«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»
«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)
«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)
«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)
«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)
«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)
mercoledì 8 maggio 2013
Gradus ad Parnassum
Care amiche, gentili amici. Come chi mi segue da un poco di tempo forse ricorda, io ho avuto l'immensa fortuna di avere per mamma un'artista, una discreta pianista, che mi ha lasciato in eredità, tra le altre cose, almeno una parte della sua grande sensibilità, e tutto il suo amore per la musica, ogni musica che fosse degna di questo nome...
Lei non era una musicista di professione, nonostante un meritato diploma al conservatorio: i mutevoli destini della vita, le circostanze, glielo impedirono, non senza dolore e rimpianti. Ma non smise mai, per tutta la sua vita, di esercitare questa sua arte, a quel punto con una finalità puramente di diletto personale. Raramente, si concedeva in qualche improvvisato "concerto" in casa, o in qualche sala, per pochi amici intimi. Il suo repertorio era abbastanza vario, e non disdegnava neppure la musica leggera, ma di certo i suoi amori primari furono Bach (passione che condivideva con mio padre, e che fu uno dei primi motivi del loro incontro d'amore) e Mozart, di cui adorava pressochè tutto, e che considerava "vicino" ed elettivamente affine anche per motivi tecnici, legati alla relativa piccolezza delle sue mani.
Ad ogni modo, ogni giorno, nel tardo pomeriggio, quando si era sbarazzata da impegni di lavoro e di cura della casa, si sedeva allo strumento e si esercitava. Sia formalmente, con Clementi (ecco il motivo del titolo, tra l'altro, per chi non lo sapesse), Diabelli, Czerny. Sia studiando i pezzi più amati, ripetendo senza mai stancarsi (nè stancare chi l'ascoltava) i "suoi" autori, in particolare le suites di Bach e, ovviamente e più di tutto, le Sonate di Mozart.
E io ho avuto questa immensa fortuna, come dicevo, di crescere, per l'intera mia età evolutiva, in compagnia di questi suoni, di queste armonie, che, provenendo dalle mani della mamma, erano per me doppiamente magiche.
Ecco, io non mi stancavo di ascoltarla, inerrompevo i miei giochi e me ne stavo accanto a lei, a volte letteralmente appiccicata allo strumento, del tutto rapita ed affascinata.
Purtroppo il mio talento musicale non fu mai realmente avvicinabile al suo. Io ebbi lei come maestra, finchè visse, e sulla tastiera me la cavo discretamente (ho ancora con me il suo piano verticale, di cui parlo per inciso in questa stessa composizione), ma non ebbi mai il "sacro fuoco" necessario per andare oltre una modesta pratica dilettantesca. Tuttavia assorbii di certo il senso della musicalità dell'armonia, della melodia che mi accompagna nell'intera mia vita.
Ecco, questa piccola "ode" cerca di descrivere quel clima, quei ricordi, quelle sensazioni.
La dedico a voi, amiche dilette e amici, come sempre con infinito amore.
M.P.
Gradus ad Parnassum
Ogni giorno, un silenzio, quasi un presagio
invadeva la casa, venendo chissà da quale
remota valle, solcata da un fiume ormai placato,
dimentico dei clamori scroscianti dei torrenti.
Ogni giorno, a quell'ora, la luce iniziava a morire,
dalle finestre che guardavano il mare, dai lucernai,
dalle tende bianche che celavano gli usci,
proteggendoci da uno sfolgorìo troppo improvviso,
troppo eccessivo. Ogni giorno, a quell'ora
il mondo pareva indugiare in attesa, immobile,
senza più suono, o sobbalzo, o brusio, o mormorio,
sospeso ogni negozio, o fabbrica, o intenzione.
Ogni giorno, a quell'ora anche le tortore insistenti,
e i gabbiani dalle immense ali fischianti, tacevano,
ammutolivano i loro gridi, e le sirene del porto
dopo un ultimo prolungato alto lamento, perdevano
la loro voce. A quell'ora, ogni giorno, mi rifugiavo
alla base del piccolo Bechstein nero laccato,
con Bibi e Fanny al mio fianco, i miei peluche prediletti,
e senza far alcun rumore, attendevo il tempo mirabile
della Bellezza. Accanto a me sostavano allora
i piedi piccoli e nervosi di mamma, chiusi
nelle sue scarpe nere dal breve tacco deciso,
e si appoggiavano ai pedali, con il breve rumore
del meccanismo segreto, che si sgranchiva cupo
nel ventre di mogano bruno. Sapevo, se pur piccina,
che allora, a quell'ora, come ogni giorno, presto
Signora Bellezza avrebbe invaso di sé il salotto e la casa.
Un rivolo, poi un torrente, di luccicante, poi sfolgorante
purissima corrente di grazia, scaturiva allora copiosa
senza sforzo apparente, senza alcuna gravezza,
e sgranava il suo incanto come una collana di gemme,
dalle mani che carezzavano l'avorio nero e bianco
con la sapienza di cent'anni di faticato esercizio.
Mani di donna, dita flessuose agili come fusi
che correvano tra la trama e l'ordito del canto.
Io m'accoccolavo estasiata appoggiando il capo
alla cassa che risuonava di mille armonici toni
e dei più sottili segreti brusii della segreta magia
che mutava il gesto in un mirabile incanto di suoni.
Allora la casa intera risuonava di quelle voci,
e gli angeli, liberati da chissà quali sortilegi
s'inseguivano in volo attraversando le stanze,
e porte, balaustre, suppellettili, vani, scantinati.
A momenti come palpitanti farfalle, a momenti
come libellule sfreccianti, a momenti ancora -
pipistrelli, incorporei come ombre sui muri -
oppure nevrotici falchi, o maestosi pellicani.
Disegnavano, gli angeli, trame di trina nell'aria
e depositavano fardelli di emozioni in ogni canto
della memoria: e io cucciola di donna, ascoltavo,
occhi grandi come sogni, scuri come le nere ciocche
delle sue chiome. Per questo la mamma non suonava,
semplicemente, con me accanto, bensì mi iniziava,
senza che ne fossi cosciente, al suo tempio, tra le bianche
vestali dagli immacolati calzari e lunghi capelli dorati
che mi accoglievano tra le loro braccia, mi passavano
spugne di lavanda sul corpo, e con tenerezza, lungamente
mi pettinavano i capelli con pettini radi, curando di sciogliere
ogni singolo nodo o groviglio nelle sete del capo.
Ogni giorno, a quell'ora, la casa dei miei giochi, dei miei gridi
e risate di bimba, la casa delle mie ubbìe di fanciulla quasi donna,
la casa che mi custodiva dai venti come una rosa nella sua serra,
la casa dei miei sonni profondi, dei sogni bizzarri, dei desideri segreti:
Ogni giorno, a quell'ora, casa mia si ergeva al cielo come un tempio.
...era il tempio di mamma.
Milano, 12 Marzo 2013
Mariana Piani
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