«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»
«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)
«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)
«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)
«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)
«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)
mercoledì 30 ottobre 2013
Notturno estivo
Amiche dilette e amici cari,
ormai la stagione si chiude, con luce livida alla mattina e la notte sempre più precoce, e possiamo soltanto andare con la memoria ai momenti in cui la notte era invece un rifugio dalla luce del giorno, troppo abbagliante e indiscreta. Pare un tempo lontanissimo, e invece, in termini umani, è ancora qui, dietro un angolo di tempo. Andavamo con i nostri vestitini leggeri, sandaletti, o magari a piedi nudi, a cercare la frescura dell'erba del prato. Il calore lasciato dal lungo pomeriggio, dall'orizzonte ancora ardente, era tale da sfociare in torpore, in semincoscienza; perfino il piacere, il desderio di un amplesso d'amore era vinto dall'umidità pesante dell'aria, dalla stanchezza, dalla anestesia dell'afa.
Ricordo che, quando scrissi questa composizione, erano le notti delle stelle cadenti. Ero in quei giorni, fortunosamente, ospite al Lago, nella cornice di serena bellezza che un poco già conoscete da altri miei scritti. Ero uscita, dopo la cena, nel grande terrazzo del retro, che dà sul giardino, e si affaccia verso il lago.
Lassù non c'è quasi notte nell'anno che non sia fresca. Per questo mi coprii le spalle con un plaid azzurrino e mi misi ad aspettare paziente, il naso in aria, forse però nella direzioni sbagliata.
Perché ne vidi poche, di stelle filanti (ricordo anni addietro quante invece ne vidi: ero allora sulle colline dietro Vicenza), ma ebbi qualche ora tutta solo per me, circondata dal silenzio intenso della campagna, popolato di sospiri, di brusii, di insetti invisibili o che facevano ressa attorno ai lampioni, e di pensieri…
Ecco, semplicemente catturai al volo questi pensieri, ordinandoli in versi, che ora condivido con voi, come sempre, con amore.
M.P.
Notturno estivo
Forse mi sono assopita
senza percepire il torpore
che mi cingeva suadente
le spalle.
Non avrei voluto,
poiché desideravo udire cosciente
il silenzio che s'impossessava
dei giardini e degli orti,
stendendo il suo velo
come un sudario di lino
sopra inanimati oggetti
e i viventi.
Il frinire a distesa degli insetti
non lo ledeva, questo silenzio,
così come era sempre silenzio
il sommesso stormire
delle gramigne al vento,
e il remotissimo sciabordio
delle onde vaghe del lago,
e i richiami furtivi delle civette.
Avrei voluto anche avere allora
la tua mano, indolente,
abbandonata sul mio grembo,
come per farsi ammirare.
E io infatti l'avrei ammirata
e venerata, come una reliquia,
come una benedizione santa,
l'avrei adorata, sensualmente,
in quella pace, senza clamore.
Con candore. Allora assopirsi
sarebbe stato come lo scivolare
d'una barca sullo specchio
quieto del lago, facendosi largo
tra i riflessi baluginanti dei lumi
come dentro una galassia di stelle:
stelle sotto la chiglia
e stelle sopra di noi così vicine.
E io che avrei voluto
afferrare la stella più bella –
confusa –
non avrei saputo se rubarla lassù,
oppure semplicemente
tuffare la mano nella corrente.
Ingannevole ombra notturna!
. . .
La mia vera stella sarebbe stata
già qui accanto a me,
a osservarmi inquieta
dai tuoi fiammanti occhi:
intanto in assoluto silenzio
guarda! una Perseide fanciulla
sfuggita alle braccia del Dio,
riga il cielo di luce...
come fa una lacrima
quando riga il tuo viso.
Marianna Piani
Nebbiuno, notte del 11-12 Agosto 2013
domenica 27 ottobre 2013
Fogli volanti
Amiche care, amici,
una settimana fa avevo espresso l'intenzione di abbandonare la frequenza usuale di tre composizioni nuove per settimana, e di iniziare a pubblicarne soltanto due.
Ma che fare, ho pensato di non essere avara, almeno questa settimana ancora. Non ho sentito del resto in proposito abbastanza commenti da parte vostra per sentirmi di prendere una decisione definitiva.
Oggi vi lascio in compagnia di questa grigia serata domenicale - in cui, complice il passaggio all'ora "solare" ci siamo trovati tutti tra le tenebre in modo quasi inaspettato - con una cosetta che compitai ancora in piena estate, a proposito dello scrivere, e di quanto sia illusorio, in confronto, il nostro credere di essere vive, vitali. La vita, per una come me, trascorre tutta attraverso la scrittura, è la sua scrittura stessa. Ma nessuno sa, ora, nessuno può prevedere se questa scrittura è destinata ad attraversare le barriere del tempo, oppure se non sarà che una effimera fiammella di candela, spenta anzitempo dalla tempesta in arrivo.
Buona, dolce serata, amiche mie dilette e amici cari, vi lascio queste riflessioni, come sempre, con amore.
M.P.
Fogli volanti
Essere di carta, sottile come l'illusione
di aver colto un sogno tra mille di quelle stelle.
Carta srappata da un quaderno di pensieri
e devozioni: meno rasserenata, meno rassegnata
dell'essere soltanto uno sbuffo di follia, imprigionato
in una teca di cristallo, come una farfalla
ridotta dall'etere a un frammento di fiamma.
Fossi io quella farfalla, sceglierei di morire.
Non potrei sopportare un solo istante di impazzire
sbattendo frenetica l'ali contro un trasparente diaframma
fino a spezzarle, a renderle monche, prive
di ogni facoltà di sorreggermi al di sopra del mondo.
Inanimata farfalla di carta, è invece, ritagliata da un foglio
fitto di scritte parole, pensieri che attendono il volo,
sollevati da una folata primaverile, assieme ai pollini
pronti alle nozze, o alla polvere dei sentieri.
Un foglio volante danza, anche a lungo, in grazia
della sua impareggiabile leggerezza, prima di lanciarsi
senza più vita giù nel vuoto. Verrà poi forse
chi amo, e rinverrà il mio lascito, sgualcito,
impigliato tra le spine del roveto, in faccia al mare.
Allora - leggendo - forse alla fine mi amerà,
non sospettando mai quant'io in vita l'abbia amata
e desiderata, celandomi dietro un silenzioso timore.
Carta, non voce, rimarrà di me nella memoria
di chi mi ama. Solo un foglio, e poche smarrite parole.
Marianna Piani
Milano, 9 - 10 Agosto 2013
sabato 26 ottobre 2013
Filo di un ragno
Amiche dilette, amici,
passeggiando, all'alba - oppure correndo, nel parco...
Se lo fate - e, sì, io lo faccio, ma non tanto per motivi salutistici, quanto per rimanere con me stessa e i miei pensieri, prima che la giornata, il lavoro, le persone, le ansie mi aggrediscano - sarà forse capitato anche a voi: lungo i sentieri ancora inviolati - siete verosimilmente le prime a passare da lì, dalla notte appena trascorsa - incrociate un invisibile filo di seta, teso da un ragno da una parte all'altra del cammino, da un ramo all'altro delle piante che costeggiano il vialetto che state percorrendo. Ve lo sentite all'improvviso sul viso, oppure sul petto, o tra i capelli che fa una breve resistenza, prima di spezzarsi con un lieve "tic" e di venirvi dietro solleticando la pelle. Di solito si tratta del primo filo teso da un ragno, con l'aiuto del vento, il primo supporto su cui poi intesserà la sua tela. Teso nel posto sbagliato però, perché destinato ad essere troncato dal primo - umano o animale - di passaggio. Come infatti prontamente avviene, e stavolta (come tante altre) sono stata io l'esecutrice incolpevole del compito.
