«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

sabato 16 febbraio 2019

Gli anni


Amiche care, amici,

era tradizione di famiglia, da quando posso ricordarmene, ogni Settembre, e spesso per una parte di Ottobre, di trasferirci per una lunga vacanza in montagna, nel Bellunese, ospiti di una casa di una famiglia del luogo, sempre la stessa per anni, (mai in albergo). Per noi bambine era come una seconda casa di famiglia, solo completamente diversa da quella che abitavamo in città, in un condominio affacciato sul golfo di Muggia. I genitori ci lasciavano spesso sole, perché durante la settimana scendevano “in città” per il lavoro.

Era una casa rurale, di tipica architettura alpina, interamente in pietra e legno, con fienile sotto il tetto spiovente e una vasta stalla di una dozzina di mucche a livello di terra, proprio sotto le nostre stanze. I padroni di casa, che ci ospitavano, abitavano i locali a fianco, e ci trattavano come amici di famiglia, dopo tanti anni quasi come parenti.
Settembre era il periodo in cui le mucche venivano recuperate all’alpeggio e ricondotte nelle stalle, prima che l’autunno facesse arrivare le prime piogge, e spesso a quell’altitudine anche le prime nevicate. Un rito fondamentale cui più volte partecipammo, come partecipammo ogni anno alla falciatura del prato, attorno alla casa, e all’accumulo del fieno per l’inverno.

Qui ha le sue radici il mio grande amore per la natura e per gli animali: avevo il privilegio di avere un contatto diretto con essi, una cosa che sta diventando sempre più una rarità oggi, e che mi ha educata a un profondo e perpetuo rispetto per tutto ciò che è Natura, specie umana compresa.
Un rispetto che partiva dalla conoscenza, e dalla coscienza della forza della Natura e della individualità propria di ogni essere vivente. Un rispetto e una conoscenza che mi ha educato con totale spontaneità a un atteggiamento di Umanità, di accoglienza e di – chiamiamolo col suo nome – amore, che da allora per sempre regola la mia esistenza, il mio modo di pensare e di stare al mondo.
Sono stata molto fortunata, certo, e non so, fossi nata in questi anni, chiusa in un appartamento di città, intenta a costruire il mio pensiero e la mia vita relazionale sullo schermo di uno smartphone, se sarei cresciuta nello stesso modo.

O forse sì, invece.
Lo dico perché vedo, nonostante tutto, moltissimi giovani crescere con coraggio delle proprie idee, liberi e ribelli tanto quanto, e forse anche più, di come sono stata io. La forza vitale di riscatto di ogni nuova generazione è immensa, e questo è sempre stato: le forze della reazione, dell’oscurantismo, del tornare indietro, hanno sempre alla fine fallito, perché questo è indispensabile alla sopravvivenza stessa della nostra specie. L’evoluzione e il progresso hanno una sola direzione, e travolgono alla fine ogni tentativo di invertirla. E questa è più che una speranza, è una certezza.

Ma tornando agli anni della infanzia e prima giovinezza di cui parlavo prima, è inevitabile, per ognuno, una volta che questi anni si siano consumati nel tempo, provare un sentimento di nostalgia, a volte di vivo rimpianto.
Questo rimpianto è esattamente ciò che i nostri genitori chiamavano “maturità”, e noi non riuscivamo allora a capire se fosse qualcosa di positivo per noi, o invece, come nel nostro intimo sentivamo, una specie di sconfitta, di perdita. Come se l’acquisire di una identità, libertà e autonomia non potesse dissociarsi dalla perdita almeno di una parte, più o meno grande, della nostra potenzialità vitale.
Ora sappiamo che era così.

Questi, accompagnati da questo senso di perdita ineluttabile, sono gli anni di cui parlo in questi versi. Non torneranno mai più lo sappiamo. L’unica nostra salvezza è quella di rimanere dentro di noi ciò cui quegli anni ci hanno formato, rimanere umani.

Per chi volesse, con amore
M.P.






Gli anni


Tutto era ancora luce,
l'incomprensibile, misteriosa luce
dei primi anni, quelli che tutti vivemmo
incoscienti, immersi in un’aura
di storia, che presto fu memoria,
e che sfuggendoci chiameremo,
non senza un certo strazio, «nostalgia».

. . .

Erano gli anni sereni dei temporali
d'estate che fuggivamo cuore in gola,
delle grosse grevi prime gocce di pioggia
sui terreni, sui declivi, e sui nostri visi
offerti così, innocenti ancora,
alla severa natura - e ai luoghi.

I coltivi, e poco sopra, i vasti prati
già ribollenti di brulichio vitale, e i gialli
fiori dall’odore acuto, e il mormorio
delle api, cupo, attorno al mezzogiorno,
e tutto il borgo nel giorno di festa,
probi e peccatori, in chiesa.

Erano gli anni della sfalciatura
della piccola prateria dietro la legnaia,
e i ragni infidi, lì appostati
a frotte, tra i travi, nei loro mortali
trabocchetti di raso argentato.

I precoci mattini passati a contemplare
con la meraviglia del sogno
le giovenche quiete, rassegnate
alla mungitura, il sibilo alternato
nel secchio, il vapore del fiato
e del latte caldo, nel freddo.

. . .

(Nulla mi spiego, di quegli anni, tutto
è come un fiume fluente nel tempo,
senz'altro motivo se non il tempo stesso,
un tempo che va consumato in quel tempo,
e quindi perduto - per sempre.)




Marianna Piani
Kilkenny, Marzo 2018




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