«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

sabato 2 gennaio 2016

Rimane il mare



Amiche care, amici,
prima composizione di quest'anno, un anno nuovo e già pieno di incertezze, di inquietudini, di promesse da tradire, di tradimenti da accettare.
Propositi per l'anno nuovo? Non ne ho, confesso. Potrei sfoderare un poca di retorica o molte nobilissime intenzioni, o anche semplicemente esporre i micro-obbiettivi quotidiani che ciascuno si pone.
Ma si tratta di un rituale ormai consunto. O forse semplicemente sono io a non comprenderne più il senso. In fondo è un innocente passatempo, un gioco di società, quello di tentare di ipotizzare il futuro, ma tanto vale affidarsi, come molti fanno, ai buttacarte, agli indovini da accatto di cui anche i nuovi media pullulano, proprio in questo periodo.
Il tempo è un continuum, cui noi abbiamo sovrapposto una serie di convenzioni, in parte basate su ricorrenze naturali, in parte del tutto arbitrarie. Ne sentiamo il forte bisogno, perché almeno così ci possiamo illudere di "conoscere e quindi controllare" un fenomeno del tutto trascendente come è appunto il Tempo. La verità  - che ci sconcerta e ci sconforta - è che noi nulla possiamo nei confronti del nostro futuro, il nostro "controllo" si limita a una catena di scelte che provocano conseguenze che a loro volta impongono altre scelte, e così via. Gli Antchi lo definivano "Destino".  Noi la consideriamo casualità. In ogni caso è al di fuori della nostra umana volontà.

Per questo mi pare cada bene in questo momento condividere con voi questa mia piccola riflessione sul tempo, il suo ineluttabile trascorrere, il deposito delle sue scorie nella nostra memoria, e soprattutto la riflessione su cosa, di tutto questo, della nostra vita, alla fine ci rimane, una volta che anche il presente più urgente e vivo si trasfigura ineluttabilmente in passato.

La "buttai giù" - questa composizione -  all'inizio di quest'estate, dopo un breve passaggio nella mia città natale, e osservando in quella occasione più che in altre quanto i paesaggi della mia memoria fossero stati ormai sopraffatti, cancellati dal reale e dall'attuale, dal contingente e dal mutamento. Anche qui, in questa città relativamente pigra, piuttosto inerte nel suo processo di evoluzione, se non altro per l'angustia del territorio che la circonda, stretta tra un retroterra arido e pietroso e un mare increspato e geloso.
Cosa ci rimane, al di là del tempo, se non semplicemente ciò che siamo, e il riflesso delle vacillanti immagini della nostra memoria?

Amiche dilette, amici, grazie per essere con me qui per qualche minuto anche oggi, approfitto per un saluto speciale e un augurio di cuore per un anno sereno e con tanto, tanto amore.

M.P.




 


Adriatico





Rimane il mare

 

Non ci sono più - i naviganti.
Non dico quelli dei romanzi
d'avventura, o gli eroi di Melville
o di Conrad, ma neppure quelli
dei racconti e dei narrari famigliari,
i capitani di lungo corso, i nostromi,
i marittimi con una donna in ogni porto
presunto, o immaginario, o sepolto.

E non ci sono più neppure
i pescatori, che da bimba ammiravo
lungo i moli a fissare nere reti,
a sbarcare magre casse di languenti
pesci, dallo sguardo addolorato,
e non c'è più quell'acre odor di morte
confuso alla salsedine e al petrolio
che penetra ogni fiato e ogni scoglio.

Le rare navi, le barche malinconamente
abbracciate le une all'altre, i natanti
da diporto, altezzosi come gabbiani,
tutti paiono ora sospesi in attesa
d'un partire che non può mai più avvenire..
Le strutture grigie dell'antico scalo
hanno occhiaie cave e ossa d'inferriate
arrugginite, come carcasse scarnificate.

 

* *

Rimane il mare: una piana vuota
che si stende all'orizzonte come sempre,
come una promessa di un altrove,
d'un ogni dove, d'un eterno emigrare.
Rimane il pontile, ora in cemento,
in cima al quale in faccia al vento
mi sedevo, senza badare al catrame
che macchiava la mia gonna color panna.

Rimangono i miei piedi giovani, piccini,
a dondolare poche spanne sopra il riflesso
di me stessa su quell'onde emaciate,
su quell'onde indolenti, ammalate,
iridescenti, cullanti alghe morte
in una putredine incipiente, e rimane
la mia mano sopra valve di molluschi,
morti, e i miei occhi persi all'infinito.

Rimane indicibile quel vuoto

di là dall'orizzonte, quel largo arco 
di un mondo che si cela oltre un confine
che non è confine, ma bensì varco,
che non è barriera, è invece ponte.
Rimane il senso di quell'amore,
di quella sete, di quell'ardore
di libertà che il litorale dà

solo a chi vi nasce:
rimane il mare, per mutare,
per saper partire, per comprendere
l'Esilio, per potervi qui morire.


Marianna Piani
Milano, 15 Giugno 2015

  

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