La Nuit américaine
ovvero
Miserabile fine del sogno americano
Care Amiche, amici.
Dopo una lunghissima assenza, dovuta a seri motivi di salute, ritorno nel mondo dei vivi, con poco entusiasmo devo dire, ancora incerta e frastornata, con scarse riserve d'energia, ancora tutte da ricostruire, e lo trovo cambiato. Nel peggior modo possibile. Nel peggior modo in cui avrei mai pensato di ritrovarlo.
È tutto già accaduto: in questo periodo non ho potuto accostarmi a computer o smartphone, e non ho potuto quindi seguire l'evoluzione degli eventi, che avevo lasciato con un certo ottimismo, anche se stemperato da un timore sotterraneo, una angoscia sorda e insistente, che per quanto facessi non riuscivo a ricacciare indietro, quando affiorava. Imputavo questo malessere al mio stato di salute, già traballante, e invece ora so che si trattava di una percezione lucida, una razionale premonizione, non di una paranoia, ma di un ragionamento, basato su fatti che erano davanti agli occhi di tutti, e si erano manifestati chiaramente già con la vicenda della disgraziata Brexit.
Ebbene, questo è accaduto mentre ero lontana: un individuo spregevole è stato eletto, democraticamente, legalmente, indiscutiblmente, e anche con un largo margine, al capo di quella che è considerata la prima potenza mondiale, la prima economicamente tra i Paesi Occidentali, la prima a livello mondiale per armamenti, la prima potenza nucleare, modello e leader industriale, politico, e anche culturale dell'intero mondo occidentale.
Un individuo che della propria spregevolezza non ha mai fatto mistero, anzi, ne ha fatto suo unico programma ed ideologia, non mancando alcuna occasione per rivendicare pubblicamente con clamore e orgoglio il proprio essere tale, questo, e null'altro che questo.
Una moltitudine di individui quindi sono usciti di casa, ai primi giorni di Novembre, sono sciamati ai seggi, e hanno serenamente sottoscritto il loro voto a questo stesso individuo, riconoscendo implicitamente o esplicitamente il suo messaggio, la sua immagine, le sue idee, come le loro.
Questi, detti con estrema semplicità, i fatti. Al di là di ogni analisi, di ogni sterile discussione, di ogni motivazione di fondo, di ogni errore degli avversari, di ogni tentativo di giustificazione o di recupero a una impossibile "normalità". Un individuo spregevole è da ora al vertice del potere in una Nazione di immenso peso politico, economico e militare. Nulla di meno "normale".
Ma questo in fondo è il paradosso della Democrazia. Il meccanismo, in certe condizioni storiche, si inceppa, e anzichè servire per selezionare un modello esemplare e autorevole in una certa Società per assegnagli il compito di leadership, così come era la sua funzione originale, pare rivolgersi a distillare la espressione peggiore, più ignobile, di questa stessa società. Non a caso, da sempre i nemici più giurati del sistema democratico si ingegnano in ogni modo a sfruttare i meccanismi di questo stesso sistema per raggiungere il loro obbiettivi di potere. Di solito gli "anticorpi" del sistema riescono ad arginare, isolare e neutralizzare questi tentativi. in alcune situazioni però, questi anticorpi si indeboliscono, o addirittura soccombono a quello che potrei definire per analogia un po' azzardata, come l'AIDS delle democrazie avanzate: il populismo demagogico.
Una autentica reazione autoimmune che può portare alla autodissoluzione dei tessuti politici e sociali di una democrazia.
Intendiamoci, si tratta di un virus che colpisce anche a sinistra, e con pessimi, a volte drammatici risultati. Ma è a "destra" (per semplificare utilizzo categorie politiche piuttosto stantie ormai) che trova la sua massima espressione e virulenza, richiamando i più bassi istinti delle masse, in particolare di quelle più deboli e esposte dal punto di vista culturale.
Intendiamoci, si tratta di un virus che colpisce anche a sinistra, e con pessimi, a volte drammatici risultati. Ma è a "destra" (per semplificare utilizzo categorie politiche piuttosto stantie ormai) che trova la sua massima espressione e virulenza, richiamando i più bassi istinti delle masse, in particolare di quelle più deboli e esposte dal punto di vista culturale.
Comunque sia, i sinceri e convinti democratici, quale io mi pregio di essere, si trovano del tutto inermi in situazioni come queste: lo Spregevole Individuo infine è stato eletto, democraticamente, legalmente, in un certo senso cristallinamente, "a furor di popolo", e noi che potremmo mai dire che non smentisse la nostra stessa idea di democrazia, i nostri Princìpi primari? Dobbiamo inchinarci, a quel "popolo sovrano" e accogliere lo Spregevole Individuo come Capo Supremo del nostro ordinamento. Protestare? Far sentire la propria voce? Facciamolo pure. Ma ciò non toglie che lo Spregevole entra trionfalmente nelle Stanze del Potere, e ora dipenderà solo da lui se, come e quando la rovina potrà abbattersi su di noi. Poichè non si tratta i una "Repubblica delle banane", insisto, ma della Nazione più importante, in tutti i sensi, del mondo occidentale.
