"The moon has nothing to be sad about,
Staring from her boot of bone.
She is used to this sort of thing.
Her blacks crackle and drag."
Staring from her boot of bone.
She is used to this sort of thing.
Her blacks crackle and drag."
(Sylvia Plath)
Londra, 11 Febbraio 1963, un appartamentino elegante al 23 di Fitzroy Road, poco distante da Primerose Hill, zona tra le più esclusive della città.
L'edificio ha un qualche valore storico, e un tocco di predestinazione, avendo ospitato in passato il grande Poeta Irlandese, William Butler Yeats.
Prima dell'alba, una donna di trent'anni, sottile, di aspetto nobile e dal bel viso intenso, caratterizzato da uno sguardo appassionato che colpiva chiunque la vedesse per la prima volta, rendendola indimenticabile, si aggira con movimenti pigri, trattenuti, ma sicuri, tra la cucina e la stanzetta dove riposano i bambini, con l'espressione assente e dolcissima che hanno tutti i bimbi immersi in un sonno profondo. Capelli lisci e lunghi, e una profondissima malinconia in ogni movimento, come se un peso immenso la schiacciasse, meticolosamente e con studiata premeditazione, riordina la cucina, socchiude la finestra della stanza dei bimbi e con panni umidi ne sigilla accuratamente l'uscio, mentre in cucina un sibilo sottile, suadente, la invita ad unirsi a lui, come per un viaggio in qualche luogo lontano, meraviglioso: in Italia, ad esempio, oppure a Parigi. O a Cape Cod, il suo amato rifugio, tra le rammendatrici di reti.
Senza esitazione, lucidamente, si inginocchia davanti alla bocca del forno, spalancata da un pezzo ormai, impaziente, e si sistema alla meglio, stringendosi nelle spalle, all'interno della cavità, ancora intrisa dagli odori familiari di alimenti e condimenti combusti.
La gonna le pende sui polpacci inerte, e presto, dopo qualche debole convulsione, anche lei si affloscia, al pari di quel tessuto, come uno straccio dimenticato.
La ritroverà qualche ora più tardi la governante, dopo essersi fatta aprire - allarmata - dal custode dello stabile.
Così si concludeva la vita di una delle più grandi poetesse del '900, togliendoci per sempre la possibilità di avere da lei altri tesori distillati dalla sua sconfinata sensibilità e dal suo immenso talento.
Conosco questo male di vivere, conosco questa terribile compagna che ti occupa il cervello, che ti rode da dentro, togliendoti ogni capacità di reagire, ogni volontà di sopravvivere a te stessa. Da anni devo quotidianamente affrontare un sentiero in salita, aspro, ripido, spietato, che mi porta faticosamente avanti, verso la fine della giornata.
Da anni medito se vale la pena questo sforzo continuo, se non sia più facile abbandonarsi al destino, lasciare le redini sciolte e permettere al puledro che abbiamo dentro di gettarsi a corsa pazza nella prateria, per non tornare più indietro.
E ogni volta ritorno, faticosamente, coraggiosamente o vilmente, non so, ritorno, per le persone che amo, per quelle che mi vogliono bene, sempre in attesa del momento in cui anche questo sostegno mi venisse a mancare, oppure non mi fosse più sufficiente, perché troppo violenta la forza che mi attrae verso il fondo.
Per questo, tra tanti scrittori e Poeti, più che nessun altro mi sento vicina a Sylvia, nel suo incomprensibile gesto. Incomprensibile per chiunque non ci sia passato.
Un gesto che è come un grido, in cerca d'aiuto, e come esso incomprensibile e incompreso.
In apertura ho citato i suoi ultimissimi versi, datati a poche ore prima della morte:
"La luna non ha nulla di che essere triste
mentre s'affaccia dalla sua volta di ossa
Lei è usa a questo genere di cose.
Le sue oscurità crepitano e strascinano."
