«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»
«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)
«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)
«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)
«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)
«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)
mercoledì 31 dicembre 2014
Propositi
Amiche care, amici,
siamo agli sgoccioli dell'anno, questo anno pari che ci ha accompagnati lungo l'arco di quattro stagioni più o meno feconde: di idee o di affetti, di illusioni, di amori, di passioni, di sconfitte, di cambiamenti…
Personalmente non è una ricorrenza cui assegno particolare importanza. Nella storia della mia famiglia, quando ero una bimba - come ho narrato su queste pagine - tutt'occhi neri e capelli spettinati, la Festa di un qualche significato era il Natale e dintorni. I miei genitori erano cattolici, non particolarmente osservanti, spiriti liberi, ma amavano questa occasione di tenerezza da scambiare e da distribuire a noi bimbe. Il "capodanno" non era mai stato particolarmente amato o formalizzato. Ricordo soltanto, a parte il fastidio dei "botti", che io avevo sempre detestato perché mi terrorizzavano e mi facevano sobbalzare dolorosamente, nella mia città lo "scatenamento" davvero tra l'inquietante e il festoso delle sirene delle navi in rada. Il "suono" della notte di fine anno (o capodanno come lo chiamavamo) era proprio questo ululato prolungato, ritmato… Non molto di più: a quell'epoca la "mezzanotte" era per noi bimbe una grande concessione. Noi per buona parte dell'infanzia ci coricavamo alle nove, massimo nove e mezzo…
Dunque, in questo periodo dell'anno io preferisco rifugiarmi in qualche luogo appartato, dove poter evitare i "festeggiamenti obbligati", che ho sempre considerato con fastidio e anche tristezza, e per tentare di sfuggire a quelle terribili ondate di depressione, figlie della mia malattia neurologica, e della catalizzazione di questo "trapasso" temporale così insistentemente evocato.
Quest'anno sono fuggita, letteralmente, rifugiandomi presso una amica cara, tra le montagne della Savoia Francese, in un luogo non particolarmente frequentato dal turismo, che si concentra molto più non molto lontano (Chamonix, Megeve, Avoriaz) e quindi interessa solo di striscio questi luoghi.
Come ho voluto una settimana fa regalare a voi, miei lettori e amici, anzi, prima amici che lettori, un piccolo pensiero per questo periodo natalizio appena concluso, un piccolo segno del mio affetto e riconoscenza per la vostra persenza, ho pensato di scrivere qualcosa sul tema, ma senza tradire il mio personale sentimento in proposito.
Ho compiuto devo dire diversi tentativi, che non mi hanno soddisfatto. Finché non è scaturito questo micro poemetto a quartine, in cui ho voluto riversare, senza infingimenti o veli, l'intero mio stato d'animo. Ne è uscita una composizione aspra, tutt'altro che festosa, come del resto mi aspettavo, di un genere non molto abituale per me.
Si tratta dunque dei miei "propositi" di fine anno, e infatti così la ho intitolata, ma propositi in negativo, di ribellione, di rivendicazione di libertà.
Intendiamoci, si tratta di un canto libero, non mi sento "eletta", gran parte delle ombre cui mi ribello provengono dalle oscurità profonde della mia stessa anima.
Sono stata a lungo indecisa se pubblicare questa cosa, e se farlo proprio oggi. Ma io so che tutte e tutti voi siete delle persone straordinarie, che il vostro affetto vi consentirà di capire senza pregiudizio (il pregiudizio: una delle cose cui mi ribello) i miei pensieri e le mie emozioni.
Dedico in particolare questa composizione ad una amica carissima, D.R., una donna di straordinaria bellezza e di meravigliosa intelligenza, con cui ho condiviso parte di questi pensieri.
E ora, anche stavolta eccezionalmente senza rispettare la mia regola della quarantena, perciò assumendomi ogni rischio, anche formale se non sostanziale, la voglio condividere con voi, amiche dilette e amici.
Del resto ogni espressione d'arte è un taglio praticato nella nostra carne nel tentativo di raggiungere e liberare il nostro spirito profondo…
Con amore, per tutte e tutti voi.
M.P.
"Propositi"
Contemplavo oggi, con una forma
di tenera pietà, addolcita anche
dal pallido rosa d'uno stentoreo
sole - percolato dal muro calcinato
delle nebbie che soffocano la valle:
contemplavo dunque gli spilli e i chiodi
di ghiaccio sospesi come una trina
sotto lo spiovente del mio tetto.
