«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»

«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)

«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)

«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)

«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)

«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)

venerdì 31 marzo 2017

"A Cold Spring" di Elisabeth Bishop



Amiche care, amici,

mi avvio a concludere questa piccola antologia dedicata alla grande Poesia Americana, e lo faccio con un omaggio particolare dedicato a quattro grandi Poetesse, quattro grandi snne, capisaldi dell'arte poetica di tutti i tempi, e mie prime ispiratrici di una sensibilità femminile acutissima e fragilissima. Si tratta di Elisabeth Bishop, Marianne Moore, la splendida tragica Sylvia Plath, e, per chiudere idealmente il cerchio, forse la più grande di tutte in assoluto, Emily Dickinson.

Inizierò dunque con Elisabeth Bishop, tra le quattro quella che ho personalmente "scoperto" (e soprattutto compreso) più di recente. La propongo a voi con una lirica davvero splendida, di largo respiro, in cui si può leggere tutta la grandissima capacità di descrivere la Natura, presa non come superficiale immagine pittorica, ma come un organismo vivo, coerente, vitale.
Un inno delicato e nello stesso tempo privo di retorica o di sentimentalismo per la Stagione che stiamo vivendo ora, la Primavera, la stagione della rinascita e dell'amore, per definizione.

Per voi, amiche dilette e amici

M.P.





Elizabeth Bishop photographed by Alice Methfessel,
whom Bishop met as a visiting professor at Harvard.
Photograph by Alice Methfessel



A Cold Spring

For Jane Dewey, Maryland
"Nothing is so beautiful as spring"
Hopkins


A cold spring:
the violet was flawed on the lawn.
For two weeks or more the trees hesitated;
the little leaves waited,
carefully indicating their characteristics.
Finally a grave green dust
settled over your big and aimless hills.
One day, in a chill white blast of sunshine,
on the side of one a calf was born.
The mother stopped lowing
and took a long time eating the after-birth,
a wretched flag,
but the calf got up promptly
and seemed inclined to feel gay.

The next day
was much warmer.
Greenish-white dogwood infiltrated the wood,
each petal burned, apparently, by a cigarette-butt;
and the blurred redbud stood
beside it, motionless, but almost more
like movement than any placeable color.
Four deer practiced leaping over your fences.
The infant oak-leaves swung through the sober oak.
Song-sparrows were wound up for the summer,
and in the maple the complementary cardinal
cracked a whip, and the sleeper awoke,
stretching miles of green limbs from the south.
In his cap the lilacs whitened,
then one day they fell like snow.
Now, in the evening,
a new moon comes.

The hills grow softer. Tufts of long grass show
where each cow-flop lies.
The bull-frogs are sounding,
slack strings plucked by heavy thumbs.
Beneath the light, against your white front door,
the smallest moths, like Chinese fans,
flatten themselves, silver and silver-gilt
over pale yellow, orange, or gray.
Now, from the thick grass, the fireflies
begin to rise:
up, then down, then up again:
lit on the ascending flight,
drifting simultaneously to the same height,
–exactly like the bubbles in champagne.
–Later on they rise much higher.
And your shadowy pastures will be able to offer
these particular glowing tributes
every evening now throughout the summer.


Elisabeth Bishop





Una fredda primavera


Una fredda primavera:
nel prato la violetta era già appassita.
Gli alberi esitarono per due settimane
o anche più; le foglioline attendevano
curando intanto attentamente il loro aspetto.
E finalmente uno spolverio di verde
scese sopra le tue vaste, disorientate colline.
Un giorno, in un freddo bianco lampo di sole
su un versante di una d'esse nacque un cucciolo
di vacca. La madre smise di muggire
e impiegò un gran tempo a divorare
la placenta, misera stazzonata bandiera,
ma il vitello balzò in piedi prontamente
con tutta l'aria di essere contento.

Il giorno dopo
vi era nell'aria assai più tepore.
Cornioli bianco-verdi infiltravano la foresta,
ogni petalo come bruciato da una cicca
di sigaretta, mentre lì accanto
il siliquastro come una nube se ne stava
immoto, ma quasi più simile a un movimento
che a un qualsiasi plausibile colore.
Quattro cerbiatti s'allenavano a saltare i tuoi steccati.
Le foglie appena sbocciate oscillavano sulla severa quercia.
Fringuelli canterini, e sull'acero
il rosso cardinale complementare
schioccò una frusta, destando la dormiente,
che si stirò le membra, da sud, per miglia e miglia.
Il suo cappello s'imbiancò di fiori
di lillà, che un giorno caddero come una neve.
E ora, alla sera,
viene una luna nuova.

S'addolciscono le colline. Ciuffi d'erba alta
segnano dove ogni giovenca giace.
Risuonano i rospi come corde
di contrabbasso pizzicate da robuste dita.
In piena luce, contro il tuo portone bianco,
le piccole falene, come asiatici ventagli,
s'aprono argentate o d'argento dorato
contro l'arancio, il grigio, o il paglierino.
E ora, dal fitto prato,
le lucciole iniziano a salire in volo:
su, e poi giù, poi su di nuovo:
accese nell'ascesa, librandosi tutte assieme
alla stessa altezza — proprio come
bollicine di champagne
— poi si portano ancor più in alto.
E i tuoi ombrosi pascoli sapranno offrire
questi speciali omaggi iridescenti
da ora ogni sera, per l'estate intera.