Da democratici convinti, non possiamo opporci al risultato di una elezione democratica. Oppure invece dovremmo farlo? Il "popolo", un certo popolo, ha espresso a maggioranza il proprio leader. Ma la Storia insegna che il popolo non è garanzia di giustizia, equità, ordine e - appunto - democrazia. Non sono stati propriamente meccanismi democratici a portare Mussolini e Hitler al potere, ma non vi sono dubbi che entrambi, in un modo o nell'altro, godessero di un altissimo consenso popolare. Così come molti altri autocrati e dittatori della Storia, specialmente agli inizi della loro parabola politica.
Dovremmo imbracciare le armi e cacciare lo spregevole dal Palazzo prima che costui faccia troppi danni? Mettiamo per assurdo che lo facciamo, e che ci riusciamo. E dopo? Come potremmo ripristinare un processo democratico se noi stessi lo abbiamo negato con la violenza e la prevaricazione? Ha differenza se tale prevaricazione viene esercitata per motivi che riteniamo nobili e giusti? Forse anche sì, ma quanto ci vorrebbe per ricucire il vulnus arrecato ai nostri stessi princìpi?
Dobbiamo accettare il "verdetto", non possiamo fare altro.
E prepararci per una lunga, intransigente, faticosa opposizione.
Lo spregevole intanto ride felice, noi piangiamo. Ci hanno insegnato anche a rispettare le persone, gli elettori, i cittadini, i nostri simili che hanno espresso un voto, fosse anche diametralmente opposto al nostro pensiero.
E prepararci per una lunga, intransigente, faticosa opposizione.
Lo spregevole intanto ride felice, noi piangiamo. Ci hanno insegnato anche a rispettare le persone, gli elettori, i cittadini, i nostri simili che hanno espresso un voto, fosse anche diametralmente opposto al nostro pensiero.
Ma davvero dobbiamo farlo, anche in questo caso estremo?
Io in tutta sincerità non mi sento di farlo. Il messaggio trasmesso è chiaro e inequivocabile, con il pregio della schiettezza che hanno in comune questi personaggi, non poteva essere frainteso, con tutto il suo contenuto di razzismo, misoginia, omofobia, xenofobia, machismo, culto della forza, della ricchezza e del potere. Chi ha votato sapeva per chi e per cosa stava votando, nella maggioranza dei casi, e votando ha sottoscritto questi contenuti. Anzi, direi che si aspetta ora dei risultati tangibili per questa specie di programma, allo stesso tempo vago e netto.
Per questo, pur nel rispetto dell dettato democratico, io non me la sento di "rispettare" le persone che hanno promosso, sostenuto e infine affermato questa candidatura.
Io disprezzo queste persone.
Chi elegge a proprio leader un individuo spregevole sulla base di convinzioni spregevoli non può avere il mio rispetto. Questo non mi può essere chiesto.
. . .
Da poco è stato l'anniversario degli attentati di Parigi.
Come scrissi in quell'occasione, il sentimento che mi ha colto per quegli avvenimenti terribili è stato dolore, sbalordimento, pietà, ma non paura, mai paura. Perché sono consapevole che proprio sulla paura delle persone fa leva il terrorismo per i propri fini (di potere, in ultima analisi, tanto per cambiare). E perché se si ha da combattere per le proprie convinzioni primarie, come Libertà e Giustizia, io sono pronta a combattere, a rischio della vita, se necessario. La paura non serve a nulla altro che a rafforzare i nemici giurati della nostra cultura.
Invece, l'esito di queste elezioni mi ha angosciato e prostrato profondamente, e in questo caso sì, confesso, provo paura.
Non solo per gli effetti ora possibili su cinquant'anni di lotte e conquiste sui Diritti Civili, non solo perché gli USA e il loro popolo ha ingranato una spettacolare retromarcia storica, ritornando idealmente agli anni 50 - ma saranno anni 50 nell'epoca di twitter, tanto più pervasivi e pericolosi quindi - non solo perché si dà una violenta frenata alla speranza di avere una società americana con meno armi in casa, meno pena di morte, più integrazione e rispetto delle minoranze, meno violenza sulle donne, meno muri ai confini.
