Amiche care, amici,
dal mio taccuino dei ricordi, ritorno all'infanzia, quando giocavo libera e senza un pensiero al mondo (non è vero, avevo mille pensieri già allora, solo erano pensieri leggeri, pensieri di bimba, del tutto estranei a ogni ombra) spesso durante la lunga estate, nel fresco parco adiacente a quello che è forse tra i più romantici castelli del mondo, quello di Miramare.
Pietra d'Istria, citata nei primi versi, è il materiale con cui è stato edificato il castello, su un promontorio, ben visibile da tutta la città, che chiude una insenatura con un piccolo imbarcadero protetto da un molo con in cima una impassibile (e stranamente incongrua) sfinge egizia di granito rosa. Il parco è piuttosto vasto (a me pareva, piccolina com'ero, addirittura immenso, sterminato) e vi erano angoli in cui i pini marittimi, piante stupende, intensamente mediterranee, si slanciavano a piombo sopra il mare che, grazie alla costa rocciosa è parecchi metri sotto. Arrampicarsi su quegli alberi era non solo un cimento temerario (guai se la mamma mi vedeva!), era come volare, un poco il mio sogno di sempre: volare sopra il mare…
In questi ricordi io non provo nostalgia, piuttosto una affettuosa disperazione: mai più quei luoghi e quelle emozioni potranno farmi visita. La vita è come quella sfinge di pietra, con gli occhi ciechi puntati a un mare che muta sempre non mutando mai.
Vi lascio alla lettura, dilettissime amiche e amici, con amore
M.P.
Trieste, Castello di Miramare ©maripiani |
Pino marino
Il sole presto raggiungeva l'apice suo
in quelle lunghe mattine di Luglio
trascorse sulle scogliere di pietra d'Istria,
la bella pietra così innamorata del mare.
Intanto io m'inerpicavo lungo il clivio
d'un antico, altezzoso pino marino, chino
quasi in volo sopra le distese dei flutti
spesso imbiancati dal vento come ciuffi.
A piedi nudi rampicavo, ovviamente,
che era il modo più certo, e quindi sentivo
contro la pelle ancora da bimba, fina,
il caldo rugame della corteccia.
Così è carezzare il volto d'un vecchio,
aggrinzito come una prugna asciugata
dal sole, ruvida, nera, eppure dolce,
cedevole sotto le dita curiose, in cerca.
Quando giungevo a quegli ultimi rami,
i più arditi, che si flettevano mirabilmente
al mio peso, pur senza spezzarsi, ecco,
gettavo lo sguardo verso il confine del mare,
che tale credevo fosse la linea vibrante
dell'orizzonte. E immaginavo di volare
come fanno i gabbiani in quei luoghi, alta
sull'onde, ben oltre la fine del mondo.
Marianna Piani
Trieste, 9 Luglio 2016
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Riletta con molto piacere,bello riproporre testi amati.
RispondiEliminaCiao Rossella!
EliminaForse ti avevo inviato un'anteprima. Questa cosetta non l'avevo ancora pubblicata, ma sono felice di averti sempre qui, nel mio salottino di poesia.
Un abbraccio
Marianna