Una piccola composizione, un disegnino a matita sul taccuino, una riflessione su quant'è fragile la trama che con ostinazione tentiamo di fabbricare tra un ramo e l'altro della nostra vita…
Ve la offro, amiche care e amici, e sempre con amore.
M.P.
Filo di un ragno
Come la brezza dell'alba spinge –
ondeggiante aerea barcarola –
un minuzioso geometra del vuoto,
acrobata al trapezio di un sogno –
il minuscolo ragno dalle zampine
fini come ciglia di bimba, oscillando
da una sponda e l'altra del sentiero
a tendere il suo filo, un singolo filo
come una bava di luce illusoria,
lunga, quasi infinita, dal di qua
al di là della vita.
Per ore e ore in balìa del sospiro
del vento di maggio, che discende i colli
traversando i boschi ancora intorpiditi
recando le fragranze della resina d'ambra
e delle pozze putride di foglie morte
dell'inverno. Lunghe, infinite ore,
con infinita pazienza, senza cibo
né bere che non sia la nebbia della notte:
in attesa che una folata più grata
commisurata alla seta fino allora filata
lo spinga al ramo di bosso, di là, al futuro.
Ne gioirà allora, a buona ragione:
per la prima volta vi sarà un filo
a unire i due lati del bosco, un filo
teso come una promessa dal ramo
d'un pioppo al colmo d'una siepe
colmando un vuoto, creando un sottile
tenace legame, una corda di liuto
che vibrando trasmette i segreti,
la saggezza profonda degli elfi
o degli spiriti elusivi della foresta.
Quanti sogni da assicurare a quel filo,
quanti progetti da tessere, sospesi
a mezz'aria, senza quasi peso,
quante geometrie spezzate o continue
pensate a intercettare lo spazio
sotteso da quella linea finissima,
appena appena visibile!...
La cerva, o forse è una giumenta,
che percorre il sentiero poco dopo l'alba,
nulla sa di tutto ciò, come non ne sa nulla
un Dio immortale, trascendentale, ignaro
del filo mortale dei nostri pensieri.
Passando, incolpevole, senz'intenzione,
lo tronca.
Terminando ogni nostra illusione.
Marianna Piani
Milano, 30 Luglio 2013
mercoledì 23 ottobre 2013
Ritratto di figura
Amiche dilette, amici,
Mi piace, di quando in quando, dedicarmi al ritratto. Si vede che è l'influenza della mia prima professione: io in fondo sono una "lavoratrice dell'immagine" nella mia vita di ogni giorno, e penso che questo si riscontri un poco nella mia scrittura. E il ritratto poi è un genere "nobile" dell'arte figurativa che io adoro, da sempre. Non lo pratico realmente nel lavoro, in realtà, poiché io sono una illustratrice "cartoon" e grafica, e non una pittrice, ma mi "sfogo" quando posso nella scrittura.
A volte si tratta di ritrattini "dal vero", una specie di "life drawing" di persone che mi vivono accanto. A volte invece sono ritratti della memoria, in cui il soggetto non è più fisicamente presente, per un qualunque motivo, nella mia vita. In altre occasioni infine, come in questo caso, si tratta di ritratti "immaginari" in cui il soggetto è una persona di cui magari conosco poche immagini, forse anche nessuna, ma ne conosco invece bene il pensiero, le parole, i racconti.
La parola, espressione del pensiero e dell'emozione, è così potente, e i ritratti che ne risultano non sono meno verosimili e somiglianti di quelli ripresi direttamente dal vero.
Mentre nel ritratto dipinto prevale la materia, il colore, e l'abilità di piegarla e modellarla alla propria sensibilità, nella scrittura si plasma la sensibilità stessa, l'impressione e l'emozione sono tradotte direttamente in concetti e immagini.
Proprio per questo mi piace questo esercizio, per quanto difficile e rischioso sia (come del resto lo è ogni forma di ritratto, in ogni forma di espressione artistica), e mi ci dedico sempre con passione. E di solito le persone così ritratte ci si riconoscono, ritrovano tratti non tanto del loro aspetto, quanto della loro personalità.
Scritta di getto, questa composizione, a suo tempo indirizzata e dedicata a Simona, che l'ha ispirata, ora la condivido con voi, amiche care e amici, come sempre, con amore.
M.P.
Ritratto di figura
Non è difficile cogliere
con gli occhi del pensiero
lo sguardo, il volto d'una amica
anche se inaccessibile e fugace.
Sguardo chiaro, il suo, che indaga
il mondo, pupille di cristallo
che indugiano soltanto
quando rifrangono bellezza.
Il volto affilato di chi offre audacia
poiché cerca in ogni cosa verità,
e le labbra dolcemente arcuate
come chi voglia bere vita dalla vita.
Come fosse un vino aspro
delle colline delle Langhe, oppure
dolce come le mele di Romagna:
vino di cui godere piena la franchezza.
E il vento sospira di passione
quando fa l'amore coi suoi capelli,
violenti come fiamme d'un incendio
languidi come alghe tra i coralli.
Lei al vento toglie il fiato
immergendo le dita tra la spuma delle chiome
per governarne un poco la follia:
mani snelle, femminee affilate unghie,
scarlatte come squame di sirena,
oppure color smeraldo come un diadema.
Non è vanità, non è orgoglio, non è sfoggio
l'anellino che le adorna la falange:
un solo brillantino dà viva luce al cerchietto.
Soltanto intensa meraviglia ormai
nasconde l'alba. Distante, l'orizzonte
nebbioso aleggia, turbato, innocente.
Vedere è immaginare, immaginare
è scoprire. Scoprire è conoscere
ciò che alla vista sola e agli specchi
è celato, come un segreto, inviolato.
Marianna Piani
Milano, 21 Luglio 2013
Dedicata a Simona
domenica 20 ottobre 2013
La tua moto, e te
Amiche care e amici,
sto meditando di ridurre le mie "pubblicazioni" settimanali a due, anziché tre, non per carenza di materiale, anzi: grazie al mio abito di lasciare "decantare" in quarantena tutte le mie composizioni prima di "rilasciarle" nel mondo ho un buon numero di "inedite" che attendono il momento di essere pubblicate. Inoltre personalmente non ho alcuna fretta di "pubblicare", sono convinta che quanto più tempo passa dal momento della prima stesura, quanto più lontana sono dal momento e dall'emozione che ha scaturito una certa "ispirazione", tanto più obiettiva e severa sarò nella revisione (ed anche eventualmente nell'eliminare tout court) di una certa composizione.
Il motivo vero è nel rispetto che nutro per voi e per la vostra preziosa attenzione. Non voglio stancare, vorrei che fosse un appuntamento consueto, per chi lo volesse, ma non un noioso ripetersi.
Non so ancora se lo farò, né se, nel caso, lascerò l'appuntamento al sabato oppure alla domenica. Riserverò il "terzo appuntamento" eventualmente alla pubblicazione di qualcosa di "fuori programma", oppure di una "serie" - come è stato con "Sensi": sto proprio lavorando ad una di queste "serie", da un po' di tempo, anche se al momento mi sono un poco arenata.
