Amiche care, e amici. Settima puntata del nostro piccolo abbecedario. Come vi dicevo all'inizio, io non mi ero posta limiti o vincoli o regole particolari, nè di forma, nè di contenuto, nè di genere. Soltanto il sottile filo dato dalla lettera dell'alfabeto serve da connessione tra tutte queste composizioni, e danno motivo a raccoglierle sotto un unico tetto.
Questa in particolare ha avuto origine durante un mio breve viaggio a Parigi, e dall'immagine che avevo avuto un giorno accanto alla Metro che ha la stazione all'Opéra.
Solo un piccolo bozzetto, un'istantanea: una ragazza, elegante come solo le parigine sanno essere, si ferma e lascia cadere una piccola banconota dentro il barattolo di una Clochard - come tante se ne vedono in quella città di magia e di contrasti - accoccolata in un angolo accanto ai suoi stracci. Uno scambio di sguardi di due persone lontanissime tra loro, eppure in quell'istante unite da un filo a doppio scambio, che si chiama solidarietà.
Non so in realtà se si tratta di un qualcosa che questa ragazza faceva per abitudine. Ma non avevo potuto non notare allora le espressioni di quelle due donne. Non espressione di pietà o concessione da parte della ricca, e non di riconoscenza oppure umiliazione, da parte della povera; ma semplicemente di una grande, nitida dignità: in entrambe.
Questa è ciò che qui ho chiamato Grazia. Che è la capicità di dare, ed è quella di ricevere, ed è la dignità di comunicare umanità, al di sopra di ogni barriera. È l'estrema eleganza, sì: eleganza, di un gesto che oltrepassa le barriere, apparentemente invalicabili, di due vite, di due destini, probabilmente senza meriti nè colpe, posti ai due poli opposti dellla realtà.
La dedico a tutti voi, amiche mie dilette e amici, e particolarmente a Carol, ragazza che so possedere questo dono.
M.P.
Abbecedario VII
G
come la Grazia
La ragazza che risale
il boulevard nel vento autunnale
che turbina foglie gialle
commiste confuse alle polveri
e agli stracci
di questo declino del giorno
ed epocale.
Ha l'andatura
tra il fiero e lo spiccio
e l'eleganza così naturale
di chi si chiama Amélie
o Isabelle, non importa:
un abitino nero, corto, accollato,
le calze ambrate a velare
le gambe sottili, lievemente agitate,
le decolletée vellutate, portate
con quella femminea destrezza…
L'attende, parrebbe ogni giorno,
al varco del Metro sette Opéra,
la clochard senza nome nè età
che qui vi risiede, da mill'anni,
immersa nei suoi averi
di tersa sbrindellata dignità,
con la fronte alta canuta
di chi non si rassegna
a rassegnare la vita.
La ragazza, forse ogni giorno,
interrompe un istante
la sua urbana fretta,
e, senza esibire pietà,
discretamente, con la leggerezza istintiva
dell'ape che si posa sul fiore,
le lascia cadere nella lattina di Cola
tutto ciò che trova nella sua pochette
di Chanel dal bordino argentato.
La donna la guarda e sorride
dagli occhi chiari di un tempo,
senza ombra d'invidia,
di astio o di umiliazione.
E nemmeno rimpianto. Soltanto
di schietta, comune umanità.
La ragazza le sorride breve
riavviandosi alla sua propria vita.
E forse per un momento
in segreto piange.
Pensando all'amarezza
della vita e del mondo
e di un destino
che per quel momento
era dipeso dalla sua mano soltanto.
La Grazia è credo questo gesto di scambio
tra vite che per un istante
incrociano e comunicano una all'altra
il senso ultimo della vita, e della dignità.
Parigi, Marzo 2012
Milano, 26 Gennaio 2013
Marianna Piani