«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

domenica 8 dicembre 2019

Qualcuno mi disse



Proprio oggi, mentre ero intenta a preparare la pubblicazione del testo odierno, scritto alcuni mesi fa, mi ha raggiunto la triste notizia della morte di uno degli ultimi sopravvissuti e testimoni dell’Olocausto, Pietro Terracina, per il quale vi rimando alla nota di Repubblica di oggi, 8 dicembre ’19:


Ormai sempre più rapidamente, per ovvie ragioni anagrafiche, uno a uno stiamo perdendo gli ultimi tra i già pochissimi sopravvissuti a quella furiosa follia collettiva che segnò la nostra Civiltà con un marchio di infamia indelebile.
Cosa ci accadrà dopo? Quando rimarremo da soli, quando potremo affidarci esclusivamente alla memoria e ai documenti probatori di cui siamo in possesso, cosa faremo?
Già in questi ultimissimi anni, o addirittura mesi, stiamo assistendo a un degrado infame e dilagante, con la riemersione di sedicenti “opinioni” dal profondo della sentina della Storia, dove credevamo di averle per sempre seppellite, o almeno celate per pudore alla vista. Come carcasse putrefatte e carogne immonde smosse da un’inondazione stanno riemergendo dai fanghi di una mefitica palude figure, personaggi, dichiarazioni, menzogne e perfino “rivendicazioni” che mai avremmo potuto nemmeno immaginare fino a pochissimi anni fa.

Sappiamo bene la natura e la causa dei questa “inondazione”, che è da cercare nell’insorgenza a livello quasi planetario, e di certo nei Paesi di Democrazia Liberale, di teorie e politiche populiste, sovraniste e di destra estrema, diffuse capillarmente grazie ai nuovi media digitali e sostenute dall’onda montante di odio e di reazione di massa irrazionale e autodistruttiva a una realtà in rapido mutamento.

Stiamo rimanendo sempre più soli a fronteggiare questo rovinoso tsunami di barbarie, e ogni volta che uno dei testimoni viventi della Storia ci lascia la nostra solitudine e la nostra vulnerabilità aumentano terribilmente.
Ma è del tutto naturale, e ineluttabile, che ciò avvenga, perché è ormai ora che proprio NOI, la nostra generazione, e quelle che verranno dopo di noi, si prendano carico IN PRIMA PERSONA di questa immensa responsabilità. Tocca a noi ora impegnarci, mai come ora, perché sia preservata e diffusa la memoria e la coscienza della nostra vergogna, solo così potremo evitare che la Storia ci ripresenti il conto in tempi ahinoi prevedibilmente assai brevi.

Ora, mentre facevo queste riflessioni sul carico e la responsabilità della memoria, e sul rimpianto per tutto ciò che già finora avremmo potuto – e dovuto – fare e non abbiamo fatto per sostenerla, non ho potuto evitare di notare come, per una pura coincidenza, tutto ciò trovasse in qualche modo espressione proprio nel breve componimento che stavo curando in vista della pubblicazione di oggi.
In particolare mi piace pensare che quel personaggio che si accosta, alle mie spalle, e interpella direttamente la mia coscienza, e infine si allontana in silenzio lasciandomi disperatamente sola, sia in metafora proprio una di queste figure di riferimento fondamentali che dopo averci parlato, con forza e chiarezza, ci lasciano a far tesoro, se lo vogliamo e sapremo farlo, delle loro parole, della loro testimonianza, e del martirio di tanti altri come loro…

Come ho detto non si tratta di un accostamento voluto, o in alcun modo programmato, ma di una pura coincidenza, eppure forse anche proprio per questo lo sento personalmente come estremamente vicino e significativo.
Avevo intitolato il componimento originale “Pochi rimpianti!”, con un punto esclamativo in senso esortativo. Ma ora ho preferito intitolarlo più semplicemente citando l’incipit "Qualcuno mi disse", per sottolineare la presenza di quel qualcuno, di questo soggetto parlante, senza volto, ma così ingombrante e decisivo per la mia coscienza. E infine ho aggiunto in chiusura una strofa quasi madrigaleggiante, in facile rima, cercando di rendere la dolcezza e insieme la desolazione di questo abbandono.

Vi lascio alla lettura, come sempre e più che mai, con amore.

M.P.






Qualcuno mi disse


Qualcuno mi disse: «Non nasconderti
non fuggire agli strali
dei tuoi ideali feriti, ma non morti:
vedi come dopo decenni
di sonno profondo, febbrilmente ora
in un grido, sono risorti,
e nel riconoscersi ancora quali
quelli della tua giovinezza, sebbene
ora tu sia canuta, curva, stanca,
e saggia, sono insorti.»

Continuò, fumando discosto
perché conosceva il mio disagio:
«Le tue radici, tenaci
come gomene da ormeggio,
sono ancora in quei porti, tra quei moli,
tra quelle navi dormienti e mansuete
come bovini, ove l’odore amaro
del sale si mesceva a quello acre
e nerastro del petrolio,
e si incistava per sempre
nella tua pelle, nei tuoi capelli
e nella memoria.»

Aggiunse, senza alzare lo sguardo:
«Non fuggire, ché i luoghi che fuggi
sono scolpiti sulla pietra della
tua memoria: non è dato fuggire
da ciò che in te porti,
né dai rimpianti di ciò che colpevolmente
hai lasciato incompiuto,
né dalle occasioni che hai avuto
e hai bruciato per sempre.»

Così concluse, e con una carezza
sulle mie spalle spoglie
si allontanò, così come una brezza
porta via il fumo e le foglie.


Marianna Piani
Kilkenny, 11 Marzo 2019


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sabato 30 novembre 2019

Davanti a un cielo così chiaro



Amiche care, amici,

A volte ci pare così effimera, inutile la poesia, di fronte a tutto ciò che accade nel mondo di orribile e imperdonabile, e spesso purtroppo irrimediabile, definitivo.

Da cent’anni (o forse da sempre) ci si chiede c
osa può mai la poesia nella Storia: cosa rimane di essa, dopo le ceneri di Auschwitz, e cosa può oggi, di fronte a chi, tutto attorno a noi, da queste ceneri non ha saputo né voluto apprendere nulla, non ha mai accolto in sé una parvenza umana, credendosi per ciò divino, e non ha mai creduto in un riscatto, o, peggio, continua ancora nutrire il vomito dell’odio, negando così tutto ciò che di lui lo potrebbe far diverso dalla bestia?