Naturalmente continuerei con le mie traduzione al ritmo consueto, se pure non è facile trovare ogni giorno il tempo per dedicarmici, dal momento che le traduzioni non le copio, ma le faccio io integralmente da zero.
Mi piacerebbe conoscere il vostro parere su questo, se voleste intervenire, qui oppure su twitter: vi andrebbe bene un "appuntamento poetico" bisettimanale, con la sottoscritta?
Qual'è la serata che andrebbe meglio per voi, quella del Sabato, oppure della Domenica?
Comunque per oggi ho per voi questa breve composizione, che è semplicemente, con totale innocenza letteraria, una dedica da innamorata all'immagine dell'amore insorgente. Non badate al "genere", vi prego: ero tentata addirittura di "sterilizzare" questo aspetto, ma mi è sembrato disonesto, nei miei e nei vostri confronti. Soltanto desidererei, come in tutte le mie composizioni, che ognuna di voi, ognuno di voi immaginasse l'amore per come egli lo sente più vicino a sé, uomo, donna, ragazzo, ragazza. L'amore non ha genere, mai.
Ad ogni modo dedicai, appena composta, a un'amica, di cui per discrezione non menzionerò il nome, e al suo sogno di vita.
Ora la condivido con voi, amiche preziose, come sempre, con amore.
M.P.
La tua moto, e te
T'ho vista arrivare sulla tua motocicletta,
verde come l'elitre d'uno scarabeo,
duecentocinquanta bicilindrica duetempi,
voce ruvida, roca, avida, freni duri
come pietre di quarzo, hai bloccato
a mezzo metro da me.
Hai levato il casco, ancora strette le gambe
al serbatoio, e la cascata dei tuoi capelli
color del rame è sbocciata, assieme
al tuo sorriso rosso vermiglio, una fiammata
che ha travolto il mio cuore, fermandone il battito
assieme a quello del tuo motore.
A tenermi in vita bastava il tuo sguardo
di puro smeraldo, caldo come un braciere.
Non riuscivo a sentirti, mentre serena dicevi
cose qualunque, così incongrue a confronto
dell'eccezione che eri, fasciata in quella tenuta
che ti stringeva il petto, generoso
tacitamente in attesa di congiungersi al mio
appena scendesse la sera. Ma intanto
avevi la strada nelle pupille, la velocità
nel respiro, e mi narravi di mirabili mete
cui volevi condurmi, subito, ora, assieme,
fino a varcare i confini dell'orizzonte.
Sarei saltata, così com'ero, dietro a te,
avvinghiandomi al tuo busto, poco più grande
del mio, nervoso, impaziente, e sarei venuta
ovunque mi avessi portata, inclusa la fuga,
inclusa la morte, incluso l'oblio...
Che disdetta però, dovere indossare il casco!
Avrei appoggiato la mia guancia alla tua nuca:
volando a centocinquanta, sui rettifili del mondo,
o lanciandoci in pieghe del tutto folli, le nostre chiome
impazzite nel vento si sarebbero avvinte
tra loro, inestricabilmente, e non ci saremmo
mai più, mai più liberate.
Marianna Piani
Milano, 22 Luglio 2013
sabato 19 ottobre 2013
Essere ragazze
Amiche dilette e amici cari,
ho scritto questa pagina in una sera estiva, mentre il sole tardava a tramontare su un'orizzonte insolitamente ingrigito da una foschia densa, direi troppo densa per la sagione.
Forse era l'umidità del lago, suscitata dalla giornata calda e lunga. Mi impigrivo nei pensieri e nelle azioni, mi sentivo stanca, ma forse per la quieta immobilità dell'aria e il silenzio, mi sentivo bene, rilassata. Non so se sia mai capitato anche a voi, amiche, di quegli istanti in cui ci si sente "belle". Osservavo i miei piedi, le mie caviglie, le mie mani, e mi apparivano quelle di una donna di discreta, non squillante ma serena bellezza. Non mi occorreva uno specchio, era un sentire dall'interno.
Su queste sensazioni ho avuto voglia di scrvere un qualcosa, per esprimere il mio orgoglio, le mia intima gioia di essere donna. È un sentimento questo che ho osservato in molte donne, che me l'hanno confidate, mentre trovo rarissimo che un uomo sia e si dichiari fiero semplicemente del proprio essere un uomo. Forse la troppa assuefazione - millenaria - al potere, al predominio, alla predazione, spinge un uomo a considerassi di per sé in cima alla scala dell'universo, per cui ciò che cerca, ciò che lo rende fiero è sempre al di fuori di sé stesso: danaro, donne, conoscenza, cultura…
Noi no, molte di noi almeno, e io sono tra quelle: da qui il bisogno di essere e di sentirsi bene con sé stesse, il bisogno di sentirsi e di essere belle.
E da qui la nostra sfida contro il tempo. Che non è dominata dal timore, ma anzi, è la introspezione della giovinezza e il superamento della propria corruttibilità.
Da questa "sfida" proviene il seme di questa composizione, scritta nel tono dell'ode.
A volte mi dà piacere srivere versi ampi, larghi, come abbracci. A volte preferisco servirmi di un eloquio disteso, senza scosse, senza enigmi, che qualcuno definisce con distacco "prosa", ma che per me è più "poetico" che mai…
Questo è uno di quei casi.
Per voi, amiche care, e amici, con amore
M.P.
Essere ragazze
Splendide ragazze, appoggiate con nonchalance
al parapetto della giovinezza, bellezze sbocciate
irrorate dalla freschezza del mattino, che vi sarà radioso,
morbide fattezze e un che di languido e distaccato
nell'incrociare le lunghe nervose levigate gambe
pronte ad affrontare il giorno e l'intero mondo
con spavalda rettitudine e passo saldo e svelto.
Capelli lunghi come un fiotto d'oro e miele, oppure
brevi, neghittosamente scuri, come un mistero;
il petto eretto come un proteso inespugnabile
baluardo di desiderio e grazia, generosi fianchi
tesi dall'angolo severo del bacino, come vele; e occhi –
Oh, i vostri occhi fieri e timorosi al tempo stesso
come di caprioli al limitare della radura
vogliosi del trifoglio e della menta dell'aperto spazio,
tediati dallo spinoso folto della boscaglia, titubanti al balzo,
ma già risoluti a farlo. Potessi abbracciarvi tutte
come un fascio di tulipani e portarvi via con me,
nel mio giardino, sotto la pergola, al riparo!
Fui del vostro branco, or non è molto: come voi
superavo le più austere siepi d'un solo balzo,
possedevo membra esili e tenaci come giunchiglie;
diffidente di me stessa, non temevo al mondo nulla,
nulla sapevo della mia bellezza fuorché l'audacia,
nulla m'importava della concupiscenza che s'aderiva
come fanghiglia alle mie membra e ai miei seni acerbi.
Come voi ignoravo della vita – e sprezzavo della morte –
ogni cura, poiché a quel tempo la mia anima si teneva
d'essere immortale, inossidabile metallo: poi ch'ero Ninfa
tra le Ninfe, e come tale m'era del tutto ignoto il tempo.
E senza averne alcun sentore, di questo tempo mio
facevo scempio, con l'innocenza atroce che hanno i bimbi
nello straziare le ali alle mosche per candido diletto.
