Beyond my window, the Ocean |
Amiche care e amici
oggi riprendo un racconto interrotto, ora è poco più di una settimana…
Quest'estate ebbi l'occasione di compiere un breve viaggio di lavoro in Irlanda. Fui a Dublino, ovviamente, dov'erano localizzate le attività che mi riguardavano professionalmente, ma ebbi la ventura di essere ospitata per tutto il periodo nella zona di sud-ovest dell'Isola, nella zona di Cork. Mi spostavo in macchina (una utilitaria a noleggio) per raggiungere il lavoro, rischiando a ogni curva l'osso del collo per via della curiosa abitudine che hanno lassù di guidare sempre "contromano"…
Mi innamorai all'istante di questa terra (compresa la bizzarria della guida all'altro lato), del suo territorio così poco antropizzato, dei suoi villaggi dai colori vividi e intensi, del suo sole improvviso e delicato, ma nitidissimo, e delle sue piogge fine fine, insistenti come il rondò di una canzone popolare, gentili.
E... sì: mi innamorai di una ragazza del posto, musicista (tanto per cambiare: ma cosa mi fanno, a me, le musiciste? Forse perché mamma lo era), bellissima, emozionante, talmente colma di vita e di sorriso da illuminare da sola la giornata, da parere che fosse proprio lei, al mattino, affacciandosi alla finestra nell'aria gelida, ad infiammare il sole.
Furono giorni in cui, confesso, lavorai assai poco, scrissi ancor meno, mi lasciai semplicemente imbibire di quell'atmosfera innocente, di quella umidità sensuale, di quegli odori, di quei paesaggi vertiginosi, e, la notte, bruciare nel calore - tanto rovente da piagare la pelle - di quegli abbracci.
Il resto... è un segreto mio.
Ripartire poi mi parve impossibile, mi sentivo pronta a lasciare tutto, proprio tutto, davvero, e solo allora sentii il gravame dei miei quarantadue anni: vent'anni prima non sarei davvero mai, mai ripartita!
Rientrata in Italia, piansi (piansi parecchio già a bordo dell'aereo; per la prima volta non sentii nemmeno la paura tanto ero fuori di me) e, insomma, malinconicamente ripresi la vita di sempre, trascinata come un sacco svuotato dalle mie pretese e pretenziose "responsabilità". Di tutto questo non mi rimase in mano nemmeno un oggetto, un frammento, un ninnolo concreto, soltanto il ricordo, così fiammante da essere intollerabile da osservare direttamente, così com'è intollerabile fissare direttamente il disco del sole; e pochi, pochissimi versi, appunti, scritti di foga, molti di essi troppo intimi ed espliciti per essere pubblicati, altri troppo sgangherati e stazzonati dalla passione ancora vicina e viva (quante volte ho detto che la scrittura non può venire direttamente dall'esperienza di un'emozione, poiché in quel caso è solo sfogo, tale e quale un pianto dirotto: non c'é arte, nel pianto. Può commuovere, non comunicare, non convincere).
Questa che segue, la precedente già pubblicata il 30 Gennaio, e la successiva che pubblicherò probabilmente la prossima settimana, sono le uniche tracce di questa storia degne di essere condivise con voi, nella consuetudine della quieta amicizia qui stretta tra questa donna che scrive e voi che la leggete.
Il componimento in sé non parla d'amore, anche se ne è tutto venato e percorso, è piuttosto un tentativo di pittura di "paesaggio", una delle mie passioni come sapete, e spero vi possa restituire almeno in parte le sensazioni - più che le immagini - che mi hanno commosso e travolto nel corso di quei giorni (giorni incantati, magiche notti).
Amiche dilette, amici cari, grazie infinite, sempre, per la vostra preziosa presenza, che dà un senso al mio lavoro.
Con amore
M.P.
Rainy day on the coast |
West Cork
Ho dovuto dirmi più volte:
questo è l'Oceano,
che spumeggia e signoreggia
qui innanzi, senza confini,
con la sua voce da drago onnipossente;
non il mio minuscolo mare,
così familiare da non temerlo nemmeno
nelle sue subitanee tempeste,
intemperanze d'un bimbo col broncio.
I gabbiani, qui solenni creature del mito,
incrociano lenti sfiorando la costa,
facendo la spola tra quiete baie
e scogliere tormentate da venti
e marosi taglienti, senza sosta.
Il vento sibila tra le gramigne
e agita come un mare le felci
verdazzurre che si godono il sole
schivo di qui, solo per un istante.
La pioggia viene, va, e ritorna,
come una sposa riottosa,
appannando di poemi le brughiere
e ornando di gioielli lucenti
i grappoli di erica viola e pervinca;
le giovenche attendono, fissando
con dolce umida pazienza
le spume delle onde e i mulinelli
beffardi liberati dal maestrale.
No, non è il mio piccolo mare
con cui giocavo da bimba
inseguendo le risacche e i gorgoglii
tra le buche e i bordi taglienti
degli scogli, butterati dai molluschi,
resi rischiosi soltanto dai velli
di mucillagini e alghe infingarde.
Questo è l'Oceano Immenso,
dove i cuori e le anime son persi.
Questo è l'Oceano Ombroso
del mareggiare maestoso,
dei narrari e delle novelle
che mi hanno portato per anni
in cima al mondo, laddove
finisce l'atlante e nasce la pioggia:
proprio qui dove ora sono, e mi stringo
le braccia al seno, che ansima piano,
qui, sull'estremo bordo del sogno.
Marianna Piani
Glengarriff - Dublino - 20 Luglio 2015
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