È vero, che senso ha più la poesia, dopo questo secolo di storia che pare non avere insegnato nulla a tanti, a troppi, se non il falso mito, che la forza, e l’atrocità che ne deriva, infine sia vincente?
Eppure la poesia tuttora c’è, nel mondo, ed è irrinunciabile, insostituibile. È fiorita perfino tra i reticolati, di fronte alle bocche dei forni crematori, e ora forse, nel deserto effimero e desolato delle reti, è divenuta ancora più essenziale.

Al pianto del poeta rispondo che senza le sue parole, senza i suoi versi tracciati a sangue, e senza il suo pianto, la vita umana, quella di tutti noi, sarebbe semplicemente inaccettabile. Intollerabile. Inconcepibile. Incomprensibile.

La poesia infine è tutto ciò che di innocente ci rimane.

Con amore
M.P.







Davanti a un cielo così chiaro,
e luminoso e prossimo che pare
di affondare le braccia nelle nubi
come in una schiuma irreale
al solo alzarle, resto immobile

mentre rammento della mia innocenza
chiara e tormentata anch’essa,
effimera come un pensiero all’alba.

. . . .


Risalii dunque l’altura che dava
lungo sguardo al vallone, e sullo sfondo
riposava del lungo giorno il lago
con un suo nitido baluginìo 
al cielo denso e intento del tramonto.

Fu qui che mi raggiunse, silenzioso
come un alito di vento, il poeta,
sostò a lungo sopra il bastione spoglio
prima di pronunciare una parola,
un pensiero solo dopo cent’anni di silenzio: 

«Che sarà di noi ora, soffocati
dall’odio, dal risentimento torvo,
che faremo se ci ridesteremo
e ci ritroveremo, troppo tardi,
incapaci di riscattare una vita intera?»

Io guardai in basso, sotto i miei piedi,
nel precipizio, tra i tronchi frantumati
degli abeti e dei castagni, pensando
che sarebbe una morte assai insincera
finire a fracassarsi in quella anarchica purezza.

Guardai lui, l’esteta, il limpido maestro
di parole, l’autore del “esser saggio”,
il cinico romantico che aveva
insegnato al mondo la ragione vera
del distacco: e vidi che piangeva.



Marianna Piani
Kilkenny, Febbraio 2019


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sabato 23 novembre 2019

Nostalgia e Milano



Amiche care, amici,

ho disertato per un paio di settimane questo appuntamento, per me così importante e vitale, mi spiace molto, scusatemi davvero tanto.
Potrei dire che si è trattata di una interruzione dovuta a pressanti impegni di lavoro (ho anche viaggiato molto, nel frattempo, tra Francia, Irlanda e Italia), e ciò è sostanzialmente vero. Ma non è tutto.
In verità, in questo ultimo periodo, qualcosa mi ha impedito di applicarmi pienamente alla scrittura e alla poesia così come ho sempre fatto, e non me ne è mancato il tempo, ma piuttosto la serenità, la concentrazione, l’energia necessaria, mentre dentro di me da tempo ribolle un senso di angoscia, di incredulità e di smarrimento di fronte a ciò che sta accadendo attorno.

Io mi considero una privilegiata, e molto, molto fortunata, ho potuto avverare il mio sogno di vita costruendomi una famiglia con la persona che amo in luoghi che amo, la mia vita è infine il risultato di scelte mie, prese in piena coscienza e maturità, ormai “nel mezzo del cammin di nostra vita”, e non determinate da circostanze fortuite o da incontrollabili destini. Almeno in apparenza.

Eppure non mi sento davvero libera ora: nel mondo, e in particolare nel mio Paese, che ho lasciato quasi con rabbia, sbattendo la porta dietro di me, dilaga oggi un odio e una frenesia di dissoluzione che limita fortemente la mia percezione di libertà, e quindi di felicità, anche quassù, a mille e più chilometri di distanza. Libertà e felicità: due sentimenti per me strettamente e indissolubilmente legati, non vi è possibilità dell'uno senza l'altro. E non vi può essere senso di libertà quando la libertà nel mondo che ci circonda è così pesantemente minacciata. La libertà minacciata non è solo quella delle vittime e dei bersagli inermi di quest’odio, uomini, soprattutto donne, gli immigrati, i diversi, i poveri e gli esclusi del mondo; ma anche, e secondo me soprattutto e più pesantemente, degli stessi carnefici, di coloro che odiano, e che dell’odio – e della paura che lo genera – sono prigionieri e schiavi senza speranza.
Purtroppo – e ovviamente –  in me non alberga il genio e lo sterminato talento di scrittori come Pasolini, Lorca, Eluard, Ungaretti, Fortini, lo stesso Dante sopra tutti, che nella poesia sapevano trovare strumento e arma di battaglia e di lotta, di polemica e di impegno incisivo sulla Storia. La mia voce è incomparabilmente più flebile, flebilissima, incapace fin di di trovare singole parole adeguate all’indignazione, all’angoscia, alla rabbia, al ribrezzo di fronte a questa onda anomala di follia e di depravazione reazionaria. Un'onda che pare inarrestabile, che minaccia di abbattersi su di noi portandoci indietro di decenni, e che anzi si è in parte già pesantemente abbattuta sulle nostre teste.
Per questo sempre più di frequente mi devo fermare, prendere fiato dall'affanno che mi vela la vista, cerco di ritrovare una traccia visibile del percorso compiuto fin qui, un orientamento al mio cammino, scavando a mani nude tra i detriti e le macerie che coprono i segnali rossi che marcano il sentiero, cercando di disseppellirli uno ad uno man mano che faticosamente avanzo.
La scrittura, beninteso, per me continua ancora, mi accompagna sempre, ma per poter pubblicare sento la necessità di elaborare (e di “soffrire”) molto più di un tempo. E proprio per il rispetto che devo ai miei quattro lettori, voi amici e amiche, non me la sento di procedere a qualsiasi pubblicazione fintanto che la mia visione rimane così confusa e turbata.

Oggi comunque, dopo questa pausa prolungata provo a riprendere (forse non a caso occupandomi di un sentimento insieme dolce e devastante, confortevole e distruttivo, quale è la nostalgia) questi miei appuntamenti, ma per la prima volta da anni senza sapere veramente se riprenderà in modo continuativo o se invece rimarrà frammentario, discontinuo, sebbene nel mio taccuino vi siano sempre decine di testi che attendono e chiedono con insistenza di uscire nel mondo. Perché lo stato d’animo, se pure non “placato”, deve essere almeno sufficientemente lucido e sereno per poter affrontare il necessario lavoro di lettura e revisione indispensabili prima di proporre alla pubblicazione alcunché.