Elisabeth Bishop
Versione Italiana di Marianna Piani
Milano, 28 Marzo 2017
.

mercoledì 29 marzo 2017

Alba


Amiche care, amici,

di quando in quando, anzi, confesso che mi accade spesso, la poesia può essere semplicemente una cronaca intima di vita.
Qui ad esempio è il ricordo i quella la serenità, e anche l'ansia sottotraccia, di quel momento all'alba, dopo l'amore, in cui pare ancora lontano il giorno ma anche incombente la separazione che inevitabilmente ne verrà, ognuno degli amanti ricatturati dalle proprie incombenze, i propri programmi di vita e di lavoro, che li allontaneranno uno dall'altro per un tempo che sembrerà incolmabile — accade quando l'amore è ancora passione, e non è ancora maturato in una tenera consuetudine .

Vi lascio ora libere alla lettura, se vorrete, amiche dilette e amici, con amore
M.P.





Alba


 L'attimo da me più atteso di tutto
l'arco del giorno, ciò che viene dopo
la notte, ciò che reca con sé il frutto
del gioco o dell'abbandono, il fuoco

che riarde dal cuore e ci consola:
è l'alba, nostra alba amorosa, cieca
di luce, dispersa in ogni parola
che ci dicemmo, ogni frase che reca

in sé la propria gloria, o la disfatta.
All'alba, noi siamo come le onde
che si esauriscono nella risacca,
stanche di baci e carezze profonde.

       Fuori di noi, solamente il silenzio,
rari rumori di strada, isolati
mormorii di vento nella distanza
tra i rami e i nostri respiri affannati.

       E intanto la luce che per un tempo
che ci parve infinito fu assente,
si fa presente come un breve lampo
che scocca dal vetro - verso il niente.



Marianna Piani
Annecy, 15 Giugno 2016
.

martedì 28 marzo 2017

"If Poetry" di Norman Mailer


Amiche care, amici,

nel proseguire questa mia escursione nella Poesia Americana del '900, ho incontrato questo grande Autore della letteratura americana, Norman Mailer (Long Branch, 31 gennaio 1923 – New York, 10 novembre 2007), molto noto anche da noi come romanziere, legato anch'egli alla "beat generation", e attivissimo in molti campi dello scrivere e anche impegnato non marginalmente nell'industria cinematografica.
Come molti altri grandi autori di romanzi, racconti e fiction (pensiamo a James Joyce, che amo molto, o anche a Hemingway, a Faulkner) il suo rapporto con la poesia è sporadico, leggero, anche marginale, poco noto e frequentato.
Tuttavia rimane una voce originale anche in poesia, e mi piace proporre qui questo "divertissement" centrato proprio sul "fare poesia", intriso di ironia ma non privo di un sapore aspro, con quella staffilata inattesa nel finale.

Vi lascio alla lettura, amiche dilette e amici, con amore.

M.P.





Norman Mailer



If poetry is the food of the soul
then some poems are like pot roast
lots of meat, pannickins of gravy and
a great deal of taste all very
much the same.

              Other poems are fishy
tang, pepper, weed, and green like the
sea. I know a few which stick to the
fingers. Poetaster in patisserie.
But my poems—
              I want my poems
to be like bones. Bones make it possible
to stay in good form.
              And there are
poems which taste of grass, air, earth,
rock salt and old lady granite in the
minerals (not to mention all
the dairy products, milky poems,
vegetables and gourds.)

              But I want
my poems to be like bones and shine
silver in the sun.
              For poems which
are like bones crackle in my teeth.
Look for the death within the death.

Norman Mailer






Se la poesia è il nutrimento dell'anima
alcune poesie allora sono come un arrosto,
un mucchio di carne, tegami di sugo e
un gran sapore, sempre più o meno
lo stesso.

          Altre poesie sanno di pesce,
e alghe, e pepe, e di verde, come
il mare. So di alcune poi che s'appiccicano
alle dita. Da poetastro in pasticceria.
Quanto alle mie, di poesie—
          Le mie poesie voglio che siano
come ossa. Le ossa aiutano certo a stare
in forma.
          E ci sono poesie
che sanno d'erba, di aria, di terra,
di salgemma, e di granita in minerale
(per non parlare poi di tutti i prodotti
caseari, poesie al latte, o alle verdure,
ai fiori di zucca.)

          Io voglio tuttavia
che le mie poesie siano come ossa
che luccicano al sole.
          Perché le poesie che sono
come ossa mi stridono tra i denti.
Come cercare morte dentro la morte.



Norman Mailer
Versione Italiana di Marianna Piani
Milano, 27 Marzo 2017
.

sabato 25 marzo 2017

Postulato e premonizione



Amiche care, amici,

siamo tutta la vita confrontati non dalle vicende di fortuna o sfortuna, non dal nostro alternarsi imprevedibile di gioie e di dolori, non dalla rarità dei momenti di felicità di fronte alla predominanza di quelli di tristezza, ansia, o anche disperazione. Non da speranza e disillusione. Non da bellezza e odio. No.

