«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

mercoledì 13 gennaio 2016

A un amico, poeta



Amiche care, amici

questa composizione, una sestina libera in tono cantabile e leggero, la scrissi in occasione del compleanno di un amico caro che - come me - pratica la scrittura in versi, e un po' come me lo fa al di fuori di schemi e pregiudizi accademici e letterari. A differenza di me invece, che sono e voglio rimanere una dilettante, ha pubblicato alcune raccolte, e per questo posso permettermi di chiamarlo "Poeta", un titolo che tengo di solito molto riservato con i viventi, vicini o lontani, scrittori noti o meno noti. La sottoscritta per prima, ovviamente.

Il "poeta" si definisce colui/colei che scrive "poesia", e una poesia è tale solo nel momento in cui una larga comunità di lettori la accetta come tale e ne riconosce il valore, nella gamma consentita a ogni valutazione in campo artistico, dal mediocre, all'eccellente, fino al - cosa rarissima - sublime.
La pubblicazione è naturalmente il primo requisito (parlo di libri veri, intendiamoci, non di blog o e-book), ma in questo caso non solo il fatto di aver pubblicato - che in sé non vorrebbe dire nulla in realtà su questo piano - ma in primo luogo la qualità della sua scrittura secondo me consente di assegnargli questo titolo.

Anche questa, come la precedente, avrebbe dovuto rimanere una comunicazione privata, e infatti, se notate la data di composizione, è da un pezzo che la tengo prigioniera nel cassetto. Tuttavia anche in questa, nel rileggerla finalmente con calma e con la obiettività critica che mi è possibile tenere nei riguardi di un lavoro da me eseguito, mi sembra di percepire qualcosa di interessante anche al di fuori della sfera privata. In fondo è un poco una mia piccola "dichiarazione d'intenti" sul piano della scrittura in versi. Il "Poeta" di cui parlo già nel titolo non è (solo) questo mio amico in particolare, ma in generale la figura del Poeta come la intendo io, quella cui idealmente mi piace pensare di propendere, almeno come ipotesi di rotta nella mia ricerca: quella che io definisco il Poeta illetterato…

Se avrete la bontà di attardarvi nella lettura ii queste stanze potrete comprendere meglio ciò che intendo dire.

A voi, amiche dilette e amici cari, come sempre, con amore


M.P.






A un amico, poeta


Avrei scritto, a questo amico mio caro,
del prato, e del declivio punteggiato
di viole su cui ruzzavo inquieta
quand'ero una cosetta tutta gonna
a pieghine, calzini arrotolati
alle caviglie, ginocchia sbucciate.

Avrei scritto, con tenerezza, di quando
con i capelli a coda di puledra
m'impigliavo nei pruni che esploravo
in cerca di funghi e di quei lamponi
che avevano giusto il rubino turgore
delle mie labbra, vergini ancora.

Avrei scritto, all'amico, di quando mi levavo
per vedere l'alba colorare di pesca
le guance del cielo, e la brezza danzare
con le festuche e le gramigne in cortile,
mentre le tortore con ostentata
compostezza si disputavano l'arena.

Gli avrei scritto dell'aria di cristallo
che respiravo a larghe boccate
nel rampicare a perdifiato la collina
avida di sbirciare dall'altro lato,
mentre lui ch'era allora nella sua trentina
esponeva al vaglio il suo destino.

Gli avrei scritto di fiori, di specchi,
di alghe marine, di voli di api,
di cime inviolate e della loro purezza,
di quei gerani sui balconi, fioriti
come spumeggianti cascate rosso sangue,
ciò che teneva per mano la mia fanciullezza.

Il letterato di certo avrebbe sbuffato,
e arricciato quel suo naso camuso
un po' schiacciato dai troppi anni di studio
e disincanto. Mi avrebbe imputata
questa troppo facile vena, questo
indulgere banale nella memoria.

Quando invece la vita è uno strale
dalla cuspide intinta in curaro amaro,
una volta scagliato trafigge gli anni:
quale memoria ci è di salvezza,
s'è destinata a perire insieme al mortale
che la custodisce nella sua teca?

Al poeta tutto ciò non importa,
al poeta che monta di guardia
a prora della sua goletta,
che fila a vele spiegate su rotte
mai tracciate, verso incerti approdi:
al poeta non cale, la letteratura.

Ciò che conta è navigare, sentire
in viso la cruda frusta del mare,
seguire il gabbiano che si smarrisce
nelle nubi di schiuma all'orizzonte,
ascoltare in rapimento tra le onde
la canzone di qualche disperata

solitaria sirena: quel che conta
per il poeta è essere tale.



Marianna Piani
Milano, 21 Marzo 2015

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