Perdonatemi questa lunga prolusione, ma penso che la vostra amicizia e la vostra fedeltà a queste paginette meriti da parte mia non una giustificazione, ma certo almeno un tentativo di intima e scoperta confessione.
Vi lascio alla lettura di questo breve testo in endecasillabi piani, dedicato alla mia antica città d'adozione, che ho lasciato orai da quasi tre anni, un testo semplice e ingenuo come lo è la “nostalgia” per il tempo che ineluttabilmente ci lasciamo alle spalle e quella per la nostra prodiga e forse sprecata giovinezza.

con amore
M.P.





Nostalgia e Milano


Avrei detto mai che avrei provato
questo strano, un poco obliquo
sentimento del tempo sprecato
che potrei chiamare nostalgia,
se non ne temessi la greve risacca
in un’ondata di cruda amarezza:

sì, direi nostalgia, per la città
che ho abbandonato, per la Milano
che ho abitato nei miei anni più cari,
e più disperati, per le sue piogge
petulanti e malate, per quei giorni
di smarrimento, per le luci e le ombre

cupe dei viali e dei cavalcavia,
per le passeggiate vaghe e affrettate
in vie affollate di morte illusioni,
morte foglie cadute di mortali
illusori traguardi, un camposanto
di mortali soccombenti ambizioni.

(Vestivo elegante, un abito nero
attillato sul mio corpo minuto,
scarpe col tacco e intrepide gambe
per il mio primo colloquio importante,
e fremevo con la mia giovinezza
colma di rabbia e spavalda fierezza.)


Marianna Piani
Kilkenny, Febbraio 2019





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sabato 26 ottobre 2019

Per raggiungere me



Amiche care, amici

L'irlanda, dove ormai da oltre due anni ho fissato il mio piccolo esilio volontario, è un Paese ventoso, e ventose sono le mie terre d'origine, Trieste, il suo mare e il suo retroterra carsico, e forse per questo fin dal primo momento in cui mi ci sono stabilita mi sono trovata in qualche modo a casa mia, dopo l'altro assai più lungo esilio trascorso a Milano, memorabile certo più per le sue nebbie novembrine. E anche il mare, sebbene io abiti un po' all'interno, si fa sentire in qualche modo nell'aria, e un poco anche nel carattere delle persone che incrocio, cordiali, accoglienti e nel contempo selvagge.
Proprio in una ventosa, selvaggia serata di Febbraio, così tipicamente irlandese, è nata questa riminiscenza che oggi vi propongo.


Grazie sempre per la vostra presenza, mi scuso per l'assenza della scorsa settimana, ero travolta da impegni.

Con amore
M.P.




Per raggiungere me

Che vago sussulto del cuore
sentire il rumore del vento
questa sera quassù, così lontano
dal tempo e dai luoghi
incomparabili della memoria.


Porta esso con sé i profumi aspri
delle scogliere, non tanto lontane
da qui, e – mi pare, ma forse
è soltanto una sfuggente illusione –
quello più pacato delle pinete.


Le scure tenaci radici
aggrappate con spasmo alla pietra
bianca del Carso, anch’essa,
per un sortilegio nebulizzata
nel vento, e fin qui giunta.


Forse, ma non oso crederci invero,
questi elementi dai miei luoghi
e dai miei tempi si sono imbarcati
sopra queste folate di maestrale
proprio per raggiungere me.


Marianna Piani
Kilkenny, Febbraio 2019


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domenica 13 ottobre 2019

Incidevo corteccia



Amiche care, amici,

credetemi, non è come si pensa: non è l'orgoglio, né la gaiezza, bensì il disagio, l'amarezza, la solitudine e anche il dolore a segnare la vita di chi ama in modo diverso. O che ama d'un amore per qualunque motivo contrastato, importuno, fuori dagli schemi sociali, o di virtù, o di ceto, o di convenienza, o religione, o etnia, o colore della pelle.

Personalmente per anni, e ancora oggi, ho sentito addosso il peso del giudizio, e del pregiudizio, a volte perfino, in qualche modo, di quello positivo. La riprovazione inespressa, quella dichiarata, a volte anche ad alta voce, o espressa con atti concreti di esclusione, di fobia, e perfino di violenza; oppure al contrario la solidarietà eccessiva, un po' sguaiata, esibita, non esente anch'essa di un cumulo più o meno nascosto, più o meno inconfessato di pregiudizi.

Che poi l'unica cosa che vorremmo davvero con tutte le nostre forze, noi innamorate, è che questo nostro amore, la nostra vita, la nostra reciproca dedizione passassero semplicemente il loro tempo, breve o lungo che sia, inosservati, segreti, uguali a quelli di milioni di altre e altri come voi, e come noi.
E proprio il tempo dell'amore, e la sua perpetuazione, è il soggetto di questi versi, nati senza un titolo, forse per pigrizia, forse per noia, forse per intima necessità, e così rimasti...

Grazie per la vostra presenza qui, come sempre, con amore.
M.P.







Incidevo corteccia di tagli profondi
con penosa fatica, lettera per lettera
tracciavo parole che dicevano il tempo
e i luoghi e i ricordi che avevamo vissuto
soffrendo forse assai più che gioendo
del nostro malversato amore.

C'era chi ci accoglieva con sguardi di scherno,
chi ci riservava morbose attenzioni,
chi ci inquadrava nel suo mirino,
pronto a esplodere i colpi
della sua miseranda impotenza;
e amiche eleganti emancipate
che ci sfuggivano con malcelato disprezzo.

Così, sotto il nostro platano grigio
come il volto aggrottato di un vecchio
ci accoccolavamo, una con il capo
appoggiato alla tempia dell’altra,
nell’ombra che complice ci avviluppava
rendendoci solo vaghe visioni.

Era un istante, una pausa nel corso
di quel tempo, infinitesimo e immenso
tra noi finalmente: inosservate
potevamo saldare le nostre anime assieme.
Allora incidevo parole nel legno sapendo
che sarebbero cresciute con noi.
Il tempo così sarebbe stato sconfitto.