L'enigma di Sylvia Plath pervade ogni sua composizione, rendendola quasi intraducibile, anzi, intraducibile proprio, per quanta arte, abilità e amore ci si possa mettere. È impossibile strappare dalle sue parole l'anima che contengono, che pur si percepisce, si coglie, si comprende. Io tutte le volte che mi ci cimento, ne esco stremata e sconfitta. E arricchita di un'esperienza in altri modi irraggiungibile. L'enigma di Sylvia Plath pervade ogni suo verso, ogni sua parola, esattamente come pervade la sua vita, fino alla fine, nel consumato squallore di quel forno a gas Westinghouse, di lamiera, dall'odore di pollo e di unto. Cornice invereconda e vile di una mente straordinaria, di una donna sfolgorante.
Con amore, per sempre
M.P.
Sylvia Plath (Boston, October 27, 1932 - London, February 11, 1963) |
Undici di Febbraio
(Omaggio a Sylvia Plath)
Se mai volessi - o potessi scegliere
quando abbandonare questo viaggio,
l'undici febbraio sarebbe il giorno
che mi sarebbe caro. Dieci anni
quasi esatti dopo quel freddo giorno
io nacqui, in tutt'altro mondo.
Dieci anni esatti vedrà presto la mia vita
più della vita che vide sulla terra
quella sirena di mare, quella rammendatrice
di reti e di parole, quella cercatrice
di conchiglie negli abissi dei sensi,
e di un senso alle proprie inestimabili doti.
Eppure, questa donna che comprese
tutto in sé il suo tempo, ma non di sé
seppe confidare, questa femmina dal dolce
ma ferito sguardo, sfidata da una bellezza
tanto intensa, tanto violenta, quanto impotente
a controllare il suo genio e la sua mente:
questa donna fluisce in me come una dea,
come il fiume scorre sotto il ghiacciaio,
come la corrente abissale porta
l'oceano da un continente all'altro,
con sé recando i banchi di salmoni dal Nord
e i solenni letali squali bianchi dall'equatore.
Come sotto una sottile coltre di roccia
scivola la lava incandescente del vulcano
irrefrenabile, ineluttabile, tremenda.
E l'Uomo nulla può allora, se non levare
un alto canto, o una preghiera, o un pianto,
mentre i suoi edifici si disgregano nel fango
senza un motivo, o una accettabile ragione.
Voci di mare, burrascoso e invitto, voci di selva
percorsa dal maestrale, voci di antichi miti
scolpiti sui visi dei vecchi chini sui moli
a sgusciare valve come memorie, voci di case,
di strilli di bimbi, di cigolare di culle.
Voce sua sublime di officiante, anima sospesa
tra il celeste e l'umano, tra il sogno e l'illusione,
tra l'incanto e il selciato, voce ascoltata, amata,
eppure del tutto incompresa e, infine, tradita:
lascerò che giunga, quest'undici febbraio, e riudirò
il sibilo di quel forno, la bocca che divorò via la vita
a un'anima infinita.
Marianna Piani
(11-12 Ottobre 2013 - 11 Febbraio 2014)
Cara Marianna,
RispondiEliminaQuesto mio commento è senza ombra di dubbio uno dei più “sentiti” di sempre.
Avevo intenzione di mandartelo ieri, ovvero l’11 Febbraio, ma poi ho pensato che avrei in qualche modo “sporcato” la pagina del tuo blog, ma soprattutto distrutto la magia della composizione.
Era giusto così : era giusto che l’11 Febbraio, le persone interessate, leggessero il tuo blog e il tuo omaggio a Sylvia in modo puro e semplice, senza alcuna “interferenza” esterna.
Premetto immediatamente che avevo già sentito nominare Sylvia Plath, grazie alla mia Professoressa di Italiano delle superiori, che mi dava sempre spunti di lettura molto interessanti.
Non la conosco comunque molto bene, o “a fondo”, come si suol dire.
Ecco perché – partendo dall’introduzione, a me molto cara, al fine di “capire” meglio cosa vuoi raccontare di volta in volta – sono rimasto veramente impressionato in positivo dalla scorrevolezza che sei riuscita a dare agli eventi da te narrati.
Hai utilizzato, come sempre, una gran minuziosità nel descrivere i particolari, tanto che, stavolta, non ho preso un “respiro” di pausa tra l’introduzione e la composizione vera e propria.
Solitamente, faccio così, quando ti leggo.