Discendevo le scalinate e i ripidi vicoli del colle a balzi brevi
nel mio abitino corto color del vento, ignorando del tutto
d'essere allora tanto a un angelo gemella quanto
lo era una nube sopra il mare, infiammata al sole del mattino.
Venne poi l'angoscia, vennero gli affanni, e venne intero
tutto il senso della morte come fine e come inizio d'ogni cosa.
Il mio sensuale arbitrio schiacciato dal gravare dei ricordi.
Poiché memoria è ciò che rende noi testimoni vivi
dell'ineluttabile corrompersi della vita e della bellezza
dentro l'occhio del turbine del tempo.
Non ho tuttavia rimorsi, né rimpianto:
ho appeso la mia veste e il suo candore ai rami della pianta
e ho smesso di danzare. Poiché
mi rimane sempre il canto.
Marianna Piani
Stresa, 17 Luglio
Milano, 18 Luglio 2012
mercoledì 16 ottobre 2013
Come la libertà dell'acqua
Amiche dilette, amici cari,
Nell'ultima mia "letterina" qui pubblicata (detesto il termine "post" - e ancor più l'orribile derivazione italiota "postare") sono stata un pochino greve, ho "alazato un poco la voce" per così dire, o meglio, ho lasciato che la alzasse in mia vece un personaggio immaginario, un poeta.
Non sono dispiaciuta di averlo fatto, perché si tratta di argomenti che mi stanno molto a cuore e su cui ho delle opinioni molto chiare e nette, e anche perché queste parole mi hanno procurato una nuova ed interessante amicizia, iniziata polemizzando, ma poi risolta nel riconoscere il comune amore per la poesia che, da fronti apparentemente distanti, se non opposti, ci ha mosso.
Oggi, nuovo giorno di pubblicazione per me, secondo l'accordo che ho stretto con tutti voi, voglio essere più leggera, più serena.
Per qesto vi propongo una lirica che ho composto qualche tempo fa dedicandola - come faccio spesso - a un'amica, che ultimamente non incontro spesso, ma che ricordo sempre con grande e intatto affetto.
Sapete, vi sono persone, vi sono donne che hanno tutta la bellezza, la chiarezza, la lucentezza dell'acqua.
E soprattutto dell'acqua hanno la libertà, l'imprevedibilità - e l'imprendibilità. E la spavalderia dell'intelletto. Sono persone di cui puntualmente mi innamoro.
Perché l'acqua per me è il mare che mi ha visto nascere, è il lago cui dedico i miei pensieri più intensi, sono i torrenti che mi fermo ad interrogare durante le mie escursioni in montagna. Perché adoro, infinitamente adoro gli spiriti liberi, quelli che non si fanno mai ingabbiare, quelli che sono sgombri da pregiudizi e da preconcetti, quelli che rinfrescano la mia mente con la loro intelligenza, che dissetano la mia arsura con l'affetto e la dolcezza.
Maria Elena, senza dubbio, è una di queste persone.
Ecco, dedico a lei questi versi, e li condivido con voi. Con amore, più che mai
M.P.
Come la libertà dell'acqua
L'acqua non ha forma, l'acqua scorre,
l'acqua è libera, l'acqua è come la tua mente,
mia cara, è fluente, è cristallina, trasparente.
Non si ferma, non s'impiglia, non rallenta
insinuandosi tra i canneti della riva,
non indugia ad attendere il viaggiatore,
che la osserva da molte ore sopra il ponte.
Non si afferra, l'acqua, non si cattura
a mani nude, non la s'imprigiona né si confina
tra le pietre di una diga, o un argine di fango.
L'acqua sfugge, l'acqua fugge, si divincola
gonfiandosi di schiuma e di rabbia,
s'insinua e filtra tra le dita più serrate,
svapora se una vampa la riscalda.
Può stagnare immota al fondo delle rogge,
intorbidirsi lambendo il limo degli acquitrini,
morire nelle pozze dei sentieri e nei solchi
scavati dalle ruote dei trattori e dagli aratri.
Oppure precipitare dalle rupi nei canaloni
polverizzandosi in iridati veli sopra i pini.
Eppure, sempre, libera sgorga dalla roccia.
L'acqua, questa acqua, non la si può neppure
raccogliere in una coppa, se non in quiete,
di soppiatto, badando che non tracimi
una sola goccia. Tu così disseti il mondo
con la bellezza pura della tua mente
e la saggezza antica della tua bellezza,
tu, fiume di forza e di luce e di pensiero.
Viva è l'acqua com'è viva la tua grazia,
mobile com'è mobile il tuo sguardo
sopra le cose e il mondo e il sole
e il cielo punteggiato di galassie,
libera inafferrabile insopprimibile è l'acqua,
indispensabile alla vita stessa così com'è
indispensabile la scintillante tua sorgente.
Marianna Piani
Dedicata a MariaElena
Milano, 14 Luglio 2013
domenica 13 ottobre 2013
Non millantate Poesia!
Amiche dilette, amici,
Questa composizione è un piccolo sfogo personale, è un discorso pronunciato alzando un poco il tono della voce, perdonatemelo, concedetemelo. Avevo voglia di dire alcune cose, in parte già tema di una mia composizione analoga presente tra queste pagine: "Facile è la Poesia".
Troppe volte ho incontrato sul mio cammino certa scrittura che si ammanta del titolo di poesia, ma che di questa non ha che la forma, a volte neppure quella. Nulla da dire, ognuno è libero di scrivere e pubblicare ciò che vuole, come meglio crede, e nella misura che i suoi mezzi culturali, di padronanza linguistica, e di talento gli consentono.
Tuttavia, troppo facilmente si concede la definizione di poesia e poeta senza veramente comprendere che si tratta di una delle espressioni dell'intelletto umano più complesse, profonde, fragili.
E allora si leggono pagine e pagine di vuoto "divertimento", ma senza gioia o umorismo, lamenti per dolori mai provati, grida e cacofonie a celebrare emozioni affettate, eccessive, anche schiettamente false.
Oppure, all'estremo opposto, incunaboli indecifrabili, puzzle di parole senza senso, enigmistica o aritmetica grezza, senza un'anima, prendi un certo numero di sillabe, poi le incroci secondo questo schema, fai una capriola, aggiungi una rima…
Quante volte ho incontrato "poeti" o "poetesse" improvvisate, non in quanto "dilettanti" - in poesia ognuno è dilettante, anche Montale lo era, o Dickinson - piuttosto persone troppo preoccupate a ben figurare, a pavoneggiarsi come se una poesia fosse un bell'ornamento, un ninnolo da esibire agli amici, come un paio di scarpe o un abito di alta sartoria da sfoggiare.
Tutto ciò non è poesia, è qualunque cosa vi pare, ma non poesia. Ben altro, ci vuole: studio, sofferenza, lavoro, ricerca, fatica... Come spesso dico, la Poesia non è diletto: è necessità.
Offro questi pensieri alla vostra riflessione, al vostro ascolto. Con amore, come sempre.
M.P.
Non millantate Poesia!
“Cosa sapete voi giovinette fiorenti
e anziani insoddisfatti, che giocate
con le parole come fossero
zimbelli e pezze di sapienza,
cosa sapete della autentica voce
del dolore, cosa sapete delle ferite
che piagano la mente, e del canto
eloquente che ne emana?”
Così disse inveendo il poeta
stanco di tanto vociare, tediato
dal brusìo di mille frasi e versi
sprecati senza armonia,
o liturgia, o umiltà, o incanto.