Marianna Piani
Irlanda, 3 Febbraio 2019


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domenica 6 ottobre 2019

Voci di parole




Amiche care, amici,

ora mi rendo conto che tutta la mia vita è stata una continua, disperata ricerca di un senso, di una ragione, di una direzione che mi aiutasse a riconoscere me stessa nello specchio dei miei pensieri, e per tutta la vita mi sono affidata alla Parola, alla volontà di dire, di interloquire, di comprendere attraverso il veicolo di questo umanissimo miracolo, che può essere un dono inestimabile, un'arma terribile, e il forziere della nostra memoria.

Come è strano che la mia vita, edificata sopra la mia capacità di creare immagini, visioni, figure, forme, colori, che produco per mestiere, sia peraltro così profondamente radicata in una epressione tanto astratta e immutabile, quale è la parola.
Le immagini sono parte della mia vita, ma non ne forniscono una spiegazione, una riparazione, o una giustificazione, e nemmeno una raffigurazione. Sono soltanto oggetti, rappresentazioni del mio sistema di visione e di immaginazione.
La Parola, invece, è l'ordine che inseguo da sempre, l'espressione panica della nostra solitudine di fronte all'universo. L'universo, si sa, è per definizione irrappresentabile: tutta la mia ricerca dunque è un tentativo, destinato a rimanere irrisolto, di trovare una interpretazione formale a questo "irrapresentabile".

È qui, solo qui, tutta qui la mia ricerca, che so essere, ancora una volta per definizione, destinata a non raggiungere mai una meta, e sempre ripartire daccapo.

Con amore
M.P.




Voci di parole

Quanto ho cercato in questi anni parole,
i miei più intimi colloqui, e sul fondo
di questi fiumi, ora lenti e torbidi,
ora impetuosi, ora smarriti in secche
aride e infruttuose, il senso della
mia ricerca affannata e disperata


Quanto anche ho cercato tra le parole
dei poeti, nei loro vuoti, nei loro
silenzi indecifrabili e bastardi,
negli spazi bianchi, disseminati
apposta tra i versi, tra strofa e strofa,
e negli occhielli dei volumi a stampa


Non ho cercato saggezza, e neppure
la traccia d’una qualsiasi armonia,
né il suono d’una ritrovata grazia.
Non la conoscenza, colà criptata,
né l’onestà dei giovani folli anni.
Solo la voce fertile del poeta


immutata, come acqua che sprigiona
dalla montagna, voce di parola
e di pensiero che inonda l’invaso
e poi ne fugge in tumulto, svellendo
dal fondo massi, e sassi frantumati,
e radici di abeti millenari


mai domati.


Marianna Piani
Irlanda, Gennaio 2019



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domenica 29 settembre 2019

Esci via da me, pensiero


Care amiche, amici,
oggi propongo alcuni versi scritti poco meno di un anno fa (non registrai la data precisa) quando più forte e viva era la sensazione di vedere il mio paese sprofondare in un abisso di ineluttabile, progressivo degrado; un degrado di umanità, di sensibilità, perfino di pura e semplice dignità.
I giorni di relativo, e probabilmente momentaneo respiro che stiamo vivendo in queste ultime settimane, un anno fa sembravano inconcepibili, e assistevamo con un misto di angoscia, orrore e disperazione a un susseguirsi progressivo di avvenimenti che parevano inarrestabili, sostenuti da un’onda devastante di risentimento, rancore, odio, xenofobia spinta fino a un aperto razzismo, quale non avevamo mai visto prima, e non solo noi, ma neppure la generazione prima di noi.

Non inserii questi versi nella mia piccola antologia in preparazione: all’epoca in cui ero impegnata nella raccolta e nella selezione dei testi, questo mi appariva troppo legato alla realtà contingente, anche perché in quel momento ci trovavamo ancora pienamente dentro quella temperie, la indegna e incivile piazzata nota come “il discorso del Papeete” che pose repentinamente fine a questo ignobile capitolo di storia, o cronaca, era ancora lontana da avvenire, e del tutto imprevedibile.
Ora però siamo, come dicevo, in un momento in cui l’imprevedibile è avvenuto, e quindi è possibile girarsi per un momento indietro per vedere cosa ci siamo, per ora e fortunosamente, lasciati alle spalle, e che cosa rischiamo di ritrovarci di fronte molto presto, se non saremo capaci di impegnarci con tutte le nostre forze per creare una alternativa valida.

Al tempo in cui scrissi questi versi la mia stessa scrittura, il senso che essa poteva avere in questo momento per me e per la mia vita dentro questa realtà profondamente squassata dalle sue stesse fondamenta (Costituzione, Carità Cristiana, Democrazia), era entrata in una fase di profonda crisi, da cui in realtà non sono ancora uscita, tanto è vero che mi è tutt’ora penoso, terribilmente faticoso scrivere “poesia”, proprio io che ero abituata invece a dover piuttosto contrastare una eccessiva facilità di scrittura, non sempre accompagnata da una qualità almeno accettabile.
La Parola, per me così importante, essenziale, evaporava, diveniva sempre più inafferrabile, sempre più inconcludente, di fronte a un incendio che stava devastando le mie certezze, infiammando le mie più profonde convinzioni etiche, morali e umane.
Si tratta questo di un lavoro impegnativo, ancora in pieno svolgimento; piano piano sto ritrovando un equilibrio, e confrontandomi con altri (e forse proprio questa per me è la più grande novità) che condividono le mie idealità, i miei timori, le mie speranze, sto ritrovando un senso a ciò che sto facendo. 
Mi rendo conto che non meno di prima, ma forse più che mai ora, una strofa che parla dell’amore è vitale, palpitante, e carica di senso, importante da trasmettere, da condividere.

In fondo soltanto l’amore, proprio quello più disarmato e nudo, soltanto l’amore può davvero sconfiggere l’odio.

Con amore, come sempre grazie per la vostra lettura, grazie di essere qui.
M.P.






Esci via da me, pensiero, svapora,
sfuggi come una nuvola di fiato
nel gelo dell’alba urbana,
condènsati sui vetri degli androni,
sulle lastre delle vetrine,
negli occhi tristi dei passanti,


mùtati in rugiada e lacrime
che venano i muri grigi
dei palazzi e delle case
lungo i viali spogli di forme e storia
delle periferie. Ora è il momento
di darmi il senso, in fine, del tuo fluire.


Ogni senso è liquefatto ormai, cola
come quella rugiada, prende forma
senza una forma, come l’acqua
in un torrente, s’adagia, e riprende
a precipitare, e tracima l’alveo
in cerca di un’etica che muore.


