Amiche care, amici,
Quasi a seguire idealmente il quadretto della volta scorsa, come in una piccola esposizione, dal Carso a quello che è il suo simbolo, per me personalmente, quella Rocca di Monrupino che già nel nome mi evoca le immagini aspre e severe ma nello stesso tempo dolcemente familiari di quel luogo, per me stranamente magico e leggendario.
Qui da bambina ho giocato rovinando i vestiti tra i rovi, nelle calde estati triestine, quando nei tardi pomeriggi per contrastare l'afa pesante del mare i miei ci portavano a cena sull'altopiano, dove l'aria era alleggerita dalla fresca brezza delle alture.
Condivido con voi, amiche dilette e amici, queste immagini lontane, con amore.
M.P.
La Rocca
Il cammino è breve, eppure è aspro.
Sotto un ripido gradone di pietra
una boscaglia di rovi s'intrica
e s'adunghia tenace alla pendice.
La rupe si muta ancora salendo
in una torre muraria, severa
e quadra come un cippo funerario
che sorveglia il vallone, così spoglio,
nobile e mesto. Due orbite incavate
nei laterizi del muro frontale
fissano al pari il pellegrino fedele
e il passante casuale, severamente.
Chi a quelle chiare pupille calcaree
non teme di impietrire all'istante,
è già pietra nel cuore; chi non prova
dolore a quell'abbagliante biancore,
chi non trepida almeno il passo
nel risalire quel sentiero di sassi,
chi non si ferma affannato a pregare
un suo dio o un'idea d'esso perfetta,
non è destinato a varcare il portale
di quercia venata di millenaria
storia, né potrà affacciarsi al muretto
disossato a guardare giù nella valle.
E così spaziare in quella purezza
d'aria e di salse fragranze d'un mare
che non si vede, celato da alture,
ma si sente - a pervadere i sensi.
Quella purezza è il vento del nordest
che sferza spietato la valle, a recarla.
È il dono che queste terre concedono solo
a chi le ami come io le amo, da sempre.
Marianna Piani
Milano, 30 gennaio 2015
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