O verità, o sostanza di vita.
Egli sapeva che ogni parola
che fosse autentica e sincera
sgorgava solo dal fango, dal muco,
dal sangue, dalle lacrime
d'un acuto rimpianto,
e che era forgiata a nude mani
come un'anfora d'argilla
tornita sul vortice del tempo.
Egli sapeva che le parole
andavano lasciate torrefare
alla fornace del sole
perché prendessero
il sapore acre del perdono,
perché assumessero consistenza
della pietra, e serbassero in eterno
immutata la forma, e la bellezza.
Egli sapeva che ogni parola
era un'anfora d'argilla impietrita al sole
il cui ventre ne custodiva il senso,
oppure il nonsenso. Come un vino
di Sicilia, sigillato a ceralacca
per reggere il viaggio oltremare
fino a empire la nostra coppa protesa
come un saluto innalzato al cielo,
e a quanto di più di terreno sia
tra l'amore carnale, e quello spirituale.
Dodici anfore compongono una frase,
novanta occupano una stanza, e novecento
sono già poema. E il poema è una nave
che trasporta nelle sue stive il pensiero
lungo rotte verticali, verso remoti ormeggi.
Egli sapeva, sapeva tutto questo,
e sapeva che il suo viaggio
era ormai prossimo a finire.
Non se ne doleva, desiderava soltanto
che si facesse intorno
e dentro a sé il silenzio, finalmente.
Basta voci, basta parole, basta brusii,
basta canti vani, basta nobili pensieri
tradotti in versi, basta docili fanciulle
bennate e aggraziate che danzano sulle punte
dei loro esili tormenti, basta tenerezza,
basta assonanza, basta rima,
basta compunti vecchi
che si atteggiano a sapienti.
Egli sapeva quanto
tutto questo fosse falso
intollerabilmente, e quanto effimero
ineluttabilmente intanto fosse
il tempo suo rimasto in terra,
troppo permeato di dense foschie
e di tradite speranze.
Alzò la voce, per la prima volta
nella sua vita, dal fondo oscuro
del suo intollerabile disagio.
Provava angoscia ormai a udire
e leggere pensieri di mortali
millantati per scampoli di Poesia.
Dio mio! La Poesia
non è forma, non è misura,
non è nemmeno suono.
Non è serena meditazione di natura,
non è compiacimento, non è esibizione
di bravura, non è virtuosismo della mente.
La Poesia scava direttamente
passaggi, gallerie nella roccia del dolore.
"Che ne sapete giovinette insoddisfatte
della vostra vita agiata,
uomini che fantasticate
la fanciulla acerba
che a voi mai si concesse,
che ne sapete della durezza
del granito di questa roccia?
Tornate ai vostri venali affanni,
alle vostre svagate cure e cupidigie,
ai vostri desideri stanchi.
Tacete, per amore del cielo,
chiudete i quaderni e vivete
onestamente
solo il tempo che vi compete!"
Così disse, e poi tacque, per sempre:
tacque egli, poiché nessuno volle tacere.
E lasciò che l'abbracciasse il nulla.
Tutto il resto fu scrittura.
Marianna Piani
12 Luglio 201
sabato 12 ottobre 2013
Paola Ombrosa
Amiche care, amici
Poco posso dire di questa composizione. Solo che è dedicata ad un'amica cui tengo molto, composta in seguito a un dialogo che abbiamo avuto a suo tempo.
Paola è un'amica speciale, e non solo perché porta un nome cui sono molto, molto legata per motivi personali (lei lo sa), ma perché lei è in sé una persona assolutamente unica.
Mi ha aiutato molto, con la sua presenza, in alcuni dei miei momenti di buio pesto, e mi ha infuso un poco del suo coraggio, di vivere con orgoglio, da donna salda, diretta, sincera. Lei ed io siamo differentissime, di pensiero, gusti, opinioni, stile, ma ci siamo sempre ritrovate, su ciò che conta. Abbiamo bisticciato, perfino, amabilmente. Ma mai lasciato di stimarci, e, sì, volerci bene.
Artista, Insegnante, donna di scienza e di poesia, cose che apparentemente hanno poco a che fare tra loro, ma che invece sono come parte di un'unica pianta. Donna bellissima, anche, e di pronta vivida e pungente intelligenza, ricca di interessi, curiosità, di cultura. Come faccia a seguire tutte quelle cose, per me è un mistero.
E... va bene, mi sono conquistata di certo i suoi rimbrotti, vi assicuro sinceramente infastiditi, ma non m'importa (scusa cara). Occorre un minimo di verità, se si compone un'ode…
E infatti lei è (anche) una peronalità difficile, "ombrosa", sì, come tutti i purosangue.
La dedico a lei ovviamente, questa canzone, e la condivido con voi tutti, amiche dilette e amici, con amore.
M.P.
Paola Ombrosa
Che dici? Che sei oscura?
Che sei scostante?
Io dico che sei oscura,
è vero, com'è oscura
la foresta in cui m'addentro
titubante, col cuore in gola.
Ma non per paura: a ogni istante
il sentiero svolta, verso una radura
o uno stagno trasudante di foschia
al levar dell'alba, ogni svolta
è un'avventura per chi ti ama
abbastanza da osare il viaggio.
Io ti dico ombrosa
come la chioma di una quercia
immensa sotto cui riposare.
Oppure ombrosa come lo è
una giumenta libera e selvaggia,
ribelle a qualsiasi cavezza.
Dico, sei scontrosa
quant'è scontrosa questa rosa
del mio giardino, tanto bella
e rossa fiamma da lasciare
senza fiato, e da colpire a spine acute
chi coglierla vorrebbe a tradimento.
E ti dico permalosa...
quant'è permalosa una tempesta
che piomba improvvisa sui velieri
che incrociano le rotte
degli antichi bucanieri, per insegnare loro
che non si sfidano impuniti i venti.
Come dici? Sei scostante?
Sei costante, invece, sei esatta
com'è esatto il dardo sul bersaglio,
sei precisa come una clessidra
in cui scorrono protoni
anziché comune sabbia.
Ma ciò che sa chi veramente t'ama
per tutto questo, è quale turbine di forze
agitino quegli atomi tuoi inquieti,
quale caos di venti folli e sfuggenti
scateni quella tempesta,
quali grovigli di rami celi la foresta.
Ti dici oscura, ti dici scostante,
ma ti ribelli vigorosamente
a ogni laccio, a ogni legaccio,
a ogni steccato, a ogni giudizio
che sia prigione al vero
e che lasci fuggire il falso.
Chi sa amarti, non ama soltanto
questa donna di bellezza chiara
e fiera: ama avventurarsi trepidante
nel tuo pensiero, ama il tuo orgoglio
e la candida tua veste
di Vestale di ciò che è bello e vero.
(Per Paola)
Marianna Piani
Milano, 22 Giugno 2013
mercoledì 9 ottobre 2013
Tu, non sei me!
Amiche dilette, amici cari,
no, no: "lei" non è me. Devo ripetermelo spesso, per non perdermi, sapete...
"Lei", è parte di me, mi appartiene come mi appartiene il mio dolore, si riflette assieme a me nello specchio, però... non sono io!
Io soffro di una malattia che qualcuno chiama "dissociativa", è un poco come se vi fossero due personalità, ben distinte, due persone insomma, ciascuna con la sua volontà, la sua percezione della realtà, la sua interiorità, il suo bisogno di sopravvivere - due persone che configgono all'interno del mio esistere quotidiano, che per questo ne è devastato.
