Amiche care, amici,
questo girovagare da sola nella natura, di cui la composizione che propongo oggi è il ricordo, è una attività che ho amato condurre fin da bambina.
Non ho mai avuto paura della solitudine, né di avventurarmi in luoghi impervi o isolati, e devo dire che ho avuto forse molta fortuna poiché non mi è mai accaduto nulla di spiacevole. E da questa attività deriva certamente la mia tendenza alla riflessione, e la mia predilezione nel ritrarre visivamente, anche a parole, luoghi, ambienti, figure. È una sorta di talento che mi ha aiutato molto nella mia attività lavorativa, probabilmente devo proprio a questo il fatto di essermi dedicata alla professione di illustratrice, ma è anche una delle caratteristiche che riconosco tra le più mie nella mia attività — del tutto amatoriale — di scrittura.
Negli anni della formazione presi l'abitudine di portarmi appresso uno sketchbook e qualche matita (una azzurra e una color magenta, le mie preferite, oltre a quella nera per le rifiniture, che però usavo più di rado) e di fissare sulla carta immagini che mi colpivano, oggetti, piccoli paesaggi, animali, più raramente figure umane.
Lo stesso taccuino poteva servire allo stesso modo per annotare qualche idea, o pensiero, per buttare giù qualche abbozzo di verso. Di solito la scrittura nasce molto dopo la visione, ha bisogno di una lunga maturazione mentale, a differenza della immediatezza di quello che gli anglofoni chiamano life drawing. Ma le idee, le parole, quei piccoli "semi" da cui spesso può scaturire una composizione, sono volatili come sogni, basta un attimo perché svaniscano nel nulla e non possano più essere recuperati. Per questo, l'abitudine di portare con me, in borsetta o in qualche tasca, un taccuino, abitudine cui non ho mai rinunciato, rimane una tra le migliori opportunità non solo per l'esercizio "professionale" del disegno, ma anche per quello della scrittura. In entrambi i casi poi, il confine tra lavoro e diletto è assolutamente indefinito, e tale deve rimanere, secondo me, per ogni attività artistica.
Amiche dilette, amici, vi lascio dunque a questa composizione, una via di mezzo tra il racconto e il bozzetto a matita, come di consueto, con amore.
M.P.
Un nuovo paesaggio
Dipingerò un nuovo paesaggio
— mi sono detta — senza fretta —
ho indossato la mia gonna a campana
e un paio di scarpe sportive,
calzini bianchi alla caviglia
e un abbondante maglione di lana.
E sono uscita, con una leggera
borsa a tracolla, il telefono spento,
una matita e un taccuino,
giusto nel caso volessi annotare
qualcosa, un appunto, uno schizzo,
un ghiribizzo, un'idea, una frase.
Non v'è nulla che sia più grato
e sereno per me di uscire, così,
a bighellonare dal prato d'erba benigna
al seno teneramente convesso
della collina vicina, e colà
sedermi su un masso, o sopra un ceppo,
a contemplare giù nel vallone
la lieve foschia che si rapprende
piano piano in nebbia fina.
E nulla è più onesto e innocente
che annotare su pezzetti di carta
piccoli abbozzi, o qualche pensiero,
figure, o paesaggi, con pochi tratti
spediti di lapis, e il resto lasciare
che se ne appropri la mente
per trattenerlo dentro di sé
gelosamente, fin tanto che
tempo fosse di mutarlo in pensiero.
Sono uscita dunque, senza esitare,
ho preso il consueto sentiero, e poi
come sempre a lungo ho divagato
lungo un percorso tra i tanti che so,
tra betulle e castagni, e su un drappo
scrosciante di foglie morte.
(Tra foglia e foglia ancora
qualche insetto coprofilo, nero
come un bottone di mica, si gode
il morente tepore del sole,
mentre un cielo di pallido cromo
trionfa tra i rami fattisi ossa.)
* * *
Seguendo le tracce lasciate a suo tempo
dai cani da caccia e forse,
a giudicare dalle ramaglie spezzate,
da qualche cinghiale in cerca di fuga
per la sua vita — mitica bestia,
che intravidi una sola volta un istante,
infine sedetti su quel masso, o quel ceppo,
a lungo, dimenticando del tutto
matita e taccuino, lasciando
che fosse il bosco stesso a narrare
di sé, o dell'argenteo mantello del lago,
o della fiera beltà del cinghiale,
o di tutte le sfuggenti creature
che popolano le più riposte insenature,
o delle case isolate tra sconfinati
secolari arboreti, o delle segrete
abbazie, dimenticate perfino da Dio.
Nulla di ciò avrei mai potuto scordare.
E nulla avrei mai potuto narrare
con una voce diversa da quella
stessa del bosco alle mie spalle,
che non mi lasciava parola, ma
mi sovrastava di rami, e di sguardi
e di pensieri, che lì sono da sempre.
La poesia, mi dissi, è ricerca vana,
senza speranza, è una resa: essa
già tutta è nelle cose.
Marianna Piani
Milano, 30 Novembre 2015
.
dai cani da caccia e forse,
a giudicare dalle ramaglie spezzate,
da qualche cinghiale in cerca di fuga
per la sua vita — mitica bestia,
che intravidi una sola volta un istante,
infine sedetti su quel masso, o quel ceppo,
a lungo, dimenticando del tutto
matita e taccuino, lasciando
che fosse il bosco stesso a narrare
di sé, o dell'argenteo mantello del lago,
o della fiera beltà del cinghiale,
o di tutte le sfuggenti creature
che popolano le più riposte insenature,
o delle case isolate tra sconfinati
secolari arboreti, o delle segrete
abbazie, dimenticate perfino da Dio.
Nulla di ciò avrei mai potuto scordare.
E nulla avrei mai potuto narrare
con una voce diversa da quella
stessa del bosco alle mie spalle,
che non mi lasciava parola, ma
mi sovrastava di rami, e di sguardi
e di pensieri, che lì sono da sempre.
La poesia, mi dissi, è ricerca vana,
senza speranza, è una resa: essa
già tutta è nelle cose.
Marianna Piani
Milano, 30 Novembre 2015
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