«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»
«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)
«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)
«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)
«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)
«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)
mercoledì 27 novembre 2013
Sull'altra nave
Amiche care e amici fedeli,
ecco, la sensazione incoercibile di essere inadeguata, la voglia, il bisogno potente di trovarmi altrove, di essere altro da sé, questi sono i tratti più rilevanti della mia personalità "disturbata", che alcuni chiamano più propriamente "dissociata".
È una sensazione difficilissima da fermare e spiegare, quasi impossibile da costringere in concetti e rendere a parole: è come se la terra, il suolo che in questo istante tuttavia mi regge, non sia più un solido appoggio cui confidare, ma pura illusione, una vaga onda cui mi aggrappo, come se fosse un concreto appiglio, e invece non è che una visione, un miraggio, un'illusione dalla consistenza della luce che la compone.
Ho la percezione inspiegabile ma nitida di essere una, ma nel medesimo tempo, un'altra da me, e mi sovrasta e opprime la sensazione di incompletezza e di indeterminatezza che questa condizione comporta.
Ho provato ad affidare queste sensazioni alla scrittura. Scrivere, come sempre, per me è scavare nell'anima con un coltello, fino a far sanguinare il dolore. Come un bisturi, che per curare deve affondare nei tessuti, essere cruento, farsi strada tra muscoli e visceri, cercando di non ledere parti vitali, e di giungere dov'è annidato il male.
In quei giorni, proprio in quei giorni, rientravo nella clinica, per una cura...
Condivido questi pensieri con voi, amiche dilette e amici, come sempre, con amore.
M.P.
Sull'altra nave
Essere vorrei sull'altra nave,
quella ch'è già salpata
in direzione opposta,
vorrei imbarcarmi sull'altro volo,
quello che decolla ora laggiù
verso cieli a me smisurati e ignoti.
Vorrei credermi mai giunta
ad alcuna meta, mai ferma
in un porto o in qualche baia,
mai a riposo, mai certa in cuore
del cammino già percorso.
Essere vorrei sull'altra riva
di questo fiume senza ponti o passerelle:
quella selvosa, profumata riva, di menta
e di salice e di felce, in mezzo cui assopirmi
al mormorio della corrente.
Vorrei abitare il borgo più distante
disperso tra le nebbie dell'aprile
che tarda a fiorire, in cima alle alture
digradanti alle pianure, laggiù dove
convergono i torrenti, come i tormenti,
in un unico alveo scavato nella roccia viva.
Vorrei essere sempre l'altra, di me,
quella serena e graziosa donna, chiara
danzatrice del mattino, leggera e vorace
come il soffio del maestrale sopra il mare,
capace di spingere le vele sulla rotta australe,
veloci come i pensieri, alle mete più ardite,
con il sorriso del sole lanciato contro il viso.
Vorrei scrivere un altro libro da questo:
quello avidamente passionalmente consumato
dalla ragazza raggomitolata sul sedile
della carrozza, in corsa per la vita.
Vorrei non essere ciò che sono,
ma l'altra più folle ch'è dentro me,
non procedere per dove son diretta
in linea retta, ma piegando nell'altra direzione:
non quella della disperazione,
ma quella della salvezza.
Vorrei essere una, una sola,
non essere più così, doppia, frantumata,
incoesa, incapace di fissare
il lato oscuro dello specchio, incapace
di sostenere il mio stesso sguardo ardente.
. . .
Amici, compagni, amori miei feriti,
medici, testimoni, semplici passanti,
vi prego, ora, lasciatemi da sola,
lasciate che io risalga
a bordo dell'altra nave,
e che vada in pace
finalmente.
Finita è la battaglia.
Marianna Piani
Milano, 22 Settembre 2013
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Marianna, prima di tutto, grazie (nuovamente) per le tue introduzioni.
RispondiEliminaNon solo introducono al meglio ogni tua composizione, ma in alcuni casi (come questo), mi fanno capire meglio alcune cose su di te.
Questa volta, mi risulta difficilissimo, davvero, scrivere un commento.
Ci ho pensato molto, e alla fine mi sono detto : "Perchè no?"
Le parole che hai usato, nello specifico "...è come se la terra, il suolo che in questo istante tuttavia mi regge, non sia più un solido affatto appoggio cui confidare, ma pura illusione, una vaga onda cui mi aggrappo" le sento abbastanza mie, in quanto mi sono trovato a vivere una situazione, in passato, che mi ha fatto provare esattamente ciò che hai scritto.
E' successo quando una persona (a me molto cara) è mancata.
Era un mio compagno di classe ai tempi delle superiori, era portatore di handicap (down).
Io ero l'unico con cui parlava, praticamente.
Un giorno, durante l'intervallo, mi ha chiamato in disparte e mi ha detto :
"Luke, tra poco morirò, ma non dirlo a nessuno".
Io sono rimasto pietrificato, interdetto.
Ha aggiunto di aver "origliato" un dialogo avvenuto tra sua madre e il medico, nel quale lo stesso medico preveva che sarebbe morto di lì a breve, nel giro di un mese.
Ebbene, durante i giorni successivi, finchè non è morto, ha continuato a venire a scuola, a portare un fiore a tutte le compagne quotidianamente (sua madre aveva un negozio di fiori), a sorridere e ad essere felice (non fingeva, non ne era capace!).
Osservando il suo comportamento, e sapendo cosa gli sarebbe accaduto da lì a breve, mi mancava la terra sotto i piedi.
Tutto il resto mi sembrava futile, e irreale.
Avrei voluto essere altrove, durante quel mese.
Mi sentivo davvero minuscolo di fronte a una persona così "grande".
Ora, lo so : non è la stessa cosa che hai vissuto, e che vivi tu.
Ma secondo me, questa sensazione di smarrimento la possiamo provare tutti, quando perdiamo una persona cara (come nel caso del mio amico), quando perdiamo un "faro", un punto di riferimento, un rifugio dove "ripararci" nei momenti di tempesta.
La tua composizione, in questo caso, potrei definirla con un unico termine, molto semplicemente :
Il termine in questione è "UNIVERSALE".
Perchè, ripeto, tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo voluto, vogliamo, o vorremmo essere da un'altra parte, oppure non essere ciò che siamo.
Perchè spesso, la paura di soffrire fa più male della sofferenza stessa.
Scusami se il commento è un po' fuori luogo, ma stavolta, invece di farti i soliti complimenti (tanto sai già come la penso), incentrati unicamente sulla composizione, ne ho approfittato appunto per dirti che in alcuni casi sento mio ciò che scrivi.
Almeno, in questo caso è successo.
Scusa ancora se sono stato inadeguato.
Un abbraccio Marianna,
Luca.
Davvero, Luca, non ho voluto commentare subito questo tuo racconto, ho preferito lasciarlo per un po' nella sua purezza, e nella sua chiarezza.
EliminaCiò che io chiamo Poesia è nelle parole, nei suoni, nel gioco che intessono con la vita, con la nostra vita.
Ed è nelle cose, nei luoghi, annidata ovunque uno sguardo sensibile e attento sia pronto a coglierla, in un cielo striato di nubi, nello stormire dei pini in un bosco, nello sguardo elettrico di un gatto.
Ed è nelle persone, a volte, nel loro stesso essere al mondo, nella loro bellezza, nella loro inestimabile volontà di vivere.
La Poesia era indubbiamente nel tuo amico gentile, che portava fiori alle ragazze, e un sorriso: e tu, fortunato, l'hai colta.
Tua
Marianna