«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

mercoledì 30 aprile 2014

Il grande albero nella stagione delle gemme


Amiche dilette, amici cari,

Se permettete, uno sguardo sulla mia più intima e personale sensibilità, con una poesia dedicata a mio padre, il mio "grande albero": questo mio meraviglioso papà, che è sempre dentro di me a strapparmi il rimpianto di non aver potuto stare più a lungo con lui, e ogni volta ripensando a lui a lui non posso trattenere un silenzioso pianto.
Nella sua scomparsa improvvisa, noi ragazze, io e mia sorella, ancora giovanissime, abbiamo reagito in modo molto diverso: io con un lacerante dolore che mi ha lasciata straziata, indebolita, fisicamente e  mentalmente, al punto da non riuscire a comprendere la mia personalità di donna in evoluzione, rimasta incompiuta poi per sempre, probabilmente l'origine profonda del mio attuale disordine mentale. Mia sorella più piccola, esorcizzando il dolore e lo smarrimento con la rabbia, come se fosse stata una colpa, un abbandono voluto, che le ha fatto odiare sé stessa e la famiglia intera, allontanandola così da me per sempre, proprio nel momento in cui avremmo dovuto rimanere unite.

Io ho ereditato da mio padre (e da mamma) una immensa ricchezza, certo non in danaro (lui era uno spendaccione, tutto in cultura, viaggi e educazione per noi: trovammo sul conto un pugno di quattrini appena sufficienti per non gettarci sul lastrico da un giorno all'altro) ma tutto il resto di ciò che io sono e conosco e godo e apprezzo, io lo devo a lui, alla sua carica vitale. Semplificando posso dire che a lui devo la Conoscenza e l'amore per la bellezza, alla mamma la Creatività e la bellezza stessa. A entrambi la Sensibilità.

Ebbene, il mio "grande albero" fu abbattuto da un fulmine in una notte di tempesta, lasciandomi per sempre priva della sua ombra, del suo sostegno, della sua forza, dell'altezza dei suoi rami e della profondità delle sue radici.
Tra tanti lasciti spirituali, uno però è tutt'ora vivo e concretissimo: la sua libreria, preziosa, ricca di centinaia di volumi, che io conservo con me gelosissimamente. Ogni volume, nell'aprirlo, emana un ricordo, un frammento della sua persona, il profumo e il contatto delle sue mani, posatesi proprio su quella certa pagina, su quella copertina. Di quando in quando una nota a margine con la sua inconfondibile scrittura a stilografica nera (la sua Pelikan verde e nera, che ho ancora, funzionante) oppure a matita dura, gradazione H, una scrittura minuta ed armoniosa, ordinata, da scienziato quale in parte era (ingegnere ma umanista) e su molti testi saggistici una quantità di sottolineature. Un "vizio" che ho anch'io, quello di pasticciare i libri, che ho certo ereditato direttamente da lui. Attraverso questi volumi è come se egli continuasse a vivere accanto a me, a sostenermi ed aiutarmi. Non li lascerei mai, questi libri, per tutto l'oro del mondo! I libri non sono solo il loro contenuto, ma anche tutta la pregnanza affettiva e di memoria di un oggetto che attraversa gli anni. Esattamente come una riproduzione vista sullo schermo del computer dal sito del Museo non ha nemmeno lontanamente lo stesso impatto emotivo di una tela originale di Raffaello veduta in prima persona al Louvre .

Per voi, amiche e amici, con amore

M.P.





Il grande albero nella stagione delle gemme


Ho guardato quel platano immenso, al parco,
da vicino, e sfiorato la corteccia spaccata lungo il tronco,
ho guardato quel legno tormentato come si guarda
il volto solcato di un padre ormai anziano,
con tenerezza, confusa allo sgomento.

Un tempo esso era la mia pianta, alla cui ombra ampia
tracciavo col gesso caselle da percorrere a balzi
dietro una scheggia di sasso. Per me allora
quel platano era mio padre, seduto poco lontano
immerso nel suo più consueto gesto, un libro aperto

oppure un quaderno, a scrivere qualcosa.
Il mare, altro mio padre, era quattro passi distante
dal parco, e mormorava quieto, quando non era
in burrasca. Se il vento si levava, alzandomi per dispetto
la gonnellina scozzese, il mare, lo sapevo, imbiancava.

I maschietti, a volte, mi canzonavano in coro,
e io li inseguivo, rossa di rabbia, mezzo ridendo;
papà un po' lasciava fare, un po' mi rimproverava,
non era così che si comportava una signora, diceva:
io ero orgogliosa, già allora, femmina e basta.

Non comprendevo quei compagni accaldati
a inseguire una palla, senza ascoltare la voce del mare
che s'inargentava di schiuma, e odorava di alghe -
o di pesce avariato, se il vento mutava. Non sapevo
che anch'essi lo percepivano, pur senza esserne consci.

Dunque in quegli anni, godevo di tre padri, che m'accudivano:
il primo, mutevole, irascibile, immenso, era la voce
più profonda del cuore, e cantava in perpetuo nell'arpa
del vento la melodia, il ritmo a larghe cadenze che sempre
avrei ritrovato in me, e tentato forse invano di intonare.

Il secondo, ombroso, accogliente, dal solido tronco,
famigliare in ogni suo nodo, in ogni suo ramo
proteso ad afferrare per me un lembo di cielo,
perché potessi farmene veste, la luce verdazzurra
che un giorno avrei ritrovato negli occhi dell'amore.

Il terzo infine era chi mi stava accanto, a volte in silenzio
a volte narrando, il fabbro della mia carne, l'oste attento
del mio sangue, l'orefice del mio pensiero, colui
che avrei adorato, e quando più che mai l'avrei voluto accanto
mi avrebbe lasciata sola abbandonata al mondo.
 

Il mare, è lì sempre, calmo e tempestoso; il platano, vegliardo,
c'è ancora, nel parco, il tronco un po' più segnato, le fronde
sempre più gonfie di vento, e le foglie, meno folte d'un tempo,
palpitano alla luce del meriggiare imitando nel baluginare
le onde esplorate senza posa da infaticabili gabbiani,

almeno finché non fa sera, fondendo il sole all'orizzonte.
Del padre di sangue rimane la voce soave, in quel mare,
le braccia forti abbronzate, in quei rami. Lo sguardo
in quel cielo sereno che tutta mi avvolge,
e difende.



Marianna Piani
Milano, 28 Gennaio 2014

1 commento:

  1. 19 Marzo, "Festa del Papà".
    Sai come la penso riguardo queste "feste", ma è pur vero che non potevo omettere di omaggiare in qualche modo tuo Padre.
    Il mio è un omaggio molto semplice, ma sentito.
    Grazie, Papà di Mari.
    GRAZIE !

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