«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»
«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)
«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)
«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)
«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)
«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)
sabato 25 gennaio 2014
Smarrito il ritorno
Amiche care, amici,
Questa che segue è la traccia lasciata in me dal ricordo di una gelida notte autunnale, nel paesino poco lontano dal lago Maggiore dove a volte trascorro brevi soggiorni, abbastanza sereni, come sanno alcune delle amiche a me più vicine. Una gelida notte di primo autunno, e il retaggio fresco, la ferita ancora aperta di una delle mie delusioni più difficili da accettare. Sono questi i momenti in cui ci si vorrebbe annullare, semplicemente scomparire nel paesaggio, non tornare più alla vita quotidiana, che ci pare ormai del tutto intollerabile. Non potevo rimanere in casa, nonostante l'ora, assurda a dirlo ora, e il freddo già pungente per la stagione. Sentivo montare dentro di me una smania tale che mi avrebbe fatto scavare i muri a mani nude, se fossi stata chiusa in un luogo senza uscita. Così mi rivestii in fretta (e non avevo nemmeno abiti tanto pesanti, avevo con me soltanto una gonna, nera, e meno male che avevo nella valigetta i collants e delle scarpe chiuse) e uscii a fare una lunga passeggiata tra le case del borgo medievale.
Nei piccoli centri la notte sprofonda in un silenzio ed in una immobilità d'altri tempi, perfino l'illuminazione stradale sembra partecipare con un infiochirsi nella nebbia della luce, livida e fredda anch'essa. In contrasto, piccoli lumi ad incandescenza addossati alle case parevano fiammelle di candela, vibranti, calde. Non avevo veramente paura, è un luogo che conosco fin da bambina, e mi è così profondamente familiare da sentirmelo addosso quasi come una protezione, un abbraccio materno, Una cosa che non farei mai a Milano senza avere il cuore in gola per l'ansia, e magari anche il terrore. Ma qui mi sentivo rassicurata addirittura, anziché inquietata, dal silenzio, dalle vie e dalle calli deserte, dai piccoli negozi con le serrande gelosamente abbassate. Certo questo era anche un eccesso di fiducia, perché le "wild things", i "mostri", si possono incontrare anche in luoghi come questi. Ma a me risultava impossibile pensare che quei luoghi che amavo avrebbero mai potuto farmi del male.
Camminai dunque a lungo, molto a lungo, finchè i piedi, nelle scarpe un po' alte che avevo indossato, inadatte a quei percorsi accidentati, non si fecero sentire, riportandomi per così dire dall'astrazione del sogno e del ricordo alla realtà brutale.
Avevo bisogno di pensare, di riflettere, anche di piangere e singhiozzare, in pace, senza che vi fosse nessuno attorno a vedermi, a compatirmi o a chiedermene la ragione. Non vi era una ragione che mi sentissi in quel momento di raccontare ad alcuno. Vi era soltanto una terribile, invincibile solitudine...
Rientrai silenziosamente, molto stanca, poco prima dell'alba, e nessuno in casa si rese conto di nulla: il mondo, la mia vita, nel frattempo non era cambiato. La mia tristezza era rimasta intatta, forse anzi acuita. Ma la vita proseguiva, occorreva seguire il cammino, con pazienza e audacia, se a questo punto si era deciso di rimanere nonostante tutto aggrappate alla vita.
Come di consueto, amiche dilette e amici, condivido queste riflessioni con voi, con amore.
M.P.
Smarrito il ritorno
Lungo il portico, fino alla piazza
già deserta di traffico e faccende,
mentre il campanile, severo guardiano
del borgo, rintocca le due.
Lascio il mio corpo di donna e la sua grazia,
nello spazio di vetro racchiuso
tra la cornice e lo specchio, e vago
in forma di pensiero inespresso
tra i muri bianchi di calce e di anni, e sui selciati
a lastre sconnesse, percorsi a piedi nudi
per non incespicare sui tacchi; io vago,
non pensando a null'altro che all'antico
che qui mi accoglie. E mi opprime.
Il mio passo si fa suono, nei vicoli quieti
e nei cortili a pena illuminati da fiochi lumi,
sfiorando le imposte chiuse per la notte
o per l'abbandono. Le case s'inerpicano
lungo scoscese calli, che sono quasi sentieri,
le vigne, ormai spoglie, sfilano sui colli,
mentre io procedo, senza fretta, in silenzio.
Che ci faccio, mi chiedo, io qui sola
a quest'ora insensata della notte,
a guardare l'ombra del mio passaggio
scivolare sulle pareti? Provo paura?
Troppa, troppo intensa la paura,
tanto da non sentirla neppure,
così come quand'è troppo alto il dolore
e la natura ci protegge, donandoci follia.
Non rammento la via, non riconosco i luoghi,
non so la meta, non ritrovo più il sogno,
né il pensiero che qui mi ha condotta,
rammento solo d'aver abbandonato la rotta.
Mi cercherai, amica mia diletta, quando finalmente
ti mancherò e t'avvederai della mia mancata presenza,
e sarà mattino, allora, poco dopo l'alba,
e mi ritroverai, forse, ancora qui ferma,
acciambellata come una gatta, sul parapetto
della fontana, semiassiderata dal vivido freddo,
ma più ancora dal dolore d'esserti lontana:
ti scongiuro, affrettati cuore, prima ch'io soccomba!
Marianna Piani
Nebbiuno-Milano, 24 Novembre 2013
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