Pregavo, a un dio irreligioso
di passaggio nella mia mente sghemba,
che cadessero quelle aguzze spade,
quelle cuspidi vergini di cristallo,
cadessero finalmente, trafiggendo il mondo
e il suo spavaldo brivido giocondo
quando l'arco mozzo d'un inverno
seguito a un'estate madida, esausto
va morendo. Quale è la festa, maschere
gioiose di volatile cartapesta?
Certo, ho pregato con fervore anche
che quelle lance gelide piombassero
a conficcarsi nel mio animo sdrucito
perché ne sgorgasse il sangue
della passione e del mio ardore
ora che il mio ventre inaridito langue.
Ho pregato, come una santa isterica,
ho pregato sulle piaghe del mio seno
che quel dio mi desse sempre voce
e libertà nell'invettiva. E giurai...
Giurai quasi gridando che mai più
avrei scordato il maschio che mi ebbe
abusando del mio corpo in cambio
d'un mai concesso amore.
Che mai più concederò perdono
alla femmina che con la sua beltà
mi volesse dominare, o mi tradisse
per due miserabili denari oppure
pur di apparir per bene al mondo,
per quel viatico di spettabile borghese -
quando ancora solo la notte prima
aveva mugolato perenne amore
con la mia lingua nella sua vagina:
non baratterò mai più il mio amore
per una fredda ciotola di sesso.
Né confesserò mai più il mio dolore
se non cantandolo a mondo intero.
Non cederò mai più indulgenza
a chi s'ammanta di rispetto e intanto
spalanca le biblioteche della memoria
ai roghi dei nazisti digitali.
Non più tollererò al mio cospetto
chi non rispetta l'umano affetto,
né chi disonora il suo intelletto.
Non s'attenda da me pietà quell'empio
che viola di violenza l'innocenza,
né chi per calcolo o viltà l'ignora,
e non grida per ciò vendetta al cielo.
Non più sgarbi, non più cieco pregiudizio,
non più sguardi ipocriti imbarazzati
ai miei casti baci, mai più celati
in nome d'un impraticabile pudore.
Non più disprezzo per chi è altro,
non più la menzogna di chi impera,
non più invidia per chi possiede,
non più arroganza della ricchezza,
non più colpevole ignoranza,
non più bramosia d'esibizione,
non più carnefici del gusto,
non più volgarità senz'anima né storia...
La mia esistenza è quella di una pianta
fragile ed esile di stelo e rami,
le cui profondissime radici s'aggrappano
disperate alla terra e all'humus
di questa antica e nobile Civiltà.
La mia voce è appena udibile nel vento,
dalla mia vulva non uscirà mai vita,
ma i miei rami sanno dare fiori caduchi.
Questo è ciò che saprò dare al mondo
finché sarò vivente: una piccola armonia
e la nudità della mia piccola bellezza.
Ma a nessuno e nulla lascerò rubare
la mia fiera femminile Umanità.
Per D.R.
Amica diletta e donna di valore
Marianna Piani
Plateu d'Assy, 31 Dicembre 2015
domenica 28 dicembre 2014
Indifferenza
Amiche care, amici,
muore l'anno, molte illusioni si dissolvono per dar luogo ad altre illusioni.
Di illusione in illusione procede la nostra vita: di fatto noi di illusioni ci nutriamo, ne abbiamo necessità come il nostro sangue necessita d'ossigeno.
Apparentemente opposta, l'indifferenza è lo scudo che ci protegge dalla consapevolezza e dalla coscienza, quando tempeste intollerabili si abbattono su di noi, rischiando di frantumare la nostra ragione. Inutile negarlo: quando nulla possiamo fare per opporci alla corrente che ci travolge, ad essa ci affidiamo. E alla fine ci ritroviamo sempre, al risorgere del sole, un po' più danneggiate, un po' più svuotate, un po' più arenate, ma ancora vive.
E la vita in fondo non è un bene che ci appartiene, non ne possiamo disporre a piacimento, anche questa è un'illusione. Per chi ha una fede, essa appartiene a un Dio, per chi una fede non ha, al Destino. Anche quando qualcuno decide di porre fine alla propria vita con un atto d'imperio e di autodeterminazione, o di pura e semplice disperazione, non si illuda: sarà sempre quel Dio, oppure quel Destino, ad averlo voluto e imposto.