Incombono le livide ombre
di ciò che credevamo annientato
per sempre: non i campi, o le siepi
di filo spinato – per ora – né i roghi
della ragione; peggio ancora
nuove tenebre ad accecare menti.


Mi appare nuovamente immorale
scrivere ora in colonne di versi.
Occorre agire. Forse anche morire.
Non più parola: il pensiero si fonde
in un rogo indecente
di cronaca e storia.




Marianna Piani
Irlanda, 2019





(Per chi volesse, la mia seconda raccolta "Sillabario lirico e sentimentale" è disponibile da Amazon in formato tradizionale qui, e eBook qui.)

domenica 22 settembre 2019

Qualche pigra parola



Amiche care, amici,

desideravo per prima cosa ringraziare un'altra volta tutti coloro, e non sono pochi, che mi hanno onorata con la loro attenzione, acquistando su Amazon (in eBook o su carta) la mia ultima "fatica", "Sillabario lirico e sentimentale".

Non essendomi rivolta a un editore, ma avendo scelto la via - un poco controversa - della autopubblicazione pura, non mi attendevo davvero la risposta che ho ottenuto in così breve tempo. Beninteso, si tratta sempre di numeri in assoluto modestissimi, tuttavia, dopo il mio "esordio" in stampa di un paio di anni fa, che ebbe un riscontro talmente minimo da spegnere in me ogni eventuale ambizione di successo, se mai ci fosse stata, certamente non mi aspettavo che così tanti lettori mi concedessero la loro fiducia.

Sinceramente, ho sempre scritto soltanto perché sentivo la spinta a farlo, radicata dentro di me, e mai per avere "audience"; e non ho mai e poi mai inseguito i numeri, né su questo sito né sulla distribuzione dei miei testi stampati. Tuttavia la scrittura ha valore solo se incontra la lettura, e se anche è vero che un alto numero di lettori non rendono necessariamente un testo valido, è anche vero che un testo che non presupponga la presenza e il riscontro di (pochi o tanti) lettori è quasi sempre un testo privo di valore.
E questo vale tanto più per un testo poetico, dove il "poetico" si distingue dal "prosastico" principalmente per la maggiore - a volte assolutamente prevalente - rilevanza data alla "parola" rispetto alla "narrazione". Un testo poetico riceve senso soltanto quando è recepito e, per così dire, decodificato da una comunità di lettori, non essendoci la traccia della "storia" a garantirgli una sopravvivenza "oltre" il testo.

Dunque, l'unica cosa che posso fare a questo punto è ringraziare di cuore tutti, lettrici e lettori, e non solo coloro che hanno avuto fiducia e hanno voluto portarsi fisicamente a casa un pezzetto della mia vita sotto forma di pagine in carta o digitali, ma anche tutti coloro che di quando in quando trovano la curiosità e il tempo di soffermarsi su queste pagine, assai più volatili, ma anch'esse rese significative soltando dalla presenza di chi ha la bontà di accostarsi e leggerle.
Grazie davvero, grazie infinite!

Vista questa vostra benevolenza, ho sentito ora la necessità di riprendere in mano la mia prima raccolta ("Le solitudini e i luoghi") di cui dicevo sopra, che fu un primo esperimento nato quasi come una scommessa con me stesssa, e ora sto lavorando alacremente su una sua riedizione, totalmente rielaborata - quindi non solo rivista e corretta, ma proprio ripensata e ristrutturata; ma di questo dirò più in là, quando sarò in dirittura di arrivo...

A proposito di "parole", la lirica che propongo oggi si occupa proprio di "parole mancate", quelle che per stanchezza, per pigrizia o abitudine a volte trascuriamo di dire a chi ci ama.

Queste parole orfane, questi pensieri non tanto "mai nati", quanto "mai detti", sono come il tempo che ci sfugge di mano e che sappiamo non tornerà mai più, portando via con sé tutte le sue occasioni uniche, preziose, irripetibili. Ogni parola d'amore, di tenerezza, di affetto che dimentichiamo o rinunciamo a dire alla persona che ci sta accanto e ci ama, e forse la aspetta, sono altrettanti pezzi di felicità che scivolano via dalla nostra vita, e ci sfuggono per sempre. Non c'è nulla che possa compensare questa perdita, non esiste motivo tanto grande da giustificarla.
Il dramma è che ce ne accorgiamo solo quando il danno - alla nostra felicità - è ormai compiuto.

Con amore

M.P.






Qualche pigra parola ti dirò
soltanto:

la stanchezza chiude e scarica il giorno;
tu t’affidi a un farmaco per lenire
il tuo dolore profondo, invisibile
sotto la superficie del tuo calmo
respiro.


Lento. Regolare. Lo ascolto, come
tutte le notti: è il suono caro, fragile
della tua vita che fluisce al mio fianco.
Vorrei aver trovato oggi per te
quelle parole d’amore che tu
t’attendi, che meriti, che rimpiangi.
Senza dire. O sapere.


Qualche pigra parola sfumerà
nel pianto.

Ciò nonostante, per il dolore o
l'abitudine, oppur per allegria,
ci rimarremo accanto.



Marianna Piani
Irlanda, 2019



Per chi volesse, la mia seconda raccolta poetica "Sillabario lirico e sentimentale" è disponibile da Amazon, sia in formato tradizionale (qui) che eBook (qui) .
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domenica 15 settembre 2019

Un folle bacio e alcune facili rime




Amiche care, amici,

sono rientrata giusto una settimana fa da un lungo viaggio che mi ha privata temporaneamente della presenza della mia compagna, rimasta in Irlanda per motivi di lavoro, come motivi di lavoro sono stati quelli che mi hanno costretta a partire.

Nulla come una sia pur momentanea lontananza ci fa sentire l’importanza di una presenza affettiva, e anche d’amore e di desiderio. Lunghe notti in albergo – o in casa, a Milano – mitigate solo da lunghe telefonate serali che non alleviano, ma anzi rinfocolano la percezione di solitudine. Stranamente, pur potendolo fare, né io né lei abbiamo voglia di andare in video, su Skype o WA, che pure per lavoro utilizziamo frequentemente, come se quell’immagine fosse troppo artificiale, artificiosa, incorporea, staccata da noi, e finisse per farci sentire più lontane ancora, fisicamente ed emozionalmente. Preferiamo affidarci alla telefonata tradizionale, che percepiamo come più intima e sensuale, come un dialogo sussurrato a brevissima distanza.
È comunque un’illusione effimera, che si dissolve al momento di chiudere la comunicazione. E a quel punto la solitudine si corica al nostro fianco e torna ad essere la nostra unica fedele compagna di viaggio.

