Amiche care, amici,
incontro spesso i miei demoni sapete, anzi sono proprio reduce recente da uno di questi meeting poco desiderabili e assai poco raccomandabili...
Ma non è questo ciò di cui narro in questa mia composizione, un po' surreale in apparenza, ma non così tanto in realtà.
Il Diavolo, che qui poi rappresenta anche Dio, davvero si è seduto quel giorno accanto a me per fare il punto della situazione? Certo era una di quelle serate, sul lungolago di cui parlo (Lago Maggiore), che sembrano fatte apposta per questo genere di incontri. Poco prima si era scatenato un temporale, uno dei tipici temporali di quei luoghi, breve e violento come uno scoppio di rabbia, che ora stava esaurendosi con ultimi bagliori all'orizzonte, verso nordest. La luce era strana, cupa, densa. Non era notte, ma neppure giorno, tutto pareva sospeso in un'atmosfera elettrica, violacea. Che ci sarebbe stato di strano allora se il Demonio, dal momento che aveva qualcosa da dirmi, si fosse davvero accomodato accanto a me su quella panchina di pietra, ancora umida di pioggia?
Vi lascio a questo raccontino, tra il serio e il faceto: il peccato di cui si parla qui è la superbia. Scrivere è un atto di aperta insubordinazione a Dio.
Per voi, amiche dilette e amici, con amore.
M.P.
(PS - Per parafrasare la classica didascalia di fine film: "ogni riferimento a Pavese, Bacchelli e Dostoyevsky è puramente casuale"... O forse no...)
Il Diavolo sul lungolago
Il Diavolo sedette accanto a me
su una panchina sul lungolago,
due passi dalla riva e dalla scia
del piroscafo che la lambiva.
Piccoli germani verdescreziati
incrociavano pigri quelle onde,
con tranquillità indolente e spasso;
e così io vidi specchiarsi, colui,
inatteso, nell'acque offuscate
dal recente fortunale: guardava
le mie spalle nude, senza intenzione,
anzi, senza quasi un'espressione.
«Donna» disse, senza mutare sguardo
«io non sono qui per chieder conto
dei tuoi peccati» e io seppi, mentre
lo diceva, ch'era ciò cui s'accingeva.
Lo volli dunque anticipare, presi fiato:
«Mi lasciai lusingare dalla bellezza,
in ogni sua forma e aspetto: se questo
è il peccato di corruzione d'anima e di mente
che m'è ascritto, è Dio il più grande
dei corruttori, che ci lusinga con un creato
così denso di bellezza da non lasciarci
altra scelta che d'adorarlo in toto.»
Egli non si mosse, non profferì parola,
Solo, volse il capo verso i germani
che sciacquettavano lì accanto,
tormentandosi a lungo il mento glabro
con la mano «Non è questo, donna,
il tuo peccato - disse infine - e neppure
di sapere eccitare impure brame,
né di cercare oblio nell'amor carnale.
E non è la vanità, che t'adorna il capo
di rose bianche, e di sete i fianchi, e i piedi
di lacciuoli argentati, e le mani
di giada e smalti, e di porpora le labbra.
Non è neppure il femminile orgoglio
che ti spinge a procedere sulla tua strada
senza curarti di chi ti osserva, o ti ammira,
o ti detesta per la tua manifesta
libertà d'essere te stessa: non è questo
il tuo peccato, quello che pende
sulla tua anima come una spada
della condanna, della tua rovina.
Il tuo peccato è l'ardimento
di rubare parole al Dio del vento,
e con quelle osare di ricreare
da te sola vita, sfidando il Tempo.»
Così disse, e poi accigliato tacque.
Io rimasi a lungo pensosa, immota,
mentre il fiume disegnava volute
pigre nel fondovalle, separando
i prati e i poderi, e le rade case.
Colui svanì verso la parrocchiale.
Levai il blocco bordò dalla borsetta
e con voluttà scrissi, senza fretta.
Marianna Piani
Trieste, 7 Aprile 2015
Trieste, 7 Aprile 2015
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