«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»
«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)
«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)
«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)
«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)
«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)
sabato 24 ottobre 2015
Suonatore errante
Amiche care, amici,
questa composizione, come vedete in calce, risale a maggio di quest'anno.
Come forse alcuni di voi sanno, io lavoro come freelance indipendente (con partita IVA), e di solito lavoro nel mio piccolo Studio, e incontro il committente, o il cliente, solo per meeting e presentazioni o consegne, quando addirittura i contatti non si limitano a email, SMS e conference calls. In quel periodo però avevo un incarico piuttosto importante per una società di produzione che richiedeva la mia presenza quotidiana presso gli uffici dell'Azienda, già a partire fin dall'alba. E così, come fa la gran parte delle persone che lavora comunemente nelle Banche, nella scuola, negli Uffici, prendevo ogni giorno di primissimo mattino la Metro ad Amendola (la stazione più vicina a dove abito) per recarmi dall'altra parte della città dov'era la Sede centrale dell'Azienda, un percorso piuttosto lungo che tra l'altro richiedeva due cambi di linea e almeno 45 minuti di viaggio, sia all'andata che al ritorno.
Non facendolo usualmente, sono sempre piuttosto sensibile alle situazioni che offre questo mezzo di trasporto collettivo, dove una folla di persone di ogni ceto, sesso, etnia, trascorre un periodo di forzata promiscuità, temperata da una forma di auto-isolamento protettivo. Mi ha sempre colpito quale senso di solitudine si legge nei volti delle persone, una solitudine paradossalmente accentuata, forse perfino creata, proprio dall'affollamento. Gli individui, forzati ad una vicinanza fino al contatto con estranei, del tutto innaturale, difendono istintivamente la loro individualità cercando di creare una barriera che è tanto più densa e impenetrabile quanto più ristretta è l'area di libertà attorno a loro.
Ma vi sono momenti, quasi surreali in questo contesto, in cui questo viaggiare in apnea, richiusi come in uno scafandro ermetico a prova d'emozione, viene scosso e messo in discussione da un qualche evento che, sia pure affatto raro, si discosta dal piatto procedere ripetitivo del solito trantran quotidiano.
Di questo io cerco di raccontare in questa composizione, più narrativa che lirica: prendetela come un bozzetto preso al volo, o un'istantanea rubata, un'incongruenza, una turbolenza nel flusso della routine quotidiana, come quella melodia dolce e triste che emerge all'improvviso dal rumore di fondo grigio e assordante della corsa del convoglio dentro al tunnel...
Come sempre, condivido con voi, amiche dilette e amici, questi pensieri, con amore.
M.P.
Suonatore errante
La solitudine contemporanea
viaggia e alloggia nelle costipate
carrozze della metropolitana.
Visi di donne, uomini, ragazze
affrante sulle panche, imbambolate,
destini provvisoriamente uniti
in un mare d'estraneità dal corso
della realtà, forzosamente, come
un discorso frantumato, interrotto.
Nulla è meno armonico del suono
dei treni dissipati quasi con rabbia
nella canna di fucile sotterranea.
Per questo, ogni parola è vana,
ogni pensiero è perso in un altro,
ogni sguardo è riflesso contro una lastra.
Lo scuotimento inerte sugli scambi
desta all'improvviso molti sopori
e ne promuove altri, e altri scioglie
dietro i sogni e le chimere degli stanchi
viaggiatori, sopraffatti dai rumori
e da solitudini travolgenti.
Forse per questo giunge come strano,
dalla distanza incommensurabile
del fondo del convoglio, questo suono
di una malinconica melodia
tanto triste da parere avulsa
da ogni sentire terreno e umano.
Tanto desolata da insinuarsi
tra quei corpi astanti - quei visi assenti,
quelle mani aggrappate alle barre
d'alluminio raggelanti, radici
di mangrovie affioranti dal metallo
del pavimento - risuonando accordi
esotici e divaganti per le menti
inconsapevolmente già in ascolto
da un lacerto immemorabile di Storia.
Da quella Storia, che in ognuno giace,
da quei tempi, da quegli eventi, emerge
come un dio selvaggio - e senza nome -
il suonatore dall'alito di vino
dal cinereo volto scarno incolto
e l'olezzo di miseria nelle mani.
Aleggia sostenuto dal fraseggio
di un'orchestra immaginaria, dal coro
degli angeli suoi fratelli, finché
s'interrompe sull'accordo, affranto,
e mentre il treno torna al sottosuolo
impetra una moneta di compianto.
Marianna Piani
Milano, 8 maggio 2015
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Piacevolmente stupito. Estasiato.
RispondiEliminaGrazie di cuore per l'apprezzamento.
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