Il ritorno, l’arrivo all’aeroporto, dove ritroviamo lei (o lui) ad attenderci con un luminoso sorriso che si accende non appena ci scorge tra la folla, è il momento in cui si sciolgono tutti questi sentimenti contrastanti, il disagio sottile di queste attese, e la gioia intensa di ritrovarsi, rinnovata come se si rinnovassero gli attimi e le emozioni del primo incontro; questo momento compensa in un colpo solo tutti i giorni di tristezza e di smarrimento. Facendoci capire ancora una volta quale immensa meraviglia è per tutti noi l’amore…

La lirica che segue, scritta circa un anno fa, cerca di raccontare uno di questi magici momenti, in cui ero io ad accogliere lei al ritorno da un lungo interminabile tour di concerti (in Danimarca e Belgio).

Con amore
M.P.



Un folle bacio e alcune facili rime


Ho scelto, per venirti incontro amore
l’abito più semplice e più bello:

come un fiore aperto al sole
la gonna che m’accarezza
le gambe ansiose.
Le scarpe con il tacco che rintocca
il mio passo sulla pietra della via,
annunciando al mondo intero
la mia irrefrenabile allegria.
La camiciola bianca in seta fina
che rivela l’ansia tesa
del mio petto – che ti vuole, adesso! –
illuminato da una collana
da due soldi che spicca tuttavia
come il lampo torrido dei tuoi occhi
chiari, dissi un giorno indulgendo
nel banale, come laghi alpini.
Gli orecchini che mi donasti
che sprigionano faville
sotto il sole sghembo di settembre.
Un nastro infine tra i capelli neri
che ho appena accorciato per esaudire
un tuo volere.
Per poterti ancor piacere.

E finalmente questa sera, dopo
tanto lontano viaggio, poserò
sulle tue labbra vertiginose
come il peccato, un solo, unico
appassionato, eterno, folle bacio. 

Ci perderemo insieme, tu ed io,
già qui nel salone aperto e affollato
della stazione, tra le corriere.


Marianna Piani
Kilkenny, 27/09/18





Per chi volesse, la mia seconda raccolta poetica "Sillabario lirico e sentimentale" è disponibile da Amazon, sia in formato tradizionale (qui) che eBook (qui) .

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sabato 7 settembre 2019

La mia compagna canta




Amiche care, amici,

Riprendo a pubblicare i miei pensieri, dopo una breve pausa per un rapido "viaggio in Italia" (per motivi di lavoro).
È un poco curioso sentirsi in qualche modo straniera in patria, anche se in realtà nulla mi sembra cambiato, e dopo poche ore a Milano avevo la sensazione di non essermi mai mossa.
Ciò che più mi ha colpito, appena mi sono risvegliata e sono uscita per la colazione al bar sotto casa, è stata la luce sfolgorante, quasi accecante, del tutto diversa da quella soffusa, cristallina ma già quasi autunnale che avevo lasciato poche ore prima in Irlanda.

In Irlanda avevo lasciato anche la mia compagna, impegnata in un giro di concerti, ed è la prima volta da oltre un anno che mi ritrovo sola con me stessa, a milleseicento chilometri di distanza, a dormire in un letto che mi sembra diventato troppo grande. E anche i miei gatti sono rimasti ad aspettarmi laggiù. O meglio, lassù.
Non sento la solitudine però, non ne ho avuto il tempo, sono stata troppo impegnata per il lavoro, e già stasera mi imbarco e sarò a Dublino a mezzanotte, dove la ritroverò ad attendermi.

Tuttavia provo un sottile senso di tristezza, di mancanza, come se questi giorni trascorsi senza di lei fossero dei giorni vuoti, sprecati, non vissuti. Non vissuti a pieno, almeno. Un tempo sottratto, passato, e perduto per sempre.
Non resta che evocare la sua presenza nella memoria, e per me la poesia è precisamente il luogo e il rifugio della memoria.
Per questo la breve canzonetta che pubblico oggi risponde perfettamente al mio stato d’animo, combattuto tra la dolcezza del ricordo e l’ansia dell’imminente ricongiungimento.

Con amore
M.P.





La mia compagna canta


La mia compagna mi è accanto,
e mi dice: – canto.
Perché così non sarai più sola –
e con la sua mano, piccina
e salda, mi tocca una spalla
con quella sua dolcezza amara.

E quieta quieta intona la sua voce
così uguale a quella d’un flauto antico,
mormora note morbide e distese
che mi penetrano la mente come
fossero da sempre mie, e dunque
giacciono con me come fa il suo corpo

spoglio, accendendosi di voglia e gioia.


Marianna Piani
Dicembre 2018


(Per chi volesse, la mia seconda raccolta "Sillabario lirico e sentimentale" è disponibile da Amazon in formato tradizionale qui, e eBook qui.)






domenica 25 agosto 2019

Non una parola più, non un verso



Amiche care, amici,
Propongo un'ultimo componimento tratto dal mio libretto "Sillabario lirico e sentimentale", pubblicato da poco e disponibile su Amazon, per chi ne fosse incuriosito o interessato, sia in formato "paperback" tradizionale [QUI], che in eBook [QUI].
Colgo l'occasione per ringraziare ancora una volta davvero di cuore, con grande riconoscenza, tutti gli amici e le amiche che hanno voluto acquistare il libro, in un formato o nell'altro: per me è un'emozione grandissima sapere che la mia "creatura" ha trovato qualcuno che l'ha accolta. Grazie!

