Amiche care, amici,
sono stata una buona alpinista, con una discreta abilità nella progressione su roccia, finché potevo farlo senza l'utilizzo di chiodi o altri sistemi di salita "artificiali", dove la mia conoscenza tecnica era invece piuttosto lacunosa.
Da (troppo ahimè) tempo, per diversi motivi, anche di salute, non posso farlo, e anzi gli impegni di lavoro da qualche anno ormai mi tengono lontana da quei paesaggi, e da quei luoghi, che ho amato intensamente in passato.
Ma l'immagine della montagna, la metafora della salita, mi è rimasta ben impressa nel cuore, e riemerge spesso nella mia scrittura.
La mia ricerca costante di purezza, di una vista più ampia, di un avvicinamento al cielo - che sia o no abitato dagli dei - ha in questo gesto atletico la sua raffigurazione più viva e pregnante.
Per voi, amiche dilette e amici cari, con amore.
M.P.
Il Tempo l'arenaria scava
Questa roccia di arenaria
che si staglia contro il cielo
e mi sovrasta, inaccessibile, vasta,
dura, compatta, tagliente agli appigli,
un tempo l'avrei affrontata
pelle a pelle, viso a viso,
con l'ardimento di quei vent'anni
che mi gonfiavano il petto
come la bora a primavera.
Ora non potrei più salire
quel diedro sotto la cima,
me ne manca la forza, e l'uso,
da tempo, da quel tempo in cui gettavo
le gambe nel vuoto verticale,
felice di respirare quell'aria
così pura da parere tagliente anch'essa
come una scheggia di cristallo,
felice a vedere quel mondo, attorno.
Non posso ora nemmeno spaccare
quella roccia, o scheggiarla almeno,
per vedere se la ferita
sanguina ancora, oppure no,
oppure è rappresa, come il ricordo,
come la memoria che si rapprende
sulle ferite e le piaghe dell'anima.
So solo che vorrei essere lassù,
con le gambe che dondolano nel vuoto,
mentre un fremito percorre l'intero
mio corpo, dai piedi, ai capelli:
è qui finito il tempo mio, oppure
deve ancora avere corso?
Marianna Piani
Milano, 2 Agosto, 2015
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