei anni (magari!) ma la febbre, appunto. Che arrivò per la cronaca fino a punte di 41,5, ma un numero così non avrebbe funzionato in un titolo.
Vi lascio alla lettura, dilettissime e amici cari, come sempre, con (caldo) amore…
M.P.
Eppure, ora che so quanto finitae preziosa sia la vita, e il tempo,e la solitudine siano infiniti,proprio ora, ancora,per tutto ciò sarei pronta.
Pound a quaranta
Il corpo giace,
e le membra
mi sono fredde,
gelide, feroci
come in una
morte in contumace,
e in vero mi
pare di poter morire
prima che il
giorno fugga a occidente.
È qualche ora
ormai
che il tremito
mi scuote
così dal
profondo del mio torace
da non potere
quasi respirare,
così mormoro
qualcosa ch'è un lamento.
Il lamento
serve all'uomo
non per cercar
conforto – o aiuto – o pace:
ma per sentir
sé stesso ancora in vita.
O per l'ultimo
respiro.
Ardo, ma non
d'amore, ora,
ardo di una
specie di tossico rimpianto,
e del calore
paradossale del mio corpo.
Intanto,
Ezzzrr...
la mente ronza
versi di Ezra Pound
che mi emergono
dalla memoria
poiché non li
ho mai intesi, solo
forse un poco
intuiti.
Ezra scende ora lungo la strada e
s'avvicina; mi
fissa col suo chiaro
vecchio sguardo
pazzo
da
anarchico-fascista.
E mi lascia con
un sorriso acre
e alcuni versi
suoi mai più trovati:
mi lascia qui,
da sola, a delirare.
Marianna Piani
Milano, 13
gennaio 2018
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