Questa è una delle ultime liriche della raccolta (prima dell'appendice dialettale), e l'ho voluta collocare proprio in quella posizione, violando anche un poco lo stretto ordine cronologico che ho tenuto coerente in tutto il volume, perché la sentivo, e la sento, come conclusiva di un intero ciclo della mia scrittura.
Dopo un lungo periodo in cui la scrittura mi scorreva piuttosto copiosa, spinta da una forte necessità tutta interiore, lo scontro con una realtà esterna nel frattempo profondamente mutata, resasi per me estremamente difficile, direi quasi intollerabile, ha messo in crisi forse definitivamente questa ispirazione primitiva quasi istintiva, obbligandomi a chiedermi praticamente a ogni singola parola che senso avesse questo mio esercizio di libertà espressiva ed estetica. Che senso avesse questo mio canto sommesso e tutto ripiegato su me stessa di fronte alla necessità divenuta ora per me impellente, irrinunciabile, di intervenire in prima persona e direttamente sulla realtà, per sostenere una lotta concreta contro ombre sempre più dense, cupe e minacciose.
La scrittura, che per me, anche quand'era fluente non è mai stata una passeggiata di salute, mi è divenuta penosa, difficile, aspra, dolorosa, stridente, come uno scavo in un terreno inaridito e pietroso. Ci fu anche un momento in cui ebbi la convinzione che non sarei mai più riuscita a scrivere nulla, nulla del tutto, come se avessi perduto la mia visione della vita, e la capacità di tradurla in immagini e parole.
Ora so che non è così, ma che sto effettivamente attraversando un momento di profondo malessere e di ripensamento sul vero valore intellettuale, e non (solo) estetico o (peggio) intimistico della poesia, e intendo proprio la poesia Lirica, dal momento che è questo e non altro il mio strumento d'elezione.


Ci sono altre parole, nella raccolta, e anche nel mio taccuino, altri versi dopo questo qui pubblicato - e non a caso come dicevo all'inizio questo è solo uno tra gli ultimi testi della raccolta, ma non è l'ultimo.
Subito dopo di esso riprendo il discorso temporaneamente interrotto proprio con un testo di rinnovata "fede" nella scrittura poetica, intesa come strumento di intervento sopra il mondo...


Amiche care e amici, vi lascio dunque alla lettura.
Dalla prossima settimana probabilmente riprenderò il corso normale del blog.


(Comperate il libro!)
Con amore


M.P.






Non una parola più, non un verso


Nulla. Non una parola distillata
nell’attesa, non una sola
scaturita dal pensiero
che pur mai è stato turbato
com’è ora.


Davanti, il precipizio – giù a piombo
la vasta la pianura, che si dilata
fino all’orizzonte pare, e oltre.
Non si può guardare dentro quel vuoto
senza un senso di scoramento.


La nebbia rende vaga la distanza,
stare lassù e non sapere cosa
davvero avviene sotto quelle coltri,
questo è il dramma, la nostra ansiosa
afasia in fronte a ciò che accade fuori.


Vorremmo prendere parola
ma non riusciamo a superare il chiasso
di chi esulta stoltamente – per niente! –
mentre il mare ingrossa: ed è il naufragio.




Marianna Piani
Irlanda, Aprile 2019


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domenica 18 agosto 2019

La tua vita contiene...


Amiche care, amici,

propongo anche oggi uno dei testi pubblicati sul mio ultimo libro, "Sillabario lirico e sentimentale", disponibile per chi volesse su Amazon sia in formato tradizionale (<Paperback>, 250 pagine) che <eBook>.

In questo caso ho scelto un "quasi sonetto", formalmente piuttosto tradizionale, ma strutturato un po' come un montaggio cinematografico, per immagini accostate senza transizione, a stacco, e senza un ordine preciso se non per pura associazione di idee. Il discorso è in seconda persona, ma è diretto a me stessa. il "tu" qui sono in realtà "io", con ritagli sparsi dei miei ricordi più grati e più intensi. Da ognuno potrei sviluppare il tema di una lirica a sé, ma qui hanno il valore dei tocchi di colore su un dipinto quasi astratto, colto per sensazioni, emozioni, più che per impressioni.
Avrei potuto intitolare il brano "la mia vita contiene...", e svilupparlo di conseguenza, in modo soggettivo, ma sentivo la necessità di marcare un distacco più netto da questa materia, da queste immagini, e soprattutto dalle emozioni che le hanno generate.

Devo aggiungere che, nel trascrivere qui questo testo direttamente dall'originale pubblicato, non ho potuto resistere a introdurre una - importante - variante: proprio all'ultimo verso, quello di solito più delicato perché costituisce il punto d'arrivo di tutta la composizione, ho sostituito l'avverbio "perdutamente", troppo compiuto e chiuso, e forse alquanto scontato, con "finalmente", che sottende una dinamica più evidente di attesa e di desiderio, così rispecchiando meglio il mio stato d'animo al momento della prima stesura.
Questo solo per significare come in poesia il lavoro di elaborazione del testo, e del suo stesso significato, non si ferma mai, nemmeno dopo una pubblicazione considerata "definitiva".
Come per ogni organismo vitale, anche in poesia di definitivo vi è solo la morte.

Con amore
M.P.




La tua vita contiene…


La tua vita contiene: – I mille sogni
d'infanzia. – Le forti, rinvigorenti
spinte dell'onde. – Le piogge odorose
dell'autunno precoce che tu cogli

come una grazia sul viso innocente,
goccia a goccia. – Le corse sugli scogli
a balzi, come stambecchi. – Gli abbagli
che luccicano in mare. – Lo scosceso

sentiero che a quel mare sprofonda
e ti precipita fin giù alla spiaggia.
– Le alghe e i coralli sulla sponda,

quella che t'appartiene. – L'erosione
che scopre le rive mostrando le ossa
dei tuoi ricordi e pensieri. – Le canne

che sibilano negli stagni. – E più
il verde prato dell’anima tua
quaggiù, finalmente innamorata.


Marianna Piani
Luglio 2018



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sabato 10 agosto 2019

Porto franco




Amiche care, amici,

proseguo nel presentarvi alcuni estratti dal mio ultimo libro "Sillabario lirico e sentimentale", disponibile, se lo vorrete, presso Amazon sia in formato cartaceo (11€ qui) che digitale (1€ qui).

Una delle "novità" per me più rilevanti di questa raccolta è la presenza di alcuni componimenti in dialetto triestino, quello della mia città natale e quindi della mia infanzia e prima giovinezza.