Ma anche perché questa elezione può innescare una valanga inarrestabile, da noi, in Europa, che rischia di travolgere e distruggere cent'anni di costruzione e di pacifica convivenza, dopo il trauma di due guerre e un olocausto. Il virus è contagioso, e ne distinguiamo chiari sintomi già da prima di questi ultimi avvenimenti: già avevo citato Brexit, non a caso preso come modello di "rivoluzione" dallo stesso Spregevole Individuo di cui stiamo parlando.
Come ognuno di noi, ho il mio personale "sogno americano", che ho espresso in particolare nel corso di due viaggi importanti, il primo alcuni anni fa, e l'altro un poco più di recente.
Il primo mi ha portato a Los Angeles, California, con in borsa il sogno di farmi assumere da una delle grandi Fabbriche di Sogni che laggiù hanno base, come Dreamworks e Disney/Pixar, e con l'intenzione per niente teorica di trasferirmi lì. Non avevo talento sufficiente per conquistare un posto di lavoro in quell'ambiente - nel mio settore il massimo possibile - ma passai quattro settimane viaggiando tra California, Arizona, Utah e Nevada, lasciandomi investire da tutta la straordinaria, arcaica, misteriosa bellezza di quel Paese.
La seconda volta ho soggiornato a Redmond, per una serie di Corsi di aggiornamento, e anche in quel caso con il "miraggio" di un incarico presso una importante Università privata del uuogo.
Anche in questo caso l'incarico non è arrivato (o meglio, ho declinato io poiché non mi sentivo in grado di affrontarlo così come mi veniva richiesto), ma ho avuto modo di immergermi in questa Società Americana, in una realtà del tutto diversa ma non meno affascinante, come la zona nordoccidentale, quasi ai confini con il Canada, tra le fitte foreste e la costa oceanica, e una città così lontana dalla immagine "cinematografica" di Los Angeles, in certo suo modo quasi "europea", come Seattle.
In questi due viaggi ha trovato alimento e vigore il mio amore per questo straordinario Paese e per la sua gente, un amore nato, come per tanti europei, sugli schermi cinematografici e sulle pagine dei libri di narrazione e poesia, ma che necessitava di un riscontro "reale", e lo ha avuto. Rafforzandone, non diminuendone, il mito. Il mio personale Sogno Americano.
Che ora, come in un brutto risveglio, si infrange e si spezza, lasciandomi scossa e angosciata.
Certo ora, un Paese che ha espresso una tale Leadership, in cui milioni di individui si rispecchiano con gioia nella spregevolezza di questo loro capo, non può più rappresentare per me un, anche lontano, obbiettivo, una speranza o un progetto di vita. Anche perché mi devo impegnare qui e ora a far sì che qualcosa di simile non accada anche da noi, in Europa. E poi ora i miei sogni hanno altre mete, ormai, spero di raggiungere chi amo in Irlanda, e ripartire da lì...
Il "mio" personalissimo Sogno Americano pare dunque naufragato.
Ma, in generale, storicamente, è questa la fine del Sogno Americano, così come lo abbiamo vissuto in questi decenni?
Se è così, è, come dico nel titolo, una fine davvero miserabile. E forse definitiva.
Con profonda amarezza
Marianna Piani
Io in tutta sincerità non mi sento di farlo. Il messaggio trasmesso è chiaro e inequivocabile, con il pregio della schiettezza che hanno in comune questi personaggi, non poteva essere frainteso, con tutto il suo contenuto di razzismo, misoginia, omofobia, xenofobia, machismo, culto della forza, della ricchezza e del potere. Chi ha votato sapeva per chi e per cosa stava votando, nella maggioranza dei casi, e votando ha sottoscritto questi contenuti. Anzi, direi che si aspetta ora dei risultati tangibili per questa specie di programma, allo stesso tempo vago e netto.
Per questo, pur nel rispetto dell dettato democratico, io non me la sento di "rispettare" le persone che hanno promosso, sostenuto e infine affermato questa candidatura.
Io disprezzo queste persone.
Chi elegge a proprio leader un individuo spregevole sulla base di convinzioni spregevoli non può avere il mio rispetto. Questo non mi può essere chiesto.
. . .
Da poco è stato l'anniversario degli attentati di Parigi.
Come scrissi in quell'occasione, il sentimento che mi ha colto per quegli avvenimenti terribili è stato dolore, sbalordimento, pietà, ma non paura, mai paura. Perché sono consapevole che proprio sulla paura delle persone fa leva il terrorismo per i propri fini (di potere, in ultima analisi, tanto per cambiare). E perché se si ha da combattere per le proprie convinzioni primarie, come Libertà e Giustizia, io sono pronta a combattere, a rischio della vita, se necessario. La paura non serve a nulla altro che a rafforzare i nemici giurati della nostra cultura.
Invece, l'esito di queste elezioni mi ha angosciato e prostrato profondamente, e in questo caso sì, confesso, provo paura.
Non solo per gli effetti ora possibili su cinquant'anni di lotte e conquiste sui Diritti Civili, non solo perché gli USA e il loro popolo ha ingranato una spettacolare retromarcia storica, ritornando idealmente agli anni 50 - ma saranno anni 50 nell'epoca di twitter, tanto più pervasivi e pericolosi quindi - non solo perché si dà una violenta frenata alla speranza di avere una società americana con meno armi in casa, meno pena di morte, più integrazione e rispetto delle minoranze, meno violenza sulle donne, meno muri ai confini.
Ma anche perché questa elezione può innescare una valanga inarrestabile, da noi, in Europa, che rischia di travolgere e distruggere cent'anni di costruzione e di pacifica convivenza, dopo il trauma di due guerre e un olocausto. Il virus è contagioso, e ne distinguiamo chiari sintomi già da prima di questi ultimi avvenimenti: già avevo citato Brexit, non a caso preso come modello di "rivoluzione" dallo stesso Spregevole Individuo di cui stiamo parlando.
Come ognuno di noi, ho il mio personale "sogno americano", che ho espresso in particolare nel corso di due viaggi importanti, il primo alcuni anni fa, e l'altro un poco più di recente.
Il primo mi ha portato a Los Angeles, California, con in borsa il sogno di farmi assumere da una delle grandi Fabbriche di Sogni che laggiù hanno base, come Dreamworks e Disney/Pixar, e con l'intenzione per niente teorica di trasferirmi lì. Non avevo talento sufficiente per conquistare un posto di lavoro in quell'ambiente - nel mio settore il massimo possibile - ma passai quattro settimane viaggiando tra California, Arizona, Utah e Nevada, lasciandomi investire da tutta la straordinaria, arcaica, misteriosa bellezza di quel Paese.
La seconda volta ho soggiornato a Redmond, per una serie di Corsi di aggiornamento, e anche in quel caso con il "miraggio" di un incarico presso una importante Università privata del uuogo.
Anche in questo caso l'incarico non è arrivato (o meglio, ho declinato io poiché non mi sentivo in grado di affrontarlo così come mi veniva richiesto), ma ho avuto modo di immergermi in questa Società Americana, in una realtà del tutto diversa ma non meno affascinante, come la zona nordoccidentale, quasi ai confini con il Canada, tra le fitte foreste e la costa oceanica, e una città così lontana dalla immagine "cinematografica" di Los Angeles, in certo suo modo quasi "europea", come Seattle.
In questi due viaggi ha trovato alimento e vigore il mio amore per questo straordinario Paese e per la sua gente, un amore nato, come per tanti europei, sugli schermi cinematografici e sulle pagine dei libri di narrazione e poesia, ma che necessitava di un riscontro "reale", e lo ha avuto. Rafforzandone, non diminuendone, il mito. Il mio personale Sogno Americano.
Che ora, come in un brutto risveglio, si infrange e si spezza, lasciandomi scossa e angosciata.
Certo ora, un Paese che ha espresso una tale Leadership, in cui milioni di individui si rispecchiano con gioia nella spregevolezza di questo loro capo, non può più rappresentare per me un, anche lontano, obbiettivo, una speranza o un progetto di vita. Anche perché mi devo impegnare qui e ora a far sì che qualcosa di simile non accada anche da noi, in Europa. E poi ora i miei sogni hanno altre mete, ormai, spero di raggiungere chi amo in Irlanda, e ripartire da lì...
Il "mio" personalissimo Sogno Americano pare dunque naufragato.
Ma, in generale, storicamente, è questa la fine del Sogno Americano, così come lo abbiamo vissuto in questi decenni?
Se è così, è, come dico nel titolo, una fine davvero miserabile. E forse definitiva.
Con profonda amarezza
Marianna Piani
Ringrazio le amiche e gli amici che mi hanno atteso in queste lunghe settimane di assenza forzata, e che mi hanno fatto giungere messaggi spesso preoccupati e dolcissimi. Non so ancora se e con che tempi riuscirò a riprendere del tutto i contatti, la mia attività di scrittura in modo continuativo, o almeno con una certa regolarità, ma cercherò, ora che ho rimesso finalmente le mani sulla tastiera, di rispondere a tutti, a ciascuno di voi personalmente, per quanto le mie forze me lo consentiranno.
Con amore, sempre
Marianna
Bentornata Marianna.Questa la prima cosa.Ho letto con attenzione e condivido ogni tua parola sulla parabola discendente che questa grande democrazia occidentale sta percorrendo.I passi a ritroso sono sempre preoccupanti si rischia di ripetere gli stessi rovinosi errori.Ci aspettano quattro lunghi anni di oblio intellettuale e politico.Occasione persa e malamente.Ciao,Rossella.
RispondiElimina