La prima delle due "persone" sono effettivemente io, quella che qui vi scrive e comunica, quella che ha sviluppato una propria capacità di adattamento alla vita, quella che vedete ogni giorno scendere nel mondo, uguale a tante altre ragazze e donne, con i suoi desideri, i suoi sogni, la sua voglia di vivere, di sentirsi bella e desiderata, e amata.
L'altra è oscura, sotterranea, indomabile, soffocata dal disagio e dall'inadeguatezza, sopraffatta dall'angoscia, incapace di trovare un equilibrio e un senso a sé stessa, incapace di adeguarsi o anche solo di accostarsi al resto del mondo reale. Fugge, sfugge, si nasconde in anfratti bui, graffia come una gatta selvaggia se viene accostata, piange e grida, dispera di poter respirare...
Questa "altra" me è la malattia, è l'abitante ingombrante e totalizzante della mia anima, è il fantasma che mi segue ovunque, invisibile ma sempre pronto ad esplodere, a tracimare, a sopraffare l'altra me e ad impossessarsi del regno intero della mia esistenza. È ciò che i medici, i farmaci, i trattamenti a volte pesanti e dolorosi, cercano di battere ed estirpare, non sempre con sufficiente efficacia, a volte purtroppo provocando controreazioni e ricadute selvagge ed incontrollabili.
È tutto questo, è inevitabile, è imprescindibile da me, ma no, non sono io!
La mia lotta, sapete, è quotidiana, e occorre, quotidianamente, farmi convinta di questo, ripetermi e ripetermi continuamente questo pensiero. Ristabilire, ogni giorno, giorno per giorno, minuto per minuto l'integrità stessa della mia personalità.
Anche a questo "mi serve" la Poesia, il leggerla, il frequentarla, l'osare scriverla. Forse è il farmaco più potente a mia disposizione, sapete. Per questo dico spesso che scrivere per me non è diletto, non è piacere: è necessità.
Perché la Poesia mi consente di guardare negli occhi me stessa, e di condividere la mia vita con voi, amiche care e amici, con amore.
M.P.
Tu, non sei me!
Tu, non sei me: tu che quando la notte avanza
nel cavo delle sue orme, mi vieni a visitare,
non attesa, non grata, al capezzale di infinite veglie,
e mi afferri i polsi con le tue mani che paiono metallo
per quanto sono fredde, e salde, e strette da sanguinare.
Non sei me, tu che avvicini le tue labbra alla mia bocca
non per rubarmi un bacio, ma per sottrarre il mio respiro,
tu che non hai fede che all'indomani vi sia ancora
un raggio di luce che filtri dalle imposte, né il canto dolce
e teso degli usignoli a contendersi la compagna e il cielo.
Tu che non possiedi il lume acceso delle speranze
per dare un senso al mio cammino, tu che cento volte
hai voluto morire pur di non patire o accettare
il dolore del distacco, o lo strazio di un addio,
tu che non sai dire t'amo senza un gravame di vergogna.
Tu che non mi lasci sola nemmeno per un istante,
tu che carichi sulle mie spalle la colpa e il peccato,
tu che regni sulle stanze della mia prigione calcinata,
e tutti i giorni esigi un tributo di empietà e di sangue,
tu che non sai darti pace, se non in fondo al tuo naufragio.
Tu mi sovrasti, ogni notte, ogni oscura ora insonne,
mi vorresti possedere, vorresti ch'io fossi in te per sempre,
che ogni mio volere e pensiero fosse inondato esclusivamente
dalla tua presenza, vorresti entrare in me come sovrana,
vorresti in me morire, così che tu fossi me, e io più nulla.
No. Non sei me, non lo sarai mai, né io sarò te:
io sono colei che ti combatte!
Marianna Piani
Milano, 20 Giugno 2013
domenica 6 ottobre 2013
Gazza ladra
Amiche dilette, amici carissimi,
a volte la "ispirazione" nasce da una breve immagine, colta al volo, istantanea come uno scatto fotografico che rimane impresso sul lato sensibile della memoria, e qui vi rimane, come una immagine latente in attesa, per così dire, di sviluppo, fissaggio e stampa… Già, così avveniva un tempo nelle camere oscure, prima dell'avvento del digitale. La tecnologia è vero ha democraticizzato ogni cosa, e tra queste ciò che un tempo era l'arte della fotografia; strappandola tuttavia in massima parte dall'ambito poetico del sogno e della memoria per relegarla piuttosto sugli scaffali della cronaca, dell'effimero.
Ma lasciamo queste divagazioni un poco nostalgiche...
Qui è l'apparizione di una gazza sul terrazzino di casa, sullo sfondo del "mio" mare, e la sua enigmatica titubanza, prima di levarsi e scomparire in volo, ad avermi dato lo spunto per una escursione nell'altro lato dello specchio.
Mi ci sono riconosciuta, infatti, perchè sono ragazza, sono sognatrice, sono schiva, e, come "scrittrice", ovviamente sono ladra...
Condivido questa mia visione con voi, amiche care e amici, come sempre, con amore.
M.P.
Gazza ladra
Lìsciati le ali giovane gazza
dalle nere penne e il manto
cinerino, ravvivati il piumaggio,
fatti bella per il tuo primo
incerto largo volo, sopra i platani
del parco.
Trovati una compagna
con cui avere intesa ed essere
sincera, e poi gettati, spiegate l'ali
senza timore, oltre miglia e miglia
di campagna, fino a raggiungere
il bianco mare.
I gabbiani, candidi, immensi,
splendidi come angeli in sfilata
vi guarderanno altezzosi e stupefatti
nei loro voli solenni a pelo d'onda,
oltrepassando con un solo colpo d'ala
l'orizzonte imporporato.
Perché indugi ora?
Perché t'arruffi le penne sopra il petto?
Perché ti fermi, perché ti guardi intorno
reclinando il capo, muta, irrisolta
a compiere quel primo audace balzo
che tanto hai sognato?
Il prato è ancor bagnato
delle lacrime della notte. Non puoi
fermarti sul pianoro a levare il tuo canto
di tristezza. La tua voce non canta,
non è melodiosa come quella dell'allodola,
la tua voce gracchia.
Non potrai spaziare come i gabbiani
in sella al Maestrale, né mai potrai
cantare in coro con gli usignoli,
il tuo nido è un ricciolo di sterpi
tra i roveti della brughiera, i tuoi pensieri
sono scabrosi precipizi.
Non restare, non puoi restare
sola immobile sopra questa piana.
Vola, vai lungo il viale dei cipressi,
schiva i rami, scavalcane le cime,
supera le siepi e le mura di cinta, e ora
alzati più che puoi sopra le case:
pulsano cuori, laggiù a terra,
si aprono ferite, trascorrono gli amori
e stagnano rancori, e desideri, e i sogni
illuminano le vie e affollano le piazze,
milioni di respiri incontrano sospiri,
i raggi degli sguardi incrociano
fanali di vetture: quanta vita
al di là dei muri e delle siepi!
Tu allora ti poserai leggera e cauta
sopra le discariche, le pattumiere
ai bordi delle strade, e ruberai frange,
ninnoli lucenti e cocci di bottiglia
per adornare il nido tra gli sterpi
e renderlo col tuo sogno un sogno vero.