Ciò che solo ci dà luce in questo cammino alla fine, è l'amore. Noi esistiamo soltanto in quanto ci è caro qualcun altro, e a qualcuno importa la nostra esistenza.
Perciò, amiche dilette, amici cari, per voi, tutto il mio amore.
M.P.
Indifferenza
Come una testuggine arenata
rintanata nel carapace -
grigio duomo fatto d'osso
e tenacia umbonata - attendo
che la tempesta abbatta
scogliere e dighe e frantumi
i sogni e le speranze come ghiaia
sulla spiaggia,
e qui la sua rabbia infine
trovi sfogo e vi si plachi.
Piove su di me l'indifferenza
in un pigro stillicidio come pianto,
così come precipita l'inganno
dalle nubi che oscurano
l'orizzonte per l'uragano
che mi ha trascinata così lontana
dalla mia rotta.
Preferirei morire cento volte
annegata nella sabbia
come una valva devastata.
Le mie uova di velluto
che tanto m'han costato
di stupore sangue e rabbia
presto saranno preda inerte
dei folli cormorani,
e mi rimarrà soltanto di osservare
da lontano l'orribile mattanza
e rimpiangere per sempre
la vulnerata mia innocenza.
Non darà mai progenie viva
il mio utero inaridito,
sola voce avranno le parole
del mio fervido pensiero
mai esausto, mai vinto.
Marianna Piani
Milano, Luglio 2014
mercoledì 24 dicembre 2014
Avvento
Amiche dilette, amici,
Una tradizione da sempre la poesia di occasione, o su commissione.
Oggi il "mio" mercoledì coincide proprio con la sera di Natale.
In previsione di questo qualche giorno fa scrissi "a braccio" questa piccola composizione a sestine, in tema, pensando ad alcune delle mie amiche ed amici più cari, e anche tutti voi lettrici e lettori, e ora ve la voglio dedicare, facendo un (dovuto) strappo alla mia consueta regola della quarantena…
Con tutto l'amore possibile, per voi che mi donate la vostra presenza, la vostra lettura, il vostro affetto.
Vostra
Marianna
Avvento
C'è stato un tempo
in cui il vento dell'inverno
non temevo, come un amico
che mi spingeva alle spalle
verso il mare scompigliato
sciolto come i miei capelli.
Era il tempo in cui la notte
che giungeva in pieno giorno
non mi faceva orrore,
attendevo invece la magia
delle stelle nelle sere chiare,
e ne cercavo la compagnia.
Era un frammento di quel cielo
che mio padre spillava
alla parete accanto alla credenza,
sopra le casupole di legno,
il muschio che fingeva l'erba
e la stagnola per torrente.
Le figure arcane variopinte
risalivano l'erta, qualche agnello
si riposava in mezzo al prato,
tra esse v'era l'unico pastore
che io avessi mai veduto,
e un angelo dall'ala mozza.
Nella stalla, in un pugno
di vera paglia gialla
un goffo puttino rosa
protendeva le paffute braccia
a chi lo osservava,
e ai due quadrupedi sereni.
Mi si diceva
che il putto fosse santo
e io ci credevo, per quanto
non sapevo che volesse dire.
Lo chiesi un giorno a mamma
che mi rispose:
"vuol dire che è puro
e innocente, come te,
come ogni bimbo al mondo."
Non compresi allora,
ma lo comprendo ora
il senso delle sue parole.
Il vero senso - profano -
dell'Avvento.
Marianna Piani
Passy, 23 Dicembre 2014
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sabato 20 dicembre 2014
Donna malata
Amiche care, amici,
a quante di noi capita! A me con frequenza disarmante: in coincidenza con il ciclo, per me sempre travagliato e doloroso, una recrudescenza della mia malattia (la mia "triste compagna"), ed ecco subito una giornata e una nottata passate nella sofferenza di un corpo che non vuole saperne di collaborare.
E come a me accade sempre, la vita accade, la scrittura segue.
Non è possibile scrivere nel corso di un evento coinvolgente, che sia di gioia, o di sofferenza. L'emozione, contrariamente a quanto si pensi, è nemico giurato della scrittura, e più che mai della Poesia.