Il nostro primo cimento, lo sappiamo, è il Tempo. Un alleato nostro che è anche nostro acerrimo nemico. Come tento di dire qui, in questa mia composizione a terzinelle spicce, noi lo inseguiamo mentre esso ci insegue. E non appena rallentiamo e ci fermiamo poiché pensiamo di averlo raggiunto, oppure siamo stanche e non abbiamo più forze, esso si rivolge e ci coglie, sempre impreparate, finendo così con noi il nostro tempo… Eppure i doni che la vita, il nostro corso nel tempo, ci porta - l'amore, la bellezza del mondo - ci compensa e spinge a proseguire, sempre.

Amiche dilette, amici, grazie per la vostra meravigliosa presenza su queste mie pagine di vita.

Con amore
M.P.





Postulato e premonizione


Il tempo, che non rallenta,
che non si ferma, all'angolo
della vita, che non ci attende,

è il tempo che ci governa
come un sordido tiranno,
senza concedere una tregua.

Che ogni qualvolta lo raggiungiamo
esso ci fugge - lontano
come fugge una preda, elusiva

al ghermire del falco: ma noi sappiamo
di essere noi la preda, e il tiranno
è il falco che ci persegue.

Se ci fermiamo, lo sappiamo,
siamo perduti: il tempo, come il falco
piomba su di noi spietato.

Noi non ci fermiamo quindi,
perserveriamo alla caccia
d'un fuggitivo che ci insegue.

Finché le forze ci lasceranno,
e allora sarà il rapace
a piombare su di noi

e affondare fino al cuore
il rostro - e lì fermarlo.
.  .  .



Marianna Piani
Milano, 9 Giugno 2016
.

venerdì 24 marzo 2017

"Trees" di Howard Nemerov


Amiche dilette, amici,

tra i molti Autori recenti della Storia letteraria Americana, oggi vi propongo una voce meno nota da noi, sebbene molto stimata in USA, Howard Nemerov (New York, 29 febbraio 1920 – University City, 5 luglio 1991).
Una poesia concepita come "dottrina dei segni" che ha scopo di "persuadere… obbligare Dio a parlare", ha per tema dunque principalmente il rapporto con la natura, nel senso più vasto del termine — ma anche in quello più specifico di mare, alberi, colline — mentre agli inizi la poesia di Nemertov era spesso centrata su tematiche urbane.

Per un maggior approfondimento vi rinvio il consueto ampio e documentato articolo su Poetry Foundation.

Grazie amiche dilette e amici per l'attenzione e l'affetto.
M.P.





Howard Nemerov



Trees



To be a giant and keep quiet about it,
To stay in one's own place;
To stand for the constant presence of process
And always to seem the same;
To be steady as a rock and always trembling,
Having the hard appearance of death
With the soft, fluent nature of growth,
One's Being deceptively armored,
One's Becoming deceptively vulnerable;
To be so tough, and take the light so well,
Freely providing forbidden knowledge
Of so many things about heaven and earth
For which we should otherwise have no word —

Poems or people are rarely so lovely,
And even when they have great qualities
They tend to tell you rather than exemplify
What they believe themselves to be about,
While from the moving silence of trees,
Whether in storm or calm, in leaf and naked,
Night and day, we draw conclusions of our own,
Sustaining and unnoticed as our breath
And perilous also — though there has never been
A critical tree — about the nature of things.
Howard Nemerov



Alberi


Essere un gigante, e non parlarne,
Rimanendo al posto che compete;
Significare la presenza costante del processo
E apparire sempre lo stesso;
Essere saldo come roccia e tremare
Al tempo stesso, avere l'apparenza
Cruda di morte e la dolce affluente natura
Dell'adolescenza, l'una ingannevolmente
Armata, l'altra vulnerabile, ingannevolmente;
Essere così forte, e così bene
Prendere la luce, procurando proibita
Gratuita conoscenza di tante cose
In cielo e in terra, per le quali
Non ci sarebbero state parole altrimenti —

Le poesie, o la gente, raramente son così amabili,
E quand'anche abbiano qualità grandi
Tendono piuttosto a dire che a dare esempio
Su cosa pensano essere la loro missione,
Mentre dal silente movimento degli alberi,
Che fossero in quiete o in tempesta,
Rigogliosi o spogli, giorno o nottetempo,
Ne deriviamo conclusioni personali
Vitali e inosservabili come il respiro,
E pericolose, anche — sebbene mai
Vi sia stato al mondo un albero filosofo —
Riguardo la ragione delle cose.



Howard Nemerov
Versione Italiana di Marianna Piani
19 Marzo 2017
.

mercoledì 22 marzo 2017

La coppa


Amiche care, amici,

dopo la mia escursione nel difficile ma affascinante territorio della "forma chiusa", mi concedo una dolce divagazione nel "verso libero", anche se ai più accorti di voi (ma che dico, siