«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»
«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)
«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)
«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)
«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)
«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)
mercoledì 16 ottobre 2013
Come la libertà dell'acqua
Amiche dilette, amici cari,
Nell'ultima mia "letterina" qui pubblicata (detesto il termine "post" - e ancor più l'orribile derivazione italiota "postare") sono stata un pochino greve, ho "alazato un poco la voce" per così dire, o meglio, ho lasciato che la alzasse in mia vece un personaggio immaginario, un poeta.
Non sono dispiaciuta di averlo fatto, perché si tratta di argomenti che mi stanno molto a cuore e su cui ho delle opinioni molto chiare e nette, e anche perché queste parole mi hanno procurato una nuova ed interessante amicizia, iniziata polemizzando, ma poi risolta nel riconoscere il comune amore per la poesia che, da fronti apparentemente distanti, se non opposti, ci ha mosso.
Oggi, nuovo giorno di pubblicazione per me, secondo l'accordo che ho stretto con tutti voi, voglio essere più leggera, più serena.
Per qesto vi propongo una lirica che ho composto qualche tempo fa dedicandola - come faccio spesso - a un'amica, che ultimamente non incontro spesso, ma che ricordo sempre con grande e intatto affetto.
Sapete, vi sono persone, vi sono donne che hanno tutta la bellezza, la chiarezza, la lucentezza dell'acqua.
E soprattutto dell'acqua hanno la libertà, l'imprevedibilità - e l'imprendibilità. E la spavalderia dell'intelletto. Sono persone di cui puntualmente mi innamoro.
Perché l'acqua per me è il mare che mi ha visto nascere, è il lago cui dedico i miei pensieri più intensi, sono i torrenti che mi fermo ad interrogare durante le mie escursioni in montagna. Perché adoro, infinitamente adoro gli spiriti liberi, quelli che non si fanno mai ingabbiare, quelli che sono sgombri da pregiudizi e da preconcetti, quelli che rinfrescano la mia mente con la loro intelligenza, che dissetano la mia arsura con l'affetto e la dolcezza.
Maria Elena, senza dubbio, è una di queste persone.
Ecco, dedico a lei questi versi, e li condivido con voi. Con amore, più che mai
M.P.
Come la libertà dell'acqua
L'acqua non ha forma, l'acqua scorre,
l'acqua è libera, l'acqua è come la tua mente,
mia cara, è fluente, è cristallina, trasparente.
Non si ferma, non s'impiglia, non rallenta
insinuandosi tra i canneti della riva,
non indugia ad attendere il viaggiatore,
che la osserva da molte ore sopra il ponte.
Non si afferra, l'acqua, non si cattura
a mani nude, non la s'imprigiona né si confina
tra le pietre di una diga, o un argine di fango.
L'acqua sfugge, l'acqua fugge, si divincola
gonfiandosi di schiuma e di rabbia,
s'insinua e filtra tra le dita più serrate,
svapora se una vampa la riscalda.
Può stagnare immota al fondo delle rogge,
intorbidirsi lambendo il limo degli acquitrini,
morire nelle pozze dei sentieri e nei solchi
scavati dalle ruote dei trattori e dagli aratri.
Oppure precipitare dalle rupi nei canaloni
polverizzandosi in iridati veli sopra i pini.
Eppure, sempre, libera sgorga dalla roccia.
L'acqua, questa acqua, non la si può neppure
raccogliere in una coppa, se non in quiete,
di soppiatto, badando che non tracimi
una sola goccia. Tu così disseti il mondo
con la bellezza pura della tua mente
e la saggezza antica della tua bellezza,
tu, fiume di forza e di luce e di pensiero.
Viva è l'acqua com'è viva la tua grazia,
mobile com'è mobile il tuo sguardo
sopra le cose e il mondo e il sole
e il cielo punteggiato di galassie,
libera inafferrabile insopprimibile è l'acqua,
indispensabile alla vita stessa così com'è
indispensabile la scintillante tua sorgente.
Marianna Piani
Dedicata a MariaElena
Milano, 14 Luglio 2013
domenica 13 ottobre 2013
Non millantate Poesia!
Amiche dilette, amici,
Questa composizione è un piccolo sfogo personale, è un discorso pronunciato alzando un poco il tono della voce, perdonatemelo, concedetemelo. Avevo voglia di dire alcune cose, in parte già tema di una mia composizione analoga presente tra queste pagine: "Facile è la Poesia".
Troppe volte ho incontrato sul mio cammino certa scrittura che si ammanta del titolo di poesia, ma che di questa non ha che la forma, a volte neppure quella. Nulla da dire, ognuno è libero di scrivere e pubblicare ciò che vuole, come meglio crede, e nella misura che i suoi mezzi culturali, di padronanza linguistica, e di talento gli consentono.
Tuttavia, troppo facilmente si concede la definizione di poesia e poeta senza veramente comprendere che si tratta di una delle espressioni dell'intelletto umano più complesse, profonde, fragili.
E allora si leggono pagine e pagine di vuoto "divertimento", ma senza gioia o umorismo, lamenti per dolori mai provati, grida e cacofonie a celebrare emozioni affettate, eccessive, anche schiettamente false.
Oppure, all'estremo opposto, incunaboli indecifrabili, puzzle di parole senza senso, enigmistica o aritmetica grezza, senza un'anima, prendi un certo numero di sillabe, poi le incroci secondo questo schema, fai una capriola, aggiungi una rima…
Quante volte ho incontrato "poeti" o "poetesse" improvvisate, non in quanto "dilettanti" - in poesia ognuno è dilettante, anche Montale lo era, o Dickinson - piuttosto persone troppo preoccupate a ben figurare, a pavoneggiarsi come se una poesia fosse un bell'ornamento, un ninnolo da esibire agli amici, come un paio di scarpe o un abito di alta sartoria da sfoggiare.
Tutto ciò non è poesia, è qualunque cosa vi pare, ma non poesia. Ben altro, ci vuole: studio, sofferenza, lavoro, ricerca, fatica... Come spesso dico, la Poesia non è diletto: è necessità.
Offro questi pensieri alla vostra riflessione, al vostro ascolto. Con amore, come sempre.
M.P.
Non millantate Poesia!
“Cosa sapete voi giovinette fiorenti
e anziani insoddisfatti, che giocate
con le parole come fossero
zimbelli e pezze di sapienza,
cosa sapete della autentica voce
del dolore, cosa sapete delle ferite
che piagano la mente, e del canto
eloquente che ne emana?”
Così disse inveendo il poeta
stanco di tanto vociare, tediato
dal brusìo di mille frasi e versi
sprecati senza armonia,
o liturgia, o umiltà, o incanto.
O verità, o sostanza di vita.
Egli sapeva che ogni parola
che fosse autentica e sincera
sgorgava solo dal fango, dal muco,
dal sangue, dalle lacrime
d'un acuto rimpianto,
e che era forgiata a nude mani
come un'anfora d'argilla
tornita sul vortice del tempo.
Egli sapeva che le parole
andavano lasciate torrefare
alla fornace del sole
perché prendessero
il sapore acre del perdono,
perché assumessero consistenza
della pietra, e serbassero in eterno
immutata la forma, e la bellezza.
Egli sapeva che ogni parola
era un'anfora d'argilla impietrita al sole
il cui ventre ne custodiva il senso,
oppure il nonsenso. Come un vino
di Sicilia, sigillato a ceralacca
per reggere il viaggio oltremare
fino a empire la nostra coppa protesa
come un saluto innalzato al cielo,
e a quanto di più di terreno sia
tra l'amore carnale, e quello spirituale.
Dodici anfore compongono una frase,
novanta occupano una stanza, e novecento
sono già poema. E il poema è una nave
che trasporta nelle sue stive il pensiero
lungo rotte verticali, verso remoti ormeggi.
Egli sapeva, sapeva tutto questo,
e sapeva che il suo viaggio
era ormai prossimo a finire.
Non se ne doleva, desiderava soltanto
che si facesse intorno
e dentro a sé il silenzio, finalmente.
Basta voci, basta parole, basta brusii,
basta canti vani, basta nobili pensieri
tradotti in versi, basta docili fanciulle
bennate e aggraziate che danzano sulle punte
dei loro esili tormenti, basta tenerezza,
basta assonanza, basta rima,
basta compunti vecchi
che si atteggiano a sapienti.
Egli sapeva quanto
tutto questo fosse falso
intollerabilmente, e quanto effimero
ineluttabilmente intanto fosse
il tempo suo rimasto in terra,
troppo permeato di dense foschie
e di tradite speranze.
Alzò la voce, per la prima volta
nella sua vita, dal fondo oscuro
del suo intollerabile disagio.
Provava angoscia ormai a udire
e leggere pensieri di mortali
millantati per scampoli di Poesia.
Dio mio! La Poesia
non è forma, non è misura,
non è nemmeno suono.
Non è serena meditazione di natura,
non è compiacimento, non è esibizione
di bravura, non è virtuosismo della mente.
La Poesia scava direttamente
passaggi, gallerie nella roccia del dolore.
"Che ne sapete giovinette insoddisfatte
della vostra vita agiata,
uomini che fantasticate
la fanciulla acerba
che a voi mai si concesse,
che ne sapete della durezza
del granito di questa roccia?
Tornate ai vostri venali affanni,
alle vostre svagate cure e cupidigie,
ai vostri desideri stanchi.
Tacete, per amore del cielo,
chiudete i quaderni e vivete
onestamente
solo il tempo che vi compete!"
Così disse, e poi tacque, per sempre:
tacque egli, poiché nessuno volle tacere.
E lasciò che l'abbracciasse il nulla.
Tutto il resto fu scrittura.
Marianna Piani
12 Luglio 201
sabato 12 ottobre 2013
Paola Ombrosa
Amiche care, amici
Poco posso dire di questa composizione. Solo che è dedicata ad un'amica cui tengo molto, composta in seguito a un dialogo che abbiamo avuto a suo tempo.
Paola è un'amica speciale, e non solo perché porta un nome cui sono molto, molto legata per motivi personali (lei lo sa), ma perché lei è in sé una persona assolutamente unica.
Mi ha aiutato molto, con la sua presenza, in alcuni dei miei momenti di buio pesto, e mi ha infuso un poco del suo coraggio, di vivere con orgoglio, da donna salda, diretta, sincera. Lei ed io siamo differentissime, di pensiero, gusti, opinioni, stile, ma ci siamo sempre ritrovate, su ciò che conta. Abbiamo bisticciato, perfino, amabilmente. Ma mai lasciato di stimarci, e, sì, volerci bene.
Artista, Insegnante, donna di scienza e di poesia, cose che apparentemente hanno poco a che fare tra loro, ma che invece sono come parte di un'unica pianta. Donna bellissima, anche, e di pronta vivida e pungente intelligenza, ricca di interessi, curiosità, di cultura. Come faccia a seguire tutte quelle cose, per me è un mistero.
E... va bene, mi sono conquistata di certo i suoi rimbrotti, vi assicuro sinceramente infastiditi, ma non m'importa (scusa cara). Occorre un minimo di verità, se si compone un'ode…
E infatti lei è (anche) una peronalità difficile, "ombrosa", sì, come tutti i purosangue.
La dedico a lei ovviamente, questa canzone, e la condivido con voi tutti, amiche dilette e amici, con amore.
M.P.
Paola Ombrosa
Che dici? Che sei oscura?
Che sei scostante?
Io dico che sei oscura,
è vero, com'è oscura
la foresta in cui m'addentro
titubante, col cuore in gola.
Ma non per paura: a ogni istante
il sentiero svolta, verso una radura
o uno stagno trasudante di foschia
al levar dell'alba, ogni svolta
è un'avventura per chi ti ama
abbastanza da osare il viaggio.
Io ti dico ombrosa
come la chioma di una quercia
immensa sotto cui riposare.
Oppure ombrosa come lo è
una giumenta libera e selvaggia,
ribelle a qualsiasi cavezza.
Dico, sei scontrosa
quant'è scontrosa questa rosa
del mio giardino, tanto bella
e rossa fiamma da lasciare
senza fiato, e da colpire a spine acute
chi coglierla vorrebbe a tradimento.
E ti dico permalosa...
quant'è permalosa una tempesta
che piomba improvvisa sui velieri
che incrociano le rotte
degli antichi bucanieri, per insegnare loro
che non si sfidano impuniti i venti.
Come dici? Sei scostante?
Sei costante, invece, sei esatta
com'è esatto il dardo sul bersaglio,
sei precisa come una clessidra
in cui scorrono protoni
anziché comune sabbia.
Ma ciò che sa chi veramente t'ama
per tutto questo, è quale turbine di forze
agitino quegli atomi tuoi inquieti,
quale caos di venti folli e sfuggenti
scateni quella tempesta,
quali grovigli di rami celi la foresta.
Ti dici oscura, ti dici scostante,
ma ti ribelli vigorosamente
a ogni laccio, a ogni legaccio,
a ogni steccato, a ogni giudizio
che sia prigione al vero
e che lasci fuggire il falso.
Chi sa amarti, non ama soltanto
questa donna di bellezza chiara
e fiera: ama avventurarsi trepidante
nel tuo pensiero, ama il tuo orgoglio
e la candida tua veste
di Vestale di ciò che è bello e vero.
(Per Paola)
Marianna Piani
Milano, 22 Giugno 2013
mercoledì 9 ottobre 2013
Tu, non sei me!