Non avevo mai pubblicato poesia dialettale prima d'ora sul questo blog né altrove, e mi era capitato molto di rado in passato di sentire l'esigenza di esprimermi in quell'idioma, se non per brevi occasionali strofe, comunque inserite in un ambito linguistico del tutto italiano.
Curiosamente - ma forse a pensarci bene non è così strano - è stato il mio trasferimento in Irlanda, quasi due anni fa, e l'immersione totale e quotidiano in un ambiente linguistico nuovo, oltre alla distanza che mi preclude ora anche psicologicamente la possibilità di tornare, seppur di rado, alle mie terre di origine, che ha fatto scattare questa scintilla improvvisa, e il bisogno di recuperare in qualche modo dalla memoria quei suoni, quelle cadenze, quei ritmi, così intimamente legati ai luoghi in cui ho consumato la mia infanzia.
Ma non si è trattato solo di un'operazione di memoria, e tanto meno di nostalgia, che in realtà è estranea alla mia sensibilità: io per educazione, cultura, e anche per le mie origini ebraiche, mi sento quasi per un istinto profondo un'anima "errante", senza radici affondate in una terra particolare, più navigante che contadina, da sempre mentalmente rivolta al mondo. E non a caso andai via dalla mia città non appena ebbi l'età della ragione, e da allora, pur stanziando per periodi più lunghi a Milano, mi sono mossa in giro, per lavoro, un po' in tutta Europa, Stati Uniti e, una volta (ma importante) anche in Cina. E ora questo mio, per molti motivi forse definitivo, ultimo trasferimento.

In realtà quello che mi ha affascinato, dietro l'onda del ricordo, nel ritornare al mio dialetto è stato l'incontro con sonorità, lessico, timbro, musicalità del tutto diverse dall'Italiano, del tutto nuove, per me, dal punto di vista della composizione. Per fare un parallelo non tanto forzato con l'ambito musicale, è stato come passare dalla tastiera di un pianoforte a quella di una chitarra. Concetti, emozioni, temi (le note) sono i miei consueti, ma cambia totalmente il timbro, l'arrangiamento, la tecnica e l'impostazione della frase musicale. Non è solo questo, la cosa è più complessa, ma questo esempio può aiutare a comprendere come questa "scoperta" mi abbia preso ed impegnato con entusiasmo, pur senza mai abbandonare il mio consueto lavoro in italiano.

Potrei dire che è un lavoro simile a comporre in un'altra lingua, per esempio l'inglese, di cui abbia una quasi completa padronanza, ma non è la stessa cosa, si tratta di qualcosa di più profondo, che risale a un tempo primordiale dello sviluppo della mia personalità, ed è legato in modo inestricabile a luoghi precisi, tanto da risuonare come una loro diretta emanazione sonora e concettuale.

Aggiungo che io non fui educata in dialetto: i miei erano di nascita diversa, mio padre istriano, mia madre veneta, e curarono con molta attenzione a farmi apprendere un corretto uso della lingua Italiana, che consideravano fondamentale per la mia educazione di base (assieme ad Inglese e Francese, cui mi avvicinarono fin da dall'infanzia, e di questo non finirò mai di ringraziarli). Tra di loro e con i loro conoscenti usavano sì il dialetto, ma lo usavano di rado, e mai in ambito familiare. Io quindi imparai il dialetto, letteralmente, in strada, con i compagni e compagne di giochi, e a scuola, oltre che nell'uso comune nella vita quotidiana, essendo Trieste, un po' come Napoli, una città ancora molto "dialettale", proprio nella pratica di vita quotidiana, sul lavoro, al mercato, nella scuola, perfino nei circoli culturali più raffinati.

Per questo la mia pratica dialettale è sempre stata molto "pensata", molto consapevole e voluta, e questo certamente ha una valenza molto speciale per me.
Infine, come ho detto lasciai la città molto presto - sui miei 19 anni - e da allora ebbi sempre meno occasioni di usare questa lingua, che quindi si è depositata come uno strato di sedimento profondo nella mia memoria.
Ritrovarla, a distanza di tanto tempo, è stata una esperienza di grande significato, per tutti gli aspetti, espressivi, di forma, di suono, di sintassi, di lessico, di ritmo.

Ora sto continuando, sporadicamente e senza una vera intenzione continuativa, a comporre in dialetto, non posso ancora dire se si tratta di un innamoramento contingente, o se si trasformerà in una pratica usuale e continuativa. Ma finché sentirò l'esigenza di risentire questi suoni, e ne proverò piacere, continuerò. Se lo sarà, forse un giorno dedicherò una raccolta interamente ad essa, ma per ora semplicemente seguo l'ispirazione del momento: nulla di forzato, tutto molto naturale: semplicemente vi sono argomenti, pensieri ed emozioni che "chiedono" di essere espressi in dialetto.

Quella che presento oggi è la composizione eponima della piccola raccolta, "Porto franco".
Il porto di Trieste è stato fin dalle origini ottocentesche un PORTO APERTO, anche definito da precise funzioni legali e commerciali con una denominazione ufficiale, appunto, di "porto franco", e mi è sembrato molto significativo aprire la raccolta ricordando, indirettamente ma non troppo, come la attuale demenziale e criminale politica dei "porti chiusi" sia in contrasto con ogni possibile logica di umanità e di sviluppo. A Trieste, per decenni e decenni, proprio per la presenza di un "porto franco", si incrociarono culture, lungue, usanze di ogni parte del mondo, e proprio questo fece di questa città, per un breve ma intenso periodo aureo, uno dei centri culturali e commerciali più importanti d'Europa.

Naturalmente, poiché si tratta di un dialetto, e per di più di nicchia, non certo diffuso come il romanesco o il napoletano, ho provveduto a comporre una traduzione in Italiano, per tutti i testi pubblicati nel libro.

Con amore
M.P.






Porto franco



Go visto le foto picade
in un bareto in zentro
un poco in scuro, in scondòn:
qua ’na volta pasava i cavai
strassinando cari càrighi
de sachi de café
qua iera le sine dei cari
che vigniva suso dal scalo.
I bastimenti i fis’ciava cussì:
a longo co iera caligo,
curto per saludarse tra de lori.

Questa che ogi qua scrivo
ma ’sai poco ormai parlo
per ani e ani xe stada
la lingua franca de ’sto porto,
misiada a mile altri parlari
de tuti i cantoni del mondo.
Epur, se se capiva
’sai più che ’deso, in fondo…


Marianna Piani





Porto franco


Ho visto le foto, esposte
in un baretto in centro,
un po' nascoste, nell'ombra:
qui passavano i cavalli
un tempo, trascinando i carri
carichi di sacchi di caffè, qui
c'erano le rotaie dei carri
che risalivano dallo scalo.
Fischiavano le navi:
un suono lungo per la nebbia,
un breve colpo per un saluto.

Questa, che qui ora scrivo
ma assai poco ormai parlo,
per anni è stata
la lingua franca di questo porto,
mescolata a mille altri linguaggi
provenienti da ogni luogo al mondo.
Eppure allora ci si capiva
assai più di adesso, in fondo.

(Versione italiana di M.P.)


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