Mai alcun nido al mondo allora
sarà mirabile e lucente come il tuo.
Poiché sei gazza, ragazza, non sei saggia:
segui il tuo destino.
Marianna Piani
Milano, 21 Giugno 2013
sabato 5 ottobre 2013
Sabato Affaccendato
Amiche care, amici,
In altre occasioni ho avuto modo di esprimermi al riguardo.
Per me non esiste un "luogo deputato" per la poesia. E neppure un "soggetto privilegiato", come molti sembrano pensare, da cui scaturirebbe come per incanto, per autogenesi l'ispirazione poetica.
L'amore, l'indignazione, l'angoscia, la follia, la vita e la morte, i "grandi sentimenti umani" sono è vero da sempre soggetto di canto, versi, narrazioni e racconti. Ciò è del tutto naturale, poichè noi parliamo, discorriamo, ragioniamo sopra ciò che più ci sta a cuore, preferibilmente.
Un'emozione forte, intensa, però - direttamente, senza mediazione - è cattiva consigliera, com'è risaputo, e tende a dettare perlopiù componimenti mediocri, banali, gonfi di sentimenti ma privi della capacità di comunicarli. Il pianto di un'amica "dal vero" ci commuove, certo, ci può anche muovere al pianto, ma non ci regala un'esperienza intellettuale, non entra nel nostro cuore per elaborare il nostro pensiero, così come fa invece la composizione di un Poeta, o la tela di un artista. Occorre lavoro, ogni esperienza deve essere elaborata, trattata, fermentata come un vino buono, prima di poter essere offerta. Questo è il "lavoro" dell'artista, ed è questo sostanzialmente che fa la differenza tra l'artista autentico (che sia o no professionista - cioè che ricavi dall'attività artistica il suo sostentamento oppure no, questo non è qui in disussione) e il "dilettante", colui che ha solo un incontro superficiale, avventuroso, con l'Arte, per il proprio piacere privato, ma che del vero lavoro artistico nulla sa, può o vuole sapere. Tra colui che crea per intima urgenza e necessità, e colui che lo fa per mero passatempo.
Per questo, come dicevo prima, non esiste un tema o un soggetto "poetico" privilegiato, in contrapposizione con tutto il resto del nostro vissuto quotidiano. Oh, sì, il Cuore, l'Amore, la Malinconia, la Luna, la Nebbia, Venezia... sono tutti soggetti che contengono in sé per tradizione ineluttabile la "poesia" - ed è per questo che proprio su questi soggetti è difficile, se non quasi impossibile in realtà fare "buona" poesia o letteratura. E ciò nonostante si continua ad esercitarvi un esercito di scrittori, di ogni età o livello, e anch'io, come sapete, non ho potuto certo esimermene - sono pur sempre una donna, di carne e sangue, prima di mettermi al tavolino per imprimervi le mie emozioni.
Ma è un errore pensare che il "poetico" sia insito nelle "cose". Il poetico è il nostro modo di vedere il mondo, il poetico è solo ed esclusivamente nei nostri occhi - nella nostra sensibilità.
Il poetico nasce dall'incontro tra lo sguardo dello scrittore e quello del lettore. Questa simbiosi è la condizione assolutamente necessaria (ma non sufficiente) perché avvenga un qualsiasi atto di comunicazione poetica. E questo significa che non vi è nulla al mondo che possa essere considerato estraneo, o non abbastanza nobile per entrare a pieno diritto all'interno di un "dialogo poetico", almeno quale lo intendo io (oh, certo, vi è poi chi ritiene che tutto si possa accendere ed esaurire in un gioco pirotecnico di parole che scoppiettano secondo regole balistiche imprescindibili, suscitando come unico elemento di comunicazione l'ooooh! della folla a naso in su, ma questo esula dal mio interesse).
Qualche tempo fa proposi una poesia sull'IKEA - la trovate qui tra le mie prime composizioni - poiché trovavo nell'esperienza tutta femminile della ricerca di sé stesse (noi ragazze e donne siamo SEMPRE alla ricerca di noi stesse) tra gli scaffali un po' da cattedrale di questo magazzino che vende progetti di sogno a prezzi contenuti, un qualcosa di affascinante, meritevole di canticchiarci sopra un qualcosa, giusto anche solo per un gioco.
Dunque, di recente Mariangela, un'amica simpaticissima, nel leggere un "resoconto" ironico/cronachistico di un mio sabato mattina da donna di casa single, mi inviò un messggio: "...potresti scrivere una poesia su questa mattinata dalle forti emozioni :))"
E infatti, perché no? La vita è amore, desiderio, sogno, ma è anche un sabato mattina impegnato a rassettare l'appartamento e far di spesa. Le emozioni di una donna, il suo modo di occupare il mondo e la vita, anche in questo si esprimono.
Ecco, la dedico a Mariangela, con tanto affetto, e la condivido con voi tutte amiche, e amici, come sempre, con amore!
M.P.
Sabato Affaccendato
("There are no gods, and you can please yourself" D. H. Lawrence)
Nuovi dei abitano il Tempio,
nuovi templi sorgono sulle alture
poco oltre le mura, nuovi altari
ardono di fiamme di nuovi riti
sacrificali. Noi, Vestali di questi Numi,
indossiamo vesti bianche come corolle
e calzari intrecciati alla caviglia,
e risaliamo l'erta che ci porta
al cospetto del dio cui offriamo
in pegno il nostro giorno intenso,
il nostro giorno più faticoso e denso
il giorno in cui più di ogni altro
ci mutiamo in api all'arnia addette
soggette, dedite e affette.
Sortilegio che ci spinge
di fiore in fiore a far bottino
con la grazia e il fruscio discreto
delle nostre ali di pizzo o di seta.
Attratte siamo ai fulgidi colori
e ai profumi di quei giardini in fiore.
Da millenni il gesto tenero della raccolta
e della cura spetta a noi, femmine sagge,
alle nostre mani sottili e delicate e caute
è affidato l'onere di rifornire il nido.
Il dio ci chiama a raccolta tutte,
al suono di armoniose arpe e viole
e buccine d'oro dagli squillanti toni.
Noi rispondiamo con le nostre voci chiare.
Con il disteso canto che da sempre
accompagna la fatica nostra nel portare
i panni al fiume, e il bruciore delle mani
divorate dal gelo e dalle ceneri abrase.
La gioia viene dal nostro vivo volo al sole
e dal nostro affetto al nido, che per tutte noi
è gonfio di amori veri e di pensieri amati
anche quand'è deserto, com'è deserto
il cuore. La polvere sui mobili e sui vetri
si deposita giorno dopo giorno
come la memoria nella mente:
va detersa, per riguadagnar la luce.
Noi cantiamo il nostro canto al mondo
mentre al tempio ci affaccendiamo,
da noi ci si attende intelletto e grazia,
e noi stesse al nostro proprio mondo
ci spendiamo.
Milano, 12 Maggio 2013
Per Mariangela, che me l'ha ispirata
Marianna Piani
mercoledì 2 ottobre 2013
Avrei potuto
Amiche dilette, amici carissimi,
Il mio concetto di "Poesia" pian piano, anche solo impercettibilmente, si evolve. Ma - spero vivamente - rimane coerente nel suo cuore profondo. Mi spiego.
Un tempo lasciavo libera la via ai pensieri, alle emozioni, con apparente fin eccessiva facilità, e ho considerato sempre questo esercizio soltanto quale un mezzo per esprimere la mia interiorità, senza vincoli e nemmeno finalità di alcun genere.