Amiche dilette, amici cari,
no, no: "lei" non è me. Devo ripetermelo spesso, per non perdermi, sapete...
"Lei", è parte di me, mi appartiene come mi appartiene il mio dolore, si riflette assieme a me nello specchio, però... non sono io!
Io soffro di una malattia che qualcuno chiama "dissociativa", è un poco come se vi fossero due personalità, ben distinte, due persone insomma, ciascuna con la sua volontà, la sua percezione della realtà, la sua interiorità, il suo bisogno di sopravvivere - due persone che configgono all'interno del mio esistere quotidiano, che per questo ne è devastato.
La prima delle due "persone" sono effettivemente io, quella che qui vi scrive e comunica, quella che ha sviluppato una propria capacità di adattamento alla vita, quella che vedete ogni giorno scendere nel mondo, uguale a tante altre ragazze e donne, con i suoi desideri, i suoi sogni, la sua voglia di vivere, di sentirsi bella e desiderata, e amata.
L'altra è oscura, sotterranea, indomabile, soffocata dal disagio e dall'inadeguatezza, sopraffatta dall'angoscia, incapace di trovare un equilibrio e un senso a sé stessa, incapace di adeguarsi o anche solo di accostarsi al resto del mondo reale. Fugge, sfugge, si nasconde in anfratti bui, graffia come una gatta selvaggia se viene accostata, piange e grida, dispera di poter respirare...
Questa "altra" me è la malattia, è l'abitante ingombrante e totalizzante della mia anima, è il fantasma che mi segue ovunque, invisibile ma sempre pronto ad esplodere, a tracimare, a sopraffare l'altra me e ad impossessarsi del regno intero della mia esistenza. È ciò che i medici, i farmaci, i trattamenti a volte pesanti e dolorosi, cercano di battere ed estirpare, non sempre con sufficiente efficacia, a volte purtroppo provocando controreazioni e ricadute selvagge ed incontrollabili.
È tutto questo, è inevitabile, è imprescindibile da me, ma no, non sono io!
La mia lotta, sapete, è quotidiana, e occorre, quotidianamente, farmi convinta di questo, ripetermi e ripetermi continuamente questo pensiero. Ristabilire, ogni giorno, giorno per giorno, minuto per minuto l'integrità stessa della mia personalità.
Anche a questo "mi serve" la Poesia, il leggerla, il frequentarla, l'osare scriverla. Forse è il farmaco più potente a mia disposizione, sapete. Per questo dico spesso che scrivere per me non è diletto, non è piacere: è necessità.
Perché la Poesia mi consente di guardare negli occhi me stessa, e di condividere la mia vita con voi, amiche care e amici, con amore.
M.P.
Tu, non sei me!
Tu, non sei me: tu che quando la notte avanza
nel cavo delle sue orme, mi vieni a visitare,
non attesa, non grata, al capezzale di infinite veglie,
e mi afferri i polsi con le tue mani che paiono metallo
per quanto sono fredde, e salde, e strette da sanguinare.
Non sei me, tu che avvicini le tue labbra alla mia bocca
non per rubarmi un bacio, ma per sottrarre il mio respiro,
tu che non hai fede che all'indomani vi sia ancora
un raggio di luce che filtri dalle imposte, né il canto dolce
e teso degli usignoli a contendersi la compagna e il cielo.
Tu che non possiedi il lume acceso delle speranze
per dare un senso al mio cammino, tu che cento volte
hai voluto morire pur di non patire o accettare
il dolore del distacco, o lo strazio di un addio,
tu che non sai dire t'amo senza un gravame di vergogna.
Tu che non mi lasci sola nemmeno per un istante,
tu che carichi sulle mie spalle la colpa e il peccato,
tu che regni sulle stanze della mia prigione calcinata,
e tutti i giorni esigi un tributo di empietà e di sangue,
tu che non sai darti pace, se non in fondo al tuo naufragio.
Tu mi sovrasti, ogni notte, ogni oscura ora insonne,
mi vorresti possedere, vorresti ch'io fossi in te per sempre,
che ogni mio volere e pensiero fosse inondato esclusivamente
dalla tua presenza, vorresti entrare in me come sovrana,
vorresti in me morire, così che tu fossi me, e io più nulla.
No. Non sei me, non lo sarai mai, né io sarò te:
io sono colei che ti combatte!
