«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

domenica 21 aprile 2013

Abbecedario XX


Amiche dilette, e amici cari, ventesimo capitolo del nostro piccolo Abbecedario poetico.
In questo poemetto io tratto di una Virtù che non mi appartiene molto, lo confesso in tutta sincerità, per cui ho voluto narrare piuttosto una fiaba, e un aplogo. Una visione di pura fantasia, eppure vissuta intimamente, per significare come può sfolgorare la luce dell'Umiltà - la voce prescelta come lettera "U" - in contrasto, o addirittura in virtù dello sfarzo della ricchezza e del potere.
Perché l'Umiltà non è umiliazione. È dignità. Che conquista l'ammirazione del mondo.

Per voi, amiche care e amici, con amore
M.P.




Abbecedario XX
  
U

come Umiltà

Ascolta, mio giovane Principe,
ascolta la mia voce, tra le mille
deposte devotamente ai tuoi piedi,
sopra i petali delle rose
spogliate dai tuoi duecento roseti
in onor tuo, per il tuo piacere sparsi
come un rosso tappeto d'intenso profumo.
Accogli la mia voce, ti prego, e ascolta.

Quanto t'ammirai, ascolta,
il giorno della parata di Maggio,
quando nel pieno clamore
dei cimbali e delle buccine festanti
ti fermasti, e quasi non visto,
discendesti dal tuo immenso
antico paziente elefante bianco,
turrito d'alabastro di sete e del sole d'Oriente.

Molti tra chi ti scorsero si chiesero
il motivo del tuo repentino mutare pensiero,
mutare d'aspetto, mentre ti affrettavi
verso quel vegliardo, raggrumato e bianco
come un masso sul margine della via maestra,
recando con te una ciotola nera scavata nel legno,
con un'oncia di zuppa, fredda, e lo raggiungevi,
mentre egli alzava su te il suo sguardo sereno.

Molti tra coloro che c'erano, nulla sapevano.
Ma tu sapevi, chi era quel vecchio,
che fu Principe prima di te sul trono che lasciò,
che più di te fu carico di gloria e di onori,
più d'ogni altro al mondo, prima dell'illuminazione.
E tu ora ne conoscevi tutti i mirabili scritti,
quei tre volumi in versi ternari, temerari,
che sconvolsero il mondo e squassarono i regni.

Il vecchio vedendoti giungere sorrise
col suo soave viso scavato, che tu sapevi
distillato da mille anni di immensa saggezza,
e a lui ti accostasti, per qualche istante,
giacendo ai suoi piedi, osservando le ferite
che ne segnavano i passi sulle pietre taglienti
di quelle aspre contrade, e lui fu contento di te,
e del dono che recavi con te, e gli porgevi.

E ora, mentre risalivi in cima al tuo
sfolgorante immenso elefante bianco,
sapevi quant'era più in alto, egli, nei suoi cenci,
in grazia della grazia dei suoi versi immensi
che tu mai potrai eguagliare,
in tutto il tuo potere, in tutto il tuo sapere;
e ti giravi e  mentre lo osservavi allontanarsi di spalle
senza fretta, stringendo a sè il tuo dono,

tu sapevi, per certo, dov'era diretto,
e già lo vedevi, in cima alla sua roccia
in faccia all'oceano gonfio di schiuma
tempestato di vento, a condividere il tuo dono
di povero riso e legumi dalla ciotola nera
con i gabbiani, unici prìncipi dei mari e delle correnti.
Perché sapevi quanto egli sapeva che non uno
dei suoi trentaduemila  illuminati versi valesse

il volo libero armonioso sicuro, solenne,
di uno solo di quegli uccelli incoscienti.
Ecco, giovane principe, quanto t'ammirai quel giorno:
perché conobbi attraverso te il senso
del nulla vincente di fronte al tutto,
perché seppi dare nome
a ciò che vidi infiammare il tuo volto
nel tuo sguardo nero profondo da indiano.

. . .

Perché conobbi da te,
e tramite te dal tuo Maestro più sommo,
che l'Umiltà non veste giammai
i logori cenci dell'Umiliazione,
ma indossa con spontanea grazia
e potente rassegnazione
il lussuoso lussureggiante gioioso
regale mantello dell'Ammirazione.


Milano, 16 Agosto 2012
Marianna Piani

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