Amiche care, amici,
inizio oggi a pubblicare su queste alcuni estratti dal mio libro "Sillabario lirico e sentimentale", disponibile già da una decina di giorni presso Amazon, sia in formato "tradizionale" su carta che in formato eBook.
(In fondo a questo post e a lato i link per procurarveli, se vorrete)
Prima di tutto desidero ringraziare i non pochi amici e amiche lettori/lettrici che hanno già ordinato il libro, ovviamente soprattutto in formato digitale, ma anche, in alcuni casi, su carta.
Mi ha sorpreso questa grande dimosrazione di fiducia e disponibilità, considerato anche il fatto che il libro "di poesia" ha un mercato estramamente limitato e specialistico, anche in caso di grandi collane e Case Editrici. Quindi in un caso di un libretto del genere anche poche copie in più rappresentano un grande risultato. Non è una questione "economica", io su queste aventuali vendite ho scelto di ricavare praticamente nulla, ma, come dicevo prima, di fiducia e stima da parte di chi mi legge, una stima che mi piace immaginare guadagnata in questi anni di presenza costante su queste pagine.
Grazie ancora, davvero, di cuore.
Venendo alla mia proposta di oggi, si tratta di una delle liriche più recenti tra quelle raccolte nel libro, ed è, paradossalmente, dedicata alla difficoltà - a volte anche l'impossibilità - di scrivere poesie oggi, ora, in questo tempo storico.
Viviamo in un periodo, secondo me, di tale angoscia e minaccia - per la democrazia, per la nostra serenità, per i nostri diritti anche più elementari - che diventa sempre più difficile, almeno per me, cercare piacere e in una attività così apparentemente "astratta" e spirituale quale il componimento di versi.
In verità esiste una storia millenaria di poesia, da Dante a Pasolini tanto per fare due nomi estremi, che si "sporca" con la realtà del momento, con le tragedie della Storia, con la società, con la politica, e che pare smentire con forza e risolutezza che la scrittura poetica non abbia invece un ruolo di testimonianza, di agitazione, di riflessione, di partecipazione, e anche di lotta, di formidabile importanza.
Tuttavia, il livello di queste stesse esperienze (basti pensare solo ai due nomi citati!) non nega la grande difficoltà e impegno necessari, la estrema arditezza e sobrietà formale e sostanzialeindispensabili per essere davvero efficaci e incisivi sulla realtà, sulle persone, sul mondo.
In questo periodo il mio cuore trabocca di indignazione, di dolore, di proccupazione, e questi sentimenti cercano rabbiosamente di farsi strada tra i pensieri e le emozioni, per scaturire, riversarsi sulla pagina scritta. Eppure non è affatto facile, né scontato. Come per ogni emozione viva e intensa, è presso che impossibile, mentre la si vive, trovare e mantenere la freddezza e il distacco necessari per realizzare un testo che abbia un valore di comunicazione e di articolazione estetica al di là del grido spontaneo, del proclama, dell'invettiva.
È una questione di lucidità, di controllo, di serenità, anche: per questo io non pubblico mai un mio testo prima di diversi mesi dalla sua prima stesura, in modo da consentire all'emozione di placarsi, di rendersi trattabile nel "laboratorio tecnico" dello scrittore, pur senza perdere nulla della propria urgenza.
Con i fatti d'amore e morte della vita questo deposito graduale nella memoria e nella elaborazione del pensiero è spontaneo, continuo, grazie anche alla fugacità delle emozioni umane: oggi il mio sentimento d'amore per quella persona è diverso da quello che provavo mesi fa, si è evoluto, è cresciuto, è maturato, oppure, all'opposto, ha declinato, si è spento.
Ma con l'indignazione, la rivolta, la ribellione sociali e politiche, il processo, almeno per me, è assai più difficile, poiché le condizioni della loro evoluzione sfugge alla mia percezione e sensibilità personale, sono esterni, incontrollabili, sempre vivi e privi di prospettiva che non attenga alla sfera dell'azione - politica, di intervento, di lottta, di resistenza - dell'individuo inserito nel proprio tessuto sociale.
Una difficoltà che a volte rasenta il limite della indicibilità, della impossibilità di esprimere con la serenità e sincerità che sono indispensabili in un testo poetico, per avere un miniimo di senso.
Ciononostante, io continuo a sentire l'urgenza, la spinta alla scrittura, più forte che mai, ed è questo il paradosso "sano" di quella che, in altre occasioni, ho chiamato "l'inutilità della poesia", richiamandomi proprio a un testo celebre di Pier Paolo Pasolini...
Con Amore
M.P.
Non una parola più, non un verso
Nulla. Non una parola distillata
nell’attesa, non una sola
scaturita dal pensiero
che pur mai è stato turbato
com’è ora.
Davanti, il precipizio – giù a piombo
la vasta la pianura, che si dilata
fino all’orizzonte, pare, e oltre.
Non si può guardare dentro quel vuoto
senza un senso di scoramento.
La nebbia rende vaga la distanza,
stare lassù e non sapere cosa
davvero avviene sotto quelle coltri,
questo è il dramma, la nostra ansiosa
afasia in fronte a ciò che accade fuori.
Vorremmo prendere parola
ma non riusciamo a superare il chiasso
di chi esulta stoltamente – per niente! –
mentre il mare ingrossa: ed è il naufragio.
Marianna Piani
Irlanda, Aprile 2019
In appendice 15 liriche in dialetto triestino
Pagine 250, paperback, formato pocket
Con prefazione e note
Euro 11,00
ISBN 978-0-244-18660-9
Euro 1.00