Nessun testo degno di memoria o anche di semplice lettura può essere stilato sotto l'onda di un'emozione. Più intensa è l'emozione, o il rumore della vita, del mondo, del nostro corpo, più lontana è la scrittura. La scrittura non è uno sfogo, non è terapia, mai, è una edificazione. Chi scrive distilla la propria vita, le proprie esperienze e le proprie emozioni per mutarle poi, con il lavoro, la tecnica, la ricerca quotidiana e la "materia" della parola, in espressione. In comunicazione. In visione.
In un qualcosa che possa essere compresa dagli altri,
Così ho scritto questa mia non certo nel corso della crisi, ma solo qualche giorno dopo essermi ripresa. Ma con la memoria ancora viva di quelle ore di solitudine malata.
La vita è fatta anche di queste piccole e grandi sofferenze quotidiane, fisiche o morali, ed esse finché ci dominano sono tormentose, non lasciano spazio che a sé stesse.
La condivido con voi, amiche dilette e amici, con amore: anche la sofferenza fa parte della vita.
M.P.
Donna malata
Non sto bene affatto,
aggrappata al mio letto
sfatto, ora dopo ora, le mani
abbattute sulle lenzuola
raggrumate come sabbia
drenata dalla marea
che ne risucchia il mare
- che pur pare immenso -
nell'incommensurabili cavità
dei suoi alveoli di tempo.
Osservo, soltanto osservo,
senz'intenzione, la perfetta
curatissima stesura dello smalto
color rubino sulle mie unghie
levigate come petali
di giada, che feriscono
con veemente grazia
la fodera innocente del guanciale:
quando le ornai così, or non è molto,
con femminile consuetudine di bellezza
avevo ancora mano salda,
senz'incertezza.
Ora ogni incertezza, ogni ansia
s'esacerba al palpitare lieve
del mio seno sotto l'orlo
di pizzo bianco, come un prato
fiorito in cima
a una morbida collina.
Nel malessere che mi afferra
alla gola con la stretta aspra
della nausea,
mi chiedo istintivamente
dove sia la mia bellezza,
ciò che fa di me la donna
che muove il desiderio
in chi l'osserva,
alla luce del mezzogiorno.
Certo ora il mio pallore
è quello d'un cencio smorto,
e profonde sono l'ombre
nei miei sguardi
nonostante la decisa riga
di matita, tracciata
quasi con dispetto,
e l'ombretto, rimasto intatto
e sfatto
dalla sera innanzi.
Tra non molto, ne ho orrore,
vomiterò in ginocchio
abbracciata alla tazza
algida come un candido sperone
di roccia e ghiaccio - indifferente.
Nemmeno l'ombra della mia bellezza
sarà allora in quel quadro spento,
soltanto la figura d'una donna sfatta,
com'è sfatto questo letto intirizzito
dalle coltri vuote e stazzonate
in cui giaccio, con la spada
del malore che mi picchia in capo
rintocchi aspri e fratti.
Tu manchi cara, ecco cosa,
manchi in quest'angolo mio di vita,
ed io come un'ombra al meriggio
dissolvo nel muro calcinato
che invano sbarra il passo
al sole che tutto travalica
e tutto abbaglia:
poiché la mia salute e la mia bellezza
son soltanto il riflesso sbiadito e vago
del tuo impareggiabile fulgore.
Dove sei, mio amore santo,
Sole che senza te m'ammalo,
che decisamente tristemente
muoio di disincanto?
Marianna Piani
Milano, 28 Luglio 2014
mercoledì 17 dicembre 2014
Tu accanto
Amiche care, amici
La vita è chi ci sta accanto, chi ci dona la sua fede, chi fa della nostra esistenza un sostegno, e della sua presenza una sia pur effimera certezza.
La solitudine è la condizione più disumana, perché la nostra Specie è creata per la Relazione, noi da soli siamo nulla. Forse non siamo nemmeno vivi.
Amare è stare accanto, avere accanto la persona che ci completa. Non importa se il cammino da percorrere sarà lungo o breve.
Ciò che conta è sentire la presenza, colmare il vuoto dell'assenza, giorno per giorno. Tendere una mano e sentire la sua che si afferra. Che si affida.
Che offre la sua forza per la tua.
E non solo l'amore, l'amicizia anche, conta. Mani che si tendono verso di noi per sorreggerci nel nostro cammino.
