«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

mercoledì 1 febbraio 2017

Era un paguro

Amiche care, amici,

permettetemi una digressione "scientifica" proprio nel cuore della mia infanzia.


Mamma e papà mi portavano al mare (non papà veramente, lui lavorava praticamente sempre, senza ferie, come me oggi), in qualche spiaggia del nordest, ricordo nell'ordine di tempo Lignano, Grado (patria di Biagio Marin, sommo poeta "dialettale"), Jesolo, Caorle...
Certo, Trieste, la città dove vivevamo, è sul mare, e difatti era in quel mare che passavo la maggior parte delle estati, da Giugno all'inizio Settembre, agli stabilimenti a pochi passi da casa; ma quella triestina è una costa rocciosa, e la mia mamma, che aveva sangue veneziano nelle vene, adorava la laguna e le spiagge sabbiose. Per me andave bene ugualmente, mare era qui, mare era là, e a me piaceva il mare in sé, la "cornice" mi interessava relativamente.
Agli Stabilimenti triestini che frequentavo (si chiamavano e si chiamano tutt'ora "Ausonia") il mare era subito "profondo" (non si "toccava", non era la fossa delle Marianne!) e occorreva saper nuotare bene per poterlo apprezzare. Cosa che io, per fortuna, avevo appreso assai precocemente, da foto che ho conservato si capisce che già a cinque anni nuotavo come una piccola otaria, consumando le mie inesauribili energie infantili tra starnazzamenti, tuffi, nuotate a perdifiato.
Verso metà luglio mamma dunque si concedeva una pausa e ci portava in un luogo di spiaggia-spiaggia, come quelli sopra accennati.
Qui non avevo la compagnia di amichette e amichetti che avevo vicino casa, ma la solitudine per fortuna non mi ha mai spaventata, e mi dedicavo a giochi più riflessivi e attenti al mondo intorno.

Tra le altre cose, tra un castello di sabbia mal riuscito, qualche stentata pista di palline e qualche corsa a perdifiato nell'acqua bassa, coltivavo un interesse quasi morboso per la microfauna che trovavo ai miei piedi, sul bagnasciuga e sul tratto di basso fondale che potevo esplorare a mio piacimento per tutta la giornata.
La mamma mi lasciava fare, anche se cercava disperatamente di equilibrare l'esposizione al sole, e di conseguenza il colore della mia pelle, imponendomi di quando in quando noiose sessioni sul materassino a pancia all'aria o stazionamenti, più graditi, sotto l'obrellone in compagnia di un libro o di un quaderno(io, sempre uguale a oggi). Sforzi inutili, perché io comunque rientravo dalla vacanza più simile a una tartarughina che a una bambina, nera come una mulatta e spellata sulla schiena, bianca o quasi davanti. All'epoca il reggiseno era ancora un accessorio lontano dalla mia mente, per cui somigliavo a un ragazzino scapicollato, in quella particolare livrea estiva, se non fosse stato per il mio vezzoso costumino color lampone.
Ma di questo non mi curavo, invece la mia occupazione preferita era quella di disturbare i poveri animaletti acquatici intenti alla loro quotidianità e per nulla contenti che una bambina screanzata venisse a rovesciare il loro habitat e magari li tirasse fuori dall'acqua per "studiarli". Piccoli granchi, molluschi, rare stelle di mare, piccole meduse che parevano astronavi (ma che era vietato avvicinare, pena dolorosi incidenti), lamellibranchi, gasteropodi, piccoli crostacei guizzanti. C'era molta vita in quel francobollo d'acqua. Ma le creature che forse più mi affascinavano erano i paguri, forse per la loro goffa andatura saltellante sul fondo, forse per il loro aspetto di minuscoli innocui mostri marini, forse perché, data la loro abitudine di catturare conchiglie vuote per rivestirsene e di cambiare involucro man mano che il loro corpo cresceva, non ve n'era uno uguale all'altro, in una varietà incredibile di forme, dimensioni e colori.

La composizione che segue è, semplicemente, un ricordo affettuoso di quei tempi.

Lo condivido con voi, amiche dilette e amici, con amore (e un po' di nostalgia)

M.P.







Era un Paguro


E
ra un paguro...
Avevo appreso quel nome curioso
da un libro illustrato, trovato
tra gli scaffali della biblioteca
di casa, un pò defilato,
lì, tra i testi di scienza.

Sebbene fossi forse
non più che decenne, sapevo:
sapevo chi fosse quella creatura
non più grande d'un ragno
che trascinava il suo fardello
sul fondo, tra sbuffi di sabbia

e fili d'alga fluttuanti;
e a ogni onda, poiché
l'avevo disturbato, la corrente
lo catturava, lo sospingeva in avanti
e poi all'indietro, e poi ancora - come
in una danza estenuata.

Sapevo il suo nome, e quel tanto
della sua vita, regolata
da un destino immutato, tanto
da esserne fiera, e più ancora
da non averne per nulla
ribrezzo o paura.

Per quest'esserino trafelato
i miei piedi di ragazzina,
per materna concessione
già le unghie ornate di smalto
come purpuree perline,
erano terrificanti colossi.

A ogni passo, che sollevava
vortici torbidi di sabbia dal fondo,
la creatura sobbalzava e fuggiva
come poteva, zampettando
all'impazzata e protendendo a difesa
la sua unica minuscola chela.

Più che fuggire,
pareva voler preservare
la propria preziosa conchiglia,
piccola guglia mirabilmente ritorta
in quella forma sapiente e perfetta
che rifletteva la geometria

dell'intero creato:
infinita spirale centrifuga
che ci trascina da sempre
al nostro eterno destino di nulla.
Dal centro, all'estremo confine,
dove la luce e il tempo s'annulla.

Ma allora tutto ciò non conoscevo,
correvo, sguazzando nell'onde
dietro un esserino brutto e gentile
che trascinava con sé l'universo,
senza saperlo, lui e io, e ridevo,
felice della mia intrepida infanzia.

Felice della mia illimitata
sapienza: ...era un paguro.



Marianna Piani
Milano, 12 maggio 2016
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