Marianna Piani
Milano, 20 Giugno 2013
domenica 6 ottobre 2013
Gazza ladra
Amiche dilette, amici carissimi,
a volte la "ispirazione" nasce da una breve immagine, colta al volo, istantanea come uno scatto fotografico che rimane impresso sul lato sensibile della memoria, e qui vi rimane, come una immagine latente in attesa, per così dire, di sviluppo, fissaggio e stampa… Già, così avveniva un tempo nelle camere oscure, prima dell'avvento del digitale. La tecnologia è vero ha democraticizzato ogni cosa, e tra queste ciò che un tempo era l'arte della fotografia; strappandola tuttavia in massima parte dall'ambito poetico del sogno e della memoria per relegarla piuttosto sugli scaffali della cronaca, dell'effimero.
Ma lasciamo queste divagazioni un poco nostalgiche...
Qui è l'apparizione di una gazza sul terrazzino di casa, sullo sfondo del "mio" mare, e la sua enigmatica titubanza, prima di levarsi e scomparire in volo, ad avermi dato lo spunto per una escursione nell'altro lato dello specchio.
Mi ci sono riconosciuta, infatti, perchè sono ragazza, sono sognatrice, sono schiva, e, come "scrittrice", ovviamente sono ladra...
Condivido questa mia visione con voi, amiche care e amici, come sempre, con amore.
M.P.
Gazza ladra
Lìsciati le ali giovane gazza
dalle nere penne e il manto
cinerino, ravvivati il piumaggio,
fatti bella per il tuo primo
incerto largo volo, sopra i platani
del parco.
Trovati una compagna
con cui avere intesa ed essere
sincera, e poi gettati, spiegate l'ali
senza timore, oltre miglia e miglia
di campagna, fino a raggiungere
il bianco mare.
I gabbiani, candidi, immensi,
splendidi come angeli in sfilata
vi guarderanno altezzosi e stupefatti
nei loro voli solenni a pelo d'onda,
oltrepassando con un solo colpo d'ala
l'orizzonte imporporato.
Perché indugi ora?
Perché t'arruffi le penne sopra il petto?
Perché ti fermi, perché ti guardi intorno
reclinando il capo, muta, irrisolta
a compiere quel primo audace balzo
che tanto hai sognato?
Il prato è ancor bagnato
delle lacrime della notte. Non puoi
fermarti sul pianoro a levare il tuo canto
di tristezza. La tua voce non canta,
non è melodiosa come quella dell'allodola,
la tua voce gracchia.
Non potrai spaziare come i gabbiani
in sella al Maestrale, né mai potrai
cantare in coro con gli usignoli,
il tuo nido è un ricciolo di sterpi
tra i roveti della brughiera, i tuoi pensieri
sono scabrosi precipizi.
Non restare, non puoi restare
sola immobile sopra questa piana.
Vola, vai lungo il viale dei cipressi,
schiva i rami, scavalcane le cime,
supera le siepi e le mura di cinta, e ora
alzati più che puoi sopra le case:
pulsano cuori, laggiù a terra,
si aprono ferite, trascorrono gli amori
e stagnano rancori, e desideri, e i sogni
illuminano le vie e affollano le piazze,
milioni di respiri incontrano sospiri,
i raggi degli sguardi incrociano
fanali di vetture: quanta vita
al di là dei muri e delle siepi!
Tu allora ti poserai leggera e cauta
sopra le discariche, le pattumiere
ai bordi delle strade, e ruberai frange,
ninnoli lucenti e cocci di bottiglia
per adornare il nido tra gli sterpi
e renderlo col tuo sogno un sogno vero.
Mai alcun nido al mondo allora
sarà mirabile e lucente come il tuo.
Poiché sei gazza, ragazza, non sei saggia:
segui il tuo destino.
Marianna Piani
Milano, 21 Giugno 2013
sabato 5 ottobre 2013
Sabato Affaccendato
Amiche care, amici,
In altre occasioni ho avuto modo di esprimermi al riguardo.
Per me non esiste un "luogo deputato" per la poesia. E neppure un "soggetto privilegiato", come molti sembrano pensare, da cui scaturirebbe come per incanto, per autogenesi l'ispirazione poetica.
L'amore, l'indignazione, l'angoscia, la follia, la vita e la morte, i "grandi sentimenti umani" sono è vero da sempre soggetto di canto, versi, narrazioni e racconti. Ciò è del tutto naturale, poichè noi parliamo, discorriamo, ragioniamo sopra ciò che più ci sta a cuore, preferibilmente.