Non ho mai avuto - sinceramente - alcuna ambizione "letteraria", la mia voce sapevo che sarebbe sempre rimasta nella mia intenzione del tutto spontanea, esercitata per puro "diletto" nel suo significato letterale, senza giudizi o pre-giudizi di qualità o di livello artistico. Una voce legata esclusivamente al mio nome - che è in parte un nome d'arte, poiché utilizzo qui come forse sapete il cognome "da ragazza" di mia madre - e al di fuori di qualsiasi scuola, conventicola letteraria, circolo accademico, scuderia editoriale.
Una voce isolata, ma non sola; indipendente, ma consapevole del proprio status fieramente originale.
Certo, io ho un trascorso di studi classici e mi sono sempre interessata con passione (e anche una certa competenza, in grazia dei miei studi universitari) alla letteratura in generale, e ovviamente alla poesia in particolare.
Ho tradotto per anni composizioni dei più grandi Autori in sei lingue diverse, e in questo modo ho potuto comprenetarmi e comprendere più a fondo questa arte sublime e difficilissima, che per me, come ho avuto modo di dire più volte, è la "madre" di ogni altra forma d'arte, letteraria, musicale e figurativa.
Quindi non sono propriamente una naïve, capite, sono perfettamente consapevole delle tecniche, dei metri, dei metodi compositivi, dei temi e delle visioni critiche e storiche.
Ho però scelto, nel decidere di scrivere di mio pugno composizioni mie proprie, di spogliarmi di ogni sovrastruttura accademica, critica, nozionistica o di natura estetica o letteraria, e di appropriarmi di uno spazio del tutto "mio" concedendomi la più piena libertà di espressione. Mi sono detta: questo non è e non sarà mai un "lavoro" per me, io non ne ricavo di che vivere né mai avverrà che la poesia per me diventi una "professione", se mai ciò fosse possibile per chiunque. Quindi tanto vale concedersi il lusso di una libertà creativa ed espressiva totale.
Il che ovviamente non significa non darsi una disciplina, tutt'altro. Ogni forma d'arte, io credo fermamente, ha un qualcosa dell'esercizio di abilità circense, della giocoleria, del salto mortale del trapezista a trenta metri d'altezza. Il "diletto" non è "dilettantismo", per me almeno, e la libertà non è sinonimo di ingenuità.
Ciò che per me è sempre stato fondamentale è il bilancio finale tra forma e contenuto, dove per me "libertà" significa privilegiare quest'ultimo, il contenuto, il senso, l'emozione, la percezione, la comunicazione, nei confronti della forma, la struttura, il metro, il verso, l'accento, la rima, l'allitterazione.
E questo NON significa rinunciare a ricercare la musicalità: melodia, ritmo e armonia sono componenti fondamentali e imprescindibili della Poesia, in ogni Cultura e in ogni Paese, senza di esse non si comunica, a mio avviso, specialmente a livello emozionale, che è ciò che mi sta più a cuore, come individuo e più ancora come donna. Per questo in ogni caso si tratta di una ricerca, di un "lavoro" tutt'altro che semplice, proprio nel momento in cui si cerca di mantenere intatto, e comprensibile a chiunque, il valore del pensiero originario, del significato, della metafora.
Ho scelto da sempre quindi una "forma libera" con perfetta cognizione di causa. Non mi sento di legarmi a forme chiuse, prefissate, sia pur di grande tradizione e nobiltà. Preferisco dedicare ogni mio sforzo a purificare la parola, a renderla limpida, a togliere ogni traccia di ermetismo accademico pur mantenendo una originalità di visione e di analisi, senza la quale si cadrebbe nella banalità, nel caramelloso, nel deja vu.
Tornerò ancora, forse, su questi argomenti. Servono più a chi scrive, per la verità: per chi legge ciò che conta è il risultato finale, qualunque sia il lavoro - o il gioco - che lo ha prodotto.
Ciò che conta più di ogni altra cosa, comunque, "a monte di tutto", per dirla con un'espressione abusata, insomma, all'origine di tutto è ciò che chiamiamo comunemente "ispirazione". È lo slancio iniziale, ciò che origina tutto, la gemma grezza in cui ci si imbatte, a volte per necessità, altre per puro caso. Per me si tratta di ciò che scaturisce dalla mente e si deposita sul foglio, o sullo schermo digitale, nei primi minuti, di solito risultato di gioiosa "trance", uno stato psicofisico di sospensione del tempo: l'atto creativo primario. La gemma che ne estraiamo e che successivamente sottoporremo ad una lunga e abile levorazione, già contiene in sé tutto il valore, la lucentezza e la bellezza che noi, con la nostra arte, con il nostro talento, con la nostra abilità anche artigianale, tenteremo di liberare e di far sprigionare. Ma l'atto Poetico, è prima.
Una piccola composizione come quella che segue, dedicata ad un'amica carissima, nasce così, per me, d'impulso, senza studio o riflessione, puramente, in questo caso in particolare, per amore, per bisogno di cantare, di narrare, di comunicare, ma non solo con la dedicataria: con il mondo intero. Tutto il "lavoro" successivo, tutto il travaglio, tutto lo sforzo, tutto il gioco è poi nel cercare di preservare, anzi esaltare con un taglio accurato e abile e sapiente il fulgore orginale.
Amiche care e amici, dedico all'amica Mara questi miei pensieri, e li condivido con voi, come sempre, con amore.
M.P.
Avrei potuto
Avrei potuto sedurti.
Con cosa? Con una rosa
di selva appuntata sul petto
dicendo: amore mio, vedi?
È come il mio cuore
che appassisce trafitto di te...
Oppure con le parole,
come un semplice canto
sopra pochi morbidi accordi
di una chitarra, per dirti:
tesoro, ascolta il mio sogno,
ascolta i ricordi che tengo di te...
Avrei potuto sedurti, lo ammetto,
con il mio sguardo ombroso,
con le mie labbra vezzosamente
dipinte di rosso e profumate
di viola, sfiorarti il candore del collo
e soffiarti parole inaudite per te.
Potrei sedurti, sì, ma come?
con i miei occhi di zucchero e pece,
che han veduto balenare le albe
sopra i mari marezzati dal vento,
e i tramonti indorare le cime più alte,
ardite come i miei più arditi pensieri?
O con il mio corpo, fragile, esposto,
di minuscola donna, tra l'arcangelo
e la libellula, incerta tra l'ardire
e il volare, e con una pelle
così fine da far trasparire
un reticolo di diafane ife azzurrine?
Potrei, lo so che potrei farlo,
ma tu non saresti più tu,
la fiera che mi fissa dal cuor della macchia -
oh, selvaggia - e che si allontana da me
sulla traccia delle sue proprie chimere,
o di un'ultima polla d'acqua da bere.
Potrei, ma non voglio:
perché non voglio amarti incattivita,
non vorrei, non potrei vederti languire,
oppure impazzire prendendo a spallate
le sbarre sia pur d'oro e di gemme
del mio amore geloso.
Voglio amarti libera, indomabile fiera,
audace, fuggitiva come sei, se pur anche
dovessi scontare questo mio amore negato
con mille anni di lontananza. E fosse pure
di averne dolore, dolore sia. Troppo è il mio amore
per poterti imprigionare al mio amore!
Marianna Piani
Milano, 19 Giugno 2013
(per Mara)
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