Dobbiamo saperle cogliere, nemmeno ce ne rendiamo conto da quanto amore e affetto siamo circondati…
Per voi, amiche dilette e amici cari, con grande amore.
M.P.
Tu accanto
Credetti di esserti accanto quando
abbandonai la via maestra segnata
sulla mappa del mio destino
promesso mite e lineare e invece
intorcigliato e contorto, tormentato,
scavato tra rocce e ghiacciai
spaccati dal maglio del tempo
come un sentiero mille volte smarrito
e mille volte riabbracciato
al costo di sangue e travaglio
e fede tenace nella propria intima
purezza.
Sperai di averti accanto
mentre riposavo esausta
stremata dalla lunga risalita, riposavo
sull'orlo della pendice scoscesa
di calce, di breccia e di ghiaia
al riparo dal vento tagliente di alta quota,
immersa nella corta macchia
di ceruleo indifferente ginepro,
sperai così come ognuno spera
il tocco d'una mano amata
che ci sollevi dalla nostra atroce
incertezza.
Desiderai di esserti accanto,
così come fanno gli amanti alla sera
per discacciare i demoni del loro
divenire giorno per giorno
indifferenti al tocco al suono
dell'amore, disorientati
dall'assordante clamore
del tedio che ci incombe
come un massiccio di cenere
e lava che oscura il cielo,
mentre il viso indugia stupito nell'ombra
d'una carezza.
Seppi di averti accanto quando
vidi il cielo squarciarsi all'orizzonte
e la notte sciogliersi nel vento
dell'alba che gonfiava le vele
e scompigliava i voli dei gabbiani.
Lo seppi dal tuo respiro
che si quietava come nel canto
di un'aria serena, coricandosi
sulla superficie del mare
come una nebbia che offuscava
la mia ragione e illuminava invece
il mio cuore di dolcezza.
Ci fummo finalmente accanto.
Marianna Piani
Milano, 27 Luglio 2014
sabato 13 dicembre 2014
Itinerario di Prima Estate
Amiche care, amici,
Ritorno oggi alla pubblicazione normale con questa canzone libera, un po' fuori stagione per quant'è tutta immersa nell'atmosfera estiva di quando è stata composta.
Ora, in pieno inverno, è difficile quasi immaginare quelle ore pigre, sedate, con il sole che dardeggia in mezzo a un cielo ceruleo, accaldato, i pomeriggi sonnolenti, la voglia di uscire, la sete di vento e di mare.
Sono quelli i tempi in cui, quand'ero nella mia adolescenza, complice il lungo periodo di vacanza, fiorivano amori e s'intrecciavano passioni, e pensieri di fuga e di vittoria.
C'è un'età della vita, attorno proprio all'adolescenza, in cui siamo convinti che il nostro tempo sia infinito, che gli anni, l'invecchiare, il mutare, il morire, siano cose che non ci riguadino direttamente, come in un film di cui siamo protagoinisti e allo stesso tempo spettatori. Nulla è stabile, tutto però è per sempre.
Per questo allora ogni storia, ogni relazione, ci sembrava effimera, mutevole, pensavamo che si potessero commettere errori e ricommetterli indefinitamente nel tempo, per questo ci lasciavamo trascinare dalla corrente, senza mai veramente tentare di fissare memorie, di registrare ricordi, senza cercare di aggrapparci a una radice sporgente dalla sponda. Ci lasciavamo semplicemente, dolcemente e serenamente - o anche furiosamente - trascinare ed annegare dal nostro tempo. Un tempo che non ci rendavamo conto di quanto intanto scorreva ripido, veloce, irrefrenabile, turbolento, come le rapide d'un torrente.
Di tutto questo questa composizione vuole essere il ricordo, come potrebbe essere una pagina strappata da un diario sentimentale...
La condivido ora con voi, amiche dilette e amici, con amore.
M.P.
Itinerario di prima Estate
Passeggiare lungo questi sentieri
in mezzo all'arida falda
di polvere e pietra, alle spalle
dei rami aggrondati dei pini,
tra i bassi roveti, sulla banchina
di cemento spaccato dal tempo,
dove s'adunano le processionarie -
devote vermesse ancora lontane
dal divenire obese farfalle d'un istante -
camminare senza premura, nel frinire
spietato delle cicale, cento metri
a precipizio sopra il mare.