Parto dall’introduzione, mi immedesimo nella situazione, cerco di viverla “con i tuoi occhi”, cerco di capire cosa ti ha spinta ad utilizzare un determinato termine piuttosto che un altro, e solo successivamente mi immergo a pieno nella composizione.
Come ho preannunciato prima, stavolta non è andata esattamente così :
Stavolta, non ho mai staccato gli occhi dal foglio (stampato come sempre).
Per carità, ogni volta “lasci l’anima” sull’ipad o nel foglietto sul quale componi, ma questa volta, hai messo quel “qualcosa in più”.
Non conta, in questo caso, che sia stata tu stessa a scrivere che ti senti molto vicina a Sylvia.
Qui si tratta di qualcosa di più grande, di certamente più grande rispetto ad un sentimento :
Ad avvalorare questa mia tesi, del resto, ci sono le tue parole :
“Dieci anni
quasi esatti dopo quel freddo giorno
io nacqui, in tutt'altro mondo.”
“…questa donna fluisce in me come una dea”
Non ti nascondo che mi sono commosso (e non è edificante ammetterlo per un ragazzo), leggendo ciò che hai scritto, perché ho percepito una sorta di “continuazione” della vita di Sylvia mediante la tua vita.
Facendo riferimento ai “sostegni” da te accennati, offrirti due minuscoli sostegni (ammesso che lo siano) :
Quello della lettura, e quello della presenza (…come vedi sono sempre qui !).
Io leggo da cima a fondo quello che scrivi, perché trovo un elevato tasso di verità in ogni tua singola frase.
Del resto, credo sia proprio questo il motivo che ti ha spinta ad aprire questo blog.
Ovvero, “esternare” a tutti i tuoi sentimenti, e le tue emozioni, sotto forma di arte (in questo caso di poesia).
Mi fermo qui, senza fare ulteriori commenti circa la tua bravura, come mi avevi richiesto l’altra volta.
(Abbiamo stabilito che ti voglio bene…parole tue !).
Concludendo :
Sylvia, se potesse leggerti, sarebbe fiera di te.
Sicuramente, sarebbe riconoscente.
Ne sono certo.
Buona Serata.
Un abbraccio,
Luca
Mio caro Luca,
Eliminamio giovane meraviglioso amico.
Il tuo silenzio di ieri lo avevo colto, e giustamente interpretato. Ormai tra noi non v'è più nemmeno necessità di parole, un silenzio già sovrabbonda di significato.
Te ne sono grata, come sono grata alla tua dolce e rispettosa comprensione.
Io nulla ho che mi può accostare a quella Artista immensa, i cui versi hanno una potenza evocatrice e una profondità, una capacità di solcare il mistero, una riottosità, perfino, al "bel verso" al "pensiero sublime da salotto", che nemmeno vivendo mille anni potrei mai eguagliare.
Ho con lei però un comune male di vivere, che mi ha portato già due volte alla bocca di un mio forno personale, in cerca di trovare una tregua, una via di fuga, vilmente, o arditamente di affrontare il terribile nulla. Terribile, ma che a momenti pare miele e fiori in confronto a una realtà del vivere che si fa intollerabile.
Tu, giovane, uomo, capisci e cogli. Possiedi una grande dote, in questa sensibilità meravigliosa. La donna che ti amerà sarà mille volte fortunata, e ancor più fortunata sarà se sarà in grado di rendersene conto. Rari sono (ma ce ne sono, per nostra fortuna) gli uomini come te. Uomini che amano le donne. Le amano e le comprendono profondamente.
Questo male di vivere, mio caro, esiste certo anche negli uomini (Pavese, Hemingway...) ma ha una particolarissima espressione in noi donne, connaturata in noi. Sylvia è stata un poeta potente, complesso, incapace di simulazione. L'enigma di questa vita interrotta, e di questo Poema ininterrotto, lo cogli, e so che tu lo sai fare, nel profondo malinconico mare dei suoi occhi di ragazza. In questo, e solo in questo - ti permetto di pensarlo - vedendo lei, bionda, americana, talento immenso, vedi in traluce me, piccola comune donna bruna, Italiana, dagli occhi neri. Io tremo ogni volta che intravvedo quella luce in quegli occhi, che sono i miei occhi!
Ti abbraccio, amico
Grazie per la tua presenza.
Marianna