«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

mercoledì 16 dicembre 2015

I capodogli


Amiche care, amici,

come mi accade piuttosto frequentemente, questa composizione nasce da una scelta, una decisione a un bivio del sentiero di scrittura che sono sul punto di intraprendere.

In questo caso io avevo in mente - quasi per intero - una idea precisa per questa lirica, nata "in loco", proprio nei luoghi di cui intendevo narrare, luoghi della  memoria e culla della mia immaginazione.

Ma mi fermai - a lungo - su un dettaglio, in apparenza del tutto minimo e incidentale, quel desueto e un poco strapoetico "in guisa di" anzichè il più semplice e colloquiale - e attuale - "come" (v. inizio II strofa). Ho indugiato su questo punto, come vi dicevo, a lungo, poiché la scelta in quel preciso passaggio di una espressione o dell'altra avrebbe portato l'intera composizione in una direzione oppure in un'altra, divaricandosi in risultati assai lontani tra loro.

Alla fine, dato il soggetto intimo, riflessivo, e legato a immagini letterarie e fantastiche (i luoghi d'avventura) assieme a figure della realtà viste con lo sguardo del mito (i pescatori), decisi di imboccare proprio la via indicata da quel "in guisa di", che mi conduceva ineluttabilmente su un territorio linguistico e prosodico scopertamente classicheggiante, con echi quasi ottocenteschi. Naturalmente si tratta di una reinterpretazione, un gioco sul filo sottile del gusto, ma sentivo che queste immagini della memoria e dell'infanzia potevano trovare così, e solo così, la loro espressione più immediata e naturale, un poco come tradurre all'oggi l'atmosfera, la sensibilità, il profumo di un tempo ormai definitivamente consumato e ancora in sedimentazione.

Amiche dilette, amici cari, lascio alla vostra lettura queste mie fascinazioni dalle rive del "mio mare", sempre con amore.

M.P.






I capodogli


Questo è lo sperone di roccia viva
che mi vedeva, bimbetta ancora,
indugiare a mirare il mare:

m'arrampicavo in guisa di capretta
su per il bianco ruvido calcare,
sedevo all'orlo, gambine ciondoloni

sopra questa immensa stesa d'incertezza
da perder l'occhio fin nelle foschie
che celavano gelose all'orizzonte

mitici remoti luoghi d'avventura:
colà s'affrontavano tra gli urlanti
uragani i capodogli e i leviatani.

Questo era il sedile bianco calcinato
dal gran sole dell'estate ove io
mi aggrappavo alle pagine parlanti

delle mie letture, così fragranti
dei profumi di pinete e di ginepri,
per librarmi nel volo delle mie visioni.

Quella era laggiù la costa serpeggiante
tra le grotte e le cale delle marine
odorose di salsedine e di pesce

morto, laggiù rugosi pescatori
scuri e duri come bronzi cucivano
le reti, seduti tra i galleggianti

rossi e bianchi, in tutto ai miei occhi
incantati uguali a divinità marine
intente alle loro cure ultraterrene.

Questo era il luogo prediletto

ove assistevo al mirabile confluire
del mondo naturale del mio mare

e quello onnivoro del mio sentire.



Marianna Piani
Trieste, alba del 2 Maggio 2015



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