Un'emozione forte, intensa, però - direttamente, senza mediazione - è cattiva consigliera, com'è risaputo, e tende a dettare perlopiù componimenti mediocri, banali, gonfi di sentimenti ma privi della capacità di comunicarli. Il pianto di un'amica "dal vero" ci commuove, certo, ci può anche muovere al pianto, ma non ci regala un'esperienza intellettuale, non entra nel nostro cuore per elaborare il nostro pensiero, così come fa invece la composizione di un Poeta, o la tela di un artista. Occorre lavoro, ogni esperienza deve essere elaborata, trattata, fermentata come un vino buono, prima di poter essere offerta. Questo è il "lavoro" dell'artista, ed è questo sostanzialmente che fa la differenza tra l'artista autentico (che sia o no professionista - cioè che ricavi dall'attività artistica il suo sostentamento oppure no, questo non è qui in disussione) e il "dilettante", colui che ha solo un incontro superficiale, avventuroso, con l'Arte, per il proprio piacere privato, ma che del vero lavoro artistico nulla sa, può o vuole sapere. Tra colui che crea per intima urgenza e necessità, e colui che lo fa per mero passatempo.
Per questo, come dicevo prima, non esiste un tema o un soggetto "poetico" privilegiato, in contrapposizione con tutto il resto del nostro vissuto quotidiano. Oh, sì, il Cuore, l'Amore, la Malinconia, la Luna, la Nebbia, Venezia... sono tutti soggetti che contengono in sé per tradizione ineluttabile la "poesia" - ed è per questo che proprio su questi soggetti è difficile, se non quasi impossibile in realtà fare "buona" poesia o letteratura. E ciò nonostante si continua ad esercitarvi un esercito di scrittori, di ogni età o livello, e anch'io, come sapete, non ho potuto certo esimermene - sono pur sempre una donna, di carne e sangue, prima di mettermi al tavolino per imprimervi le mie emozioni.
Ma è un errore pensare che il "poetico" sia insito nelle "cose". Il poetico è il nostro modo di vedere il mondo, il poetico è solo ed esclusivamente nei nostri occhi - nella nostra sensibilità.
Il poetico nasce dall'incontro tra lo sguardo dello scrittore e quello del lettore. Questa simbiosi è la condizione assolutamente necessaria (ma non sufficiente) perché avvenga un qualsiasi atto di comunicazione poetica. E questo significa che non vi è nulla al mondo che possa essere considerato estraneo, o non abbastanza nobile per entrare a pieno diritto all'interno di un "dialogo poetico", almeno quale lo intendo io (oh, certo, vi è poi chi ritiene che tutto si possa accendere ed esaurire in un gioco pirotecnico di parole che scoppiettano secondo regole balistiche imprescindibili, suscitando come unico elemento di comunicazione l'ooooh! della folla a naso in su, ma questo esula dal mio interesse).
Qualche tempo fa proposi una poesia sull'IKEA - la trovate qui tra le mie prime composizioni - poiché trovavo nell'esperienza tutta femminile della ricerca di sé stesse (noi ragazze e donne siamo SEMPRE alla ricerca di noi stesse) tra gli scaffali un po' da cattedrale di questo magazzino che vende progetti di sogno a prezzi contenuti, un qualcosa di affascinante, meritevole di canticchiarci sopra un qualcosa, giusto anche solo per un gioco.
Dunque, di recente Mariangela, un'amica simpaticissima, nel leggere un "resoconto" ironico/cronachistico di un mio sabato mattina da donna di casa single, mi inviò un messggio: "...potresti scrivere una poesia su questa mattinata dalle forti emozioni :))"
E infatti, perché no? La vita è amore, desiderio, sogno, ma è anche un sabato mattina impegnato a rassettare l'appartamento e far di spesa. Le emozioni di una donna, il suo modo di occupare il mondo e la vita, anche in questo si esprimono.
Ecco, la dedico a Mariangela, con tanto affetto, e la condivido con voi tutte amiche, e amici, come sempre, con amore!
M.P.
Sabato Affaccendato
("There are no gods, and you can please yourself" D. H. Lawrence)
Nuovi dei abitano il Tempio,
nuovi templi sorgono sulle alture
poco oltre le mura, nuovi altari
ardono di fiamme di nuovi riti
sacrificali. Noi, Vestali di questi Numi,
indossiamo vesti bianche come corolle
e calzari intrecciati alla caviglia,
e risaliamo l'erta che ci porta
al cospetto del dio cui offriamo
in pegno il nostro giorno intenso,
il nostro giorno più faticoso e denso
il giorno in cui più di ogni altro
ci mutiamo in api all'arnia addette
soggette, dedite e affette.
Sortilegio che ci spinge
di fiore in fiore a far bottino
con la grazia e il fruscio discreto
delle nostre ali di pizzo o di seta.
Attratte siamo ai fulgidi colori
e ai profumi di quei giardini in fiore.
