«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

lunedì 15 luglio 2013

Sensi VI


Amiche care, amici gentili,

siamo giunti al sesto appuntamento con quelli che ho chiamato i "Sensi della vita".
Lasciamo i cinque sensi "ufficiali e riconosciuti", e incontriamo il primo di quelli che, secondo me, sono i "sensi" che distinguono di più il nostro genere, tra gli umani, perché la nostra sensibiltà di donne, in millenni di cura e di ascolto dei più sottili indizi della vita di chi amiamo, li ha sviluppati in misura maggiore e più intensa.
Il primo di questi "sensi aggiuntivi" è ciò che chiamiamo familiarmente proprio "sesto senso", e che io ho voluto chiamare con più precisione "Veggenza". Ma potete chiamarlo in molti modi: premonizione, intuizione, previsione, presentimento, ma è sempre lo stesso: la capacità che abbiamo, coinvolgendo tutti i nostri sensi assieme, ed esplorando l'ambiente con la sensibilità acuta che a molte di noi è propria, di "sentire" l'avvicinarsi di un avvenimento, per quanto improvviso e imprevedibile, specialmente riguardo i nostri rapporti con le persone che più amiamo.

Non si tratta di un bel dono, o di un privilegio, questo, badate, poiché questa facoltà di visione anticipata da una parte rimane per noi nella sfera dell'inespresso, dall'altra non può in alcun modo aiutarci né a evitare l'avvenimento, né a sentirne in misura inferiore il peso, la responsabilità e il dolore. Se mai si tratta per noi di provare un'ansia e una angoscia anticipata e diffusa, come chi sappia da minimi indizi del cielo prevedere che di lì a poco il sole si sarebbe oscurato e si sarebbe scatenato un uragano. Egli non può far nulla per impedire l'uragano, nè per impedire che il turbine lo investa in tutta la sua forza. Può soltanto stringere i pugni, chinarsi in avanti, per tentare di sostenerne la violenza...

In questa composizione ho voluto essere diretta, esplicita, poiché soltanto così potevo rendere il senso del disorientamento che questa Veggenza può dare a un cuore innamorato, che percepisce i segni di una fine, di un allontanamento definitivo.
Argomento per me difficile, doloroso, che richiede un grado di esposizione sincera e totale, fino a sentire nuovamente bruciare una ferita che ritenevo ormai rimarginata.

Amiche dilette, amici cari, consentitemi di dedicare a voi queste mie parole, come sempre, e di più, con amore.
M.P.


VI

 

Veggenza



Compresi da come le nubi si addensavano allo zenith,
e da come il vento mi alitava il tuo nome, sì, compresi
che s'approssimava la fine della storia, e che tu
avresti presto attraversato quell'uscio, senza voltarti

nemmeno per un ultimo cenno, o un distratto conforto
al mio dolore, o per fingermi una irragionevole speranza.
Così come, già la sera prima tutto seppi da come attizzavi
la tua sigaretta, dopo una notte sia pur di passione...

Dio, quanto ho odiato, le tue sigarette, e quanto ne ho adorato
il gusto amaro, salino, nella saliva che mi davi da bere
dalle tue labbra febbricitanti, e l'odore di muschio combusto
del tuo fiato, quando mi sussurravi a voce roca tuoi pensieri.

Lo seppi dalle volute azzurre del fumo che si facevano strette,
e dal tizzone che consumava fino quasi a bruciarti le unghie
e da come il tuo sguardo si perdeva nel cielo della stanza
mentre aspiravi a fondo, ricolmandoti il seno.

E dal tuo sguardo lo seppi, senza una parola, ma vedendo
come nel fondo di un pozzo, le miglia che già s'eran scavate
tra te e me, nonostante i nostri corpi fossero tanto vicini
da percepire l'una dell'altra la febbre che ci bruciava:

tu di partire, dietro la tua vita, io di morire, privata di te.
E lo sapevo da giorni che dentro te mutavi, anche se fuori
parevi essere sempre la stessa qual eri da me incontrata
quel mattino che m'apparisti come una dea:

circonfusa dalla luce della tua bellezza e della tua sicurezza.
Lo sapevo perché lo sentivo, da come mi sfioravi la mano
non più con la tua regale fermezza, ma con titubanza furtiva,
quasi di femmina casta, quale certo non eri mai stata.

Eppure erano giorni e giorni che sentivo un'angoscia montare
dentro il mio petto, come una marea di sale, anche al di là
di ogni segno, di ogni indizio, di ogni ragionato giudizio,
presentivo le vibrazioni che precedevano il sisma, lo sconquasso,

il crollo del nostro castello, che credevo eterno - blocchi massicci
di basalto di duemila chili di massa - e invece era di carte.
Ecco, così io possedevo da sempre quel senso, senza senso,
che fa noi donne più vulnerabili alle ferite e ai tagli del Tempo.

Il medesimo senso che mostrò mamma, allorché mi guardò
lungamente, con un'indicibile silenziosa tristezza, poco prima
di partire per quel viaggio assieme al suo uomo, quel viaggio
dal quale non poteva sapere che non sarebbe mai più rientrata.

Ma in qualche modo, lei sapeva... e anch'io, oscuramente, lo seppi.

Veggenza tremenda, Veggenza maledetta. Nostra indesiderata
Signora del dolore.


Marianna Piani
Arona - Milano 15 Aprile 2013

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