Quante volte l'ho fatto allora,
mano nella mano, fianco a fianco
con chi amavo, magari nel silenzio
d'un amore acuto e ferito.
Quanti passi ho infilato
lungo il filo dei miei pensieri
e quante parole, ora dolci,
ora svagate, ora appassionate,
di volta in volta scambiate
con una sorella, già allora fuggente,
oppure con una delle mille effimere compagne,
farfalle che avrei voluto spillare
alla teca del mio cuore per sempre.
Erano ore in cui finanche le rondini
accaldate dal meriggiare montante
volavano poco, o non volavano affatto:
solo all'imbrunire avrebbero empito di stridi
il cielo che s'accendeva di porpora e nero.
Come un aviogetto abbattuto
il mio cuore precipitava da quel cielo
e forse erano sue le fiamme
che tingevano le nubi a sangue
prima che all'impatto con la bassa atmosfera
la fusoliera vi deflagrasse.
Il calore rimaneva a lungo impigliato
alle spine dei moreti, lungo i bordi
dei fossati e delle forre.
Cercavamo ristoro su quei sentieri
appena coperte da corte vestine di lino
o di organza, che ci rendevano
come bianche corolle
in cima ai lunghi steli sottili
che erano le nostre gambe adolescenti.
Attendevamo, emozionate dal turbamento
che ci pulsava nel cuore nello scoprire
il fatale fervore dell'amore;
attendevamo con ansia
che si levasse la brezza marina
a gonfiare le corte gonne,
e risalisse sotto le vesti
lungo il corpo che rabbrividiva
come al tocco di una audace carezza.
Forse ci rubavamo in fretta una all'altra
un bacio, o forse lo sognavamo soltanto.
Il gesto o il pensiero allora
non contava più dei nostri sguardi
perduti insieme in un cielo
che lentamente come sangue rappreso
da rosso e magenta sfumava nel bruno,
finché il nero come una nube
di seppia immanente si spandeva
accecando ogni cosa e ogni creatura.
Noi attendevamo le stelle,
che immaginavamo, o sapevamo
nostre sorelle, con la fiducia e l'abbandono
degli amanti, che ignoravano
il metallo rovente del parapetto
su cui effondevano incendi di baci.
Giungeva, con l'accendersi delle stelle,
la frescura, o qualcosa che tale
poteva sembrare, e godevamo
dei nostri piedi che intirizzivano
immersi nelle onde salmastre.
Quanta strada percorremmo,
quanti passi, uno dopo l'altro,
deponemmo su quei sentieri
segreti, oppure esposti sulla pendice
del monte, aperti allo sguardo
verso l'orizzonte che ci si profilava
quale era la nostra speranza,
sgombra d'ogni ostacolo fin dove
si potevano spingere i pensieri -
poiché questa era l'intrinseca bellezza
del nostro mare, e del nostro amore,
com'è d'ogni amore, e d'ogni mare,
di ogni tempo, d'ogni luogo,
e di ogni cuore.
Marianna Piani
Milano, 24 Luglio 2014
mercoledì 10 dicembre 2014
A Supernova Dies
Mark Strand (April 11, 1934 – November 29, 2014) |
Amiche care, amici,
pochi giorni fa ho ricevuto un messaggio da un caro amico, scrittore e poeta, un messaggio insieme breve ed emozionato, come capita in queste occasioni, che mi informava:
"Dear,
I wanted you to know that the Canadian-American poet Mark Strand has died."
Non conoscevo questo Poeta se non di nome, alla lontana, come spesso capita: la nostra cultura e la nostra attenzione non può comprendere tutto. Si tratta invece di una voce importante del panorama poetico contemporaneo, e ho iniziato a procurarmene gli scritti. L'ho trovato subito molto interessante, incisivo, memorabile.
Ma l'avvenimento in sé mi ha fortemente colpito, e ho sentito la necessità di rispondere nel modo a me più congeniale e naturale - quando si tratta di esprimere delle emozioni - con una breve composizione. E l'ho composta a braccio, direttamente in inglese, perché inglese è la lingua prima del mio interlocutore, e anche perché inglese è la lingua d'espressione del poeta di cui mi si annunciava la morte.