Da millenni il gesto tenero della raccolta
e della cura spetta a noi, femmine sagge,
alle nostre mani sottili e delicate e caute
è affidato l'onere di rifornire il nido.
Il dio ci chiama a raccolta tutte,
al suono di armoniose arpe e viole
e buccine d'oro dagli squillanti toni.
Noi rispondiamo con le nostre voci chiare.
Con il disteso canto che da sempre
accompagna la fatica nostra nel portare
i panni al fiume, e il bruciore delle mani
divorate dal gelo e dalle ceneri abrase.
La gioia viene dal nostro vivo volo al sole
e dal nostro affetto al nido, che per tutte noi
è gonfio di amori veri e di pensieri amati
anche quand'è deserto, com'è deserto
il cuore. La polvere sui mobili e sui vetri
si deposita giorno dopo giorno
come la memoria nella mente:
va detersa, per riguadagnar la luce.
Noi cantiamo il nostro canto al mondo
mentre al tempio ci affaccendiamo,
da noi ci si attende intelletto e grazia,
e noi stesse al nostro proprio mondo
ci spendiamo.
Milano, 12 Maggio 2013
Per Mariangela, che me l'ha ispirata
Marianna Piani
mercoledì 2 ottobre 2013
Avrei potuto
Amiche dilette, amici carissimi,
Il mio concetto di "Poesia" pian piano, anche solo impercettibilmente, si evolve. Ma - spero vivamente - rimane coerente nel suo cuore profondo. Mi spiego.
Un tempo lasciavo libera la via ai pensieri, alle emozioni, con apparente fin eccessiva facilità, e ho considerato sempre questo esercizio soltanto quale un mezzo per esprimere la mia interiorità, senza vincoli e nemmeno finalità di alcun genere.
Non ho mai avuto - sinceramente - alcuna ambizione "letteraria", la mia voce sapevo che sarebbe sempre rimasta nella mia intenzione del tutto spontanea, esercitata per puro "diletto" nel suo significato letterale, senza giudizi o pre-giudizi di qualità o di livello artistico. Una voce legata esclusivamente al mio nome - che è in parte un nome d'arte, poiché utilizzo qui come forse sapete il cognome "da ragazza" di mia madre - e al di fuori di qualsiasi scuola, conventicola letteraria, circolo accademico, scuderia editoriale.
Una voce isolata, ma non sola; indipendente, ma consapevole del proprio status fieramente originale.
Certo, io ho un trascorso di studi classici e mi sono sempre interessata con passione (e anche una certa competenza, in grazia dei miei studi universitari) alla letteratura in generale, e ovviamente alla poesia in particolare.
Ho tradotto per anni composizioni dei più grandi Autori in sei lingue diverse, e in questo modo ho potuto comprenetarmi e comprendere più a fondo questa arte sublime e difficilissima, che per me, come ho avuto modo di dire più volte, è la "madre" di ogni altra forma d'arte, letteraria, musicale e figurativa.
Quindi non sono propriamente una naïve, capite, sono perfettamente consapevole delle tecniche, dei metri, dei metodi compositivi, dei temi e delle visioni critiche e storiche.
Ho però scelto, nel decidere di scrivere di mio pugno composizioni mie proprie, di spogliarmi di ogni sovrastruttura accademica, critica, nozionistica o di natura estetica o letteraria, e di appropriarmi di uno spazio del tutto "mio" concedendomi la più piena libertà di espressione. Mi sono detta: questo non è e non sarà mai un "lavoro" per me, io non ne ricavo di che vivere né mai avverrà che la poesia per me diventi una "professione", se mai ciò fosse possibile per chiunque. Quindi tanto vale concedersi il lusso di una libertà creativa ed espressiva totale.
Il che ovviamente non significa non darsi una disciplina, tutt'altro. Ogni forma d'arte, io credo fermamente, ha un qualcosa dell'esercizio di abilità circense, della giocoleria, del salto mortale del trapezista a trenta metri d'altezza. Il "diletto" non è "dilettantismo", per me almeno, e la libertà non è sinonimo di ingenuità.
Ciò che per me è sempre stato fondamentale è il bilancio finale tra forma e contenuto, dove per me "libertà" significa privilegiare quest'ultimo, il contenuto, il senso, l'emozione, la percezione, la comunicazione, nei confronti della forma, la struttura, il metro, il verso, l'accento, la rima, l'allitterazione.
E questo NON significa rinunciare a ricercare la musicalità: melodia, ritmo e armonia sono componenti fondamentali e imprescindibili della Poesia, in ogni Cultura e in ogni Paese, senza di esse non si comunica, a mio avviso, specialmente a livello emozionale, che è ciò che mi sta più a cuore, come individuo e più ancora come donna. Per questo in ogni caso si tratta di una ricerca, di un "lavoro" tutt'altro che semplice, proprio nel momento in cui si cerca di mantenere intatto, e comprensibile a chiunque, il valore del pensiero originario, del significato, della metafora.
Ho scelto da sempre quindi una "forma libera" con perfetta cognizione di causa. Non mi sento di legarmi a forme chiuse, prefissate, sia pur di grande tradizione e nobiltà. Preferisco dedicare ogni mio sforzo a purificare la parola, a renderla limpida, a togliere ogni traccia di ermetismo accademico pur mantenendo una originalità di visione e di analisi, senza la quale si cadrebbe nella banalità, nel caramelloso, nel deja vu.
Tornerò ancora, forse, su questi argomenti. Servono più a chi scrive, per la verità: per chi legge ciò che conta è il risultato finale, qualunque sia il lavoro - o il gioco - che lo ha prodotto.
Ciò che conta più di ogni altra cosa, comunque, "a monte di tutto", per dirla con un'espressione abusata, insomma, all'origine di tutto è ciò che chiamiamo comunemente "ispirazione". È lo slancio iniziale, ciò che origina tutto, la gemma grezza in cui ci si imbatte, a volte per necessità, altre per puro caso. Per me si tratta di ciò che scaturisce dalla mente e si deposita sul foglio, o sullo schermo digitale, nei primi minuti, di solito risultato di gioiosa "trance", uno stato psicofisico di sospensione del tempo: l'atto creativo primario. La gemma che ne estraiamo e che successivamente sottoporremo ad una lunga e abile levorazione, già contiene in sé tutto il valore, la lucentezza e la bellezza che noi, con la nostra arte, con il nostro talento, con la nostra abilità anche artigianale, tenteremo di liberare e di far sprigionare. Ma l'atto Poetico, è prima.
Una piccola composizione come quella che segue, dedicata ad un'amica carissima, nasce così, per me, d'impulso, senza studio o riflessione, puramente, in questo caso in particolare, per amore, per bisogno di cantare, di narrare, di comunicare, ma non solo con la dedicataria: con il mondo intero. Tutto il "lavoro" successivo, tutto il travaglio, tutto lo sforzo, tutto il gioco è poi nel cercare di preservare, anzi esaltare con un taglio accurato e abile e sapiente il fulgore orginale.
Amiche care e amici, dedico all'amica Mara questi miei pensieri, e li condivido con voi, come sempre, con amore.
M.P.
Avrei potuto
Avrei potuto sedurti.
Con cosa? Con una rosa
di selva appuntata sul petto
dicendo: amore mio, vedi?
È come il mio cuore
che appassisce trafitto di te...
Oppure con le parole,
come un semplice canto
sopra pochi morbidi accordi
di una chitarra, per dirti:
tesoro, ascolta il mio sogno,
ascolta i ricordi che tengo di te...
Avrei potuto sedurti, lo ammetto,
con il mio sguardo ombroso,
con le mie labbra vezzosamente
dipinte di rosso e profumate
di viola, sfiorarti il candore del collo
e soffiarti parole inaudite per te.
Potrei sedurti, sì, ma come?
con i miei occhi di zucchero e pece,
che han veduto balenare le albe
sopra i mari marezzati dal vento,
e i tramonti indorare le cime più alte,
ardite come i miei più arditi pensieri?
O con il mio corpo, fragile, esposto,
di minuscola donna, tra l'arcangelo
e la libellula, incerta tra l'ardire
e il volare, e con una pelle
così fine da far trasparire
un reticolo di diafane ife azzurrine?
Potrei, lo so che potrei farlo,
ma tu non saresti più tu,
la fiera che mi fissa dal cuor della macchia -
oh, selvaggia - e che si allontana da me
sulla traccia delle sue proprie chimere,
o di un'ultima polla d'acqua da bere.
Potrei, ma non voglio:
perché non voglio amarti incattivita,
non vorrei, non potrei vederti languire,
oppure impazzire prendendo a spallate
le sbarre sia pur d'oro e di gemme
del mio amore geloso.
Voglio amarti libera, indomabile fiera,
audace, fuggitiva come sei, se pur anche
dovessi scontare questo mio amore negato
con mille anni di lontananza. E fosse pure
di averne dolore, dolore sia. Troppo è il mio amore
per poterti imprigionare al mio amore!
Marianna Piani
Milano, 19 Giugno 2013
(per Mara)
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