Di norma io evito di comporre in una lingua che non sia la mia nativa (sbbene abbia una discreta padronanza di almeno due altre, Francese e Inglese), poiché ritengo che occorra un dominio assoluto e perfetto per "piegare" una lingua viva al linguaggio poetico.
Tuttavia, questa piccola lirica mi è sgorgata così limpida e spontanea, come se fosse stata scritta da un'altra persona, tanto che ho pensato di fare un'eccezione. Anzi, per la verità ne ho fatte diverse, di eccezioni, qui oggi.
La pubblico, per cominciare, a pochi giorni dalla composizione, cosa che non faccio mai, come molti di voi sanno. Non aveva senso però fare un omaggio a un artista che ci lascia a mesi di distanza dall'avvenimento.
Inoltre si trattava in origine di una comunicazione privata, e non avevo intenzione di renderla pubblica, anche per motivi di privacy e discrezione.
Tuttavia il tema per me travalica sia i limiti di un dialogo tra due persone, sia l'omaggio a un particolare artista.
Per tutte queste ragioni ho pensato che valesse la pena di dargli uno spazio qui, tra queste pagine, per condividerlo con tutti voi.
Che accade al mondo, e a noi, quando un poeta muore?
Per voi amiche care e amici, come sempre, con amore
M.P.
A Supernova Dies
When a Supernova dies
She shines as never before
a full brightness of light
that wounds our eyes
and our trembling mind,
and...
A wave of energy expands
throughout the universe
infinitely around
beyond the limits of time.
When a Poet dies
anyone, anytime, anywhere
- was he a candle
or a sun -
his inexpressible light
for a timeless breath of life
dazzles our sight,
and the long wave of his song
for ever will become
part of our primary cosmic rays.
Marianna Piani
Trieste, December 7 2014
(Thanks to my Friend and Poet A.T.)
sabato 6 dicembre 2014
In Nomine - VII
Amiche care, amici,
Ecco dunque le ltime due composizioni, a chiudere ad anello questa collana di perle con due nomi che mi stanno molto a cuore.
Non aggiungerò di più a commento, soltanto dirò che questo viaggio in compagnia dei nomi delle amiche a me più care nel territorio magico della più classica e armonica tra le forme poetiche mi ha cambiata e maturata, come scrittrice e come donna.
Il sonetto ha quattordici versi, e per una come me - con la mia a volte eccessiva "facilità" di scrittura, con la mia cronica tendenza a travalicare, a debordare gli argini - questa è stata una scuola di rigore e di sintesi perfetta, perché in poesia, e in generale in letteratura, come in ogni altra forma d'arte, compresa nonostante la sua intrinseca monumentalità la stessa architettura, nulla contano le dimensioni per esprimere bellezza. Soltanto l'armonia e le proporzioni.
Tornerò presto in questi territori affascinanti, tornerò a visitare a modo mio le forme della tradizione, per purificare la mia ispirazione, per sfidare la mia anarchica inattualità.
Dedicata a Sonja e Mara, sorelle dilette, e a voi tutte e tutti, come sempre, con amore.
M.P.
In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto
13
Sonia
Gatta di luna, e raggio di neve,
sogno del fiordo ghiacciato a novembre,
nubi fuggenti come angioli bianchi
che puoi graffiare con l'unghia d'un dito.
Ombre che dilagano mormorando,
spiegando le vele nella tempesta
che si profila dal mare, agitato
d'una inquietudine senza riposo.
Il grido d'un sole improvviso squarcia
la cupola densa di cumuli plumbei,
e irrompe nuova e violenta la luce.
Questa luce che nel regno di Aurora
e delle notti infinite è l'unico
splendente e perfetto dono di Dio.
Milano, Giugno 2014
Marianna Piani
14
Mara
Sole squillante sui campi d'estate
sole che chiama altra luce a raccolta,
sole che accende le messi e che arde
foreste già troppo riarse e troppo
deserte, chiuse nel loro riserbo.
Sole che sorge all'aurora sul mare
che inonda la pelle bruna salmastra
nella magica baia tra i due seni:
ornata di dolcissime perline
di giada e d'argento e di sudore
del tuo amore d'onda e di scogliera.
I piedi d'avorio e di corallo
sprofondano come in una neve
nella sabbia che quel sole arroventa.
Milano, Giugno 2014
Marianna Piani
mercoledì 3 dicembre 2014
In Nomine - VI
Amiche care, amici,
Undecimo e dodicesimo sonetto, dunque, dedicati questi ai bellissimi nomi di Silvia e Stefania.
E i nomi, per me, come per magia, in un modo del tutto irrazionale e inspiegabile, descrivono e contengono sempre in qualche modo le persone che li portano
Di Silvia posso dirvi qualcosa di più, poiché di lei ho perso traccia, e difficilmente sarà riconosciuta o individuata dalle mie parole.
Silvia è un'infermiera, un paramedico esperto e una giovane donna di quieta ma luminosa bellezza, sposata, mamma di due figlie piccoline, e pur avendo una famiglia - adorata - cui badare, nel suo lavoro riusciva a dare tutta sé stessa, tutta la sua dedizione, la sua dolcezza, la sua immensa pazienza e capacità di comprensione.
Come il talento di un artista domina la vita di chi lo esprime, così Silvia era tra le corsie non più la donna di famiglia, la semplice ragazza sorridente e di natura spigliata e allegra che era, ma un Angelo Soccorritore, ruolo che in questo modo definitivamente totalizzante solo le donne sanno incarnare, a volte fino al martirio.
Non era questo il caso, tuttavia nel periodo che ho potuto passare con lei, nella clinica in cui ero ricoverata, ho capito a fondo il significato della Umana Pietas.
È stata lei, principalmente, a ricomporre i pezzi della mia anima, sparpagliati ovunque senza un ordine qualsiasi, è stata lei, con infinita pazienza, anche sopportando la mia ostilità iniziale, la mia non volontà di fede, a ricondurmi in qualche modo alla ragione e alla vita.
Quando fui in piedi, e lasciai la clinica, traballante ma ricostruita, come una vecchia abitazione sconvolta da un ciclone e ristrutturata alla meglio, in quel preciso istante in cui la stavo perdendo, mi accorsi di amarla, come e più di una sorella.
Naturalmente, era tardi. E non la vidi più: io fui in clinica quasi un anno dopo per degli accertamenti, la cercai, ma seppi che si era trasferita in un'altro Paese.
Di Stefania, cui mi ispiro per il dodicesimo sonetto, invece non dirò molto, perché potrebbe essere riconosciuta, e se la Poesia è un atto pubblico (senza un pubblico nessuna poesia potrebbe esistere) le vicende legate alle persone sono private, segrete, e questa discrezione non deve essere violata, mai.
Dirò soltanto che si tratta di una ragazza che ho conosciuto solo "virtualmente", ma che rimane un punto di riferimento per me. Di una bellezza sconcertante, quasi perfetta, di una grande e sensibile intelligenza, fragile ma di grande determinazione, rappresenta per me la sintesi di ciò che una donna può donare di sé al mondo, con la sua semplice presenza.
Per voi, amiche care e amici
Con amore
M.P.
In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto
11
Silvia
Il suo volto appare svanito per sempre,
nell'opaco destino che è lo specchio
appannato della mia nudità stremata
ed è l'immagine inversa e riversa
della mia inquietudine perversa, insana
compagna di cella di questa mia
disperata detenzione, esiliata
dall'essere una e una sola donna.
Mi trattenni allora salda e avvinghiata
al suo corpo paziente, come una radice,
per non esser travolta dalla corrente.
Nei giorni infami di carenza e di strazio,
soltanto il suo sguardo fu la luce
che mi guidò oltre l'oceano e lo spazio.
Marianna Piani
Trieste, 21 Giugno 2014
12
Stefania
Finestra sul creato che mi ha lasciata stupefatta
quel suo chiaro sguardo privo di rancore e incapace
di qualsiasi menzogna; radici aggrappate al cielo
quelle sue mani cariche di luce e frutta dorata.
Quelle sue mani, fini e sapienti, erano brezza
che solleticava il collo dell'amato e la fronte,
il suo sorriso era il sole vivo del meriggio
che lacera il sipario dei nembi all'orizzonte.
Fu il pensiero a strappare l'uragano giù dalle cime
ove s'annidava, fu quella sua sovrana bellezza
a eclissare la saetta, e la luna che la seguiva.
Alcune donne hanno la libertà inesauribile
dei venti e delle piogge, donano al mondo soltanto
il ristoro del maestrale o la furia del temporale.
Marianna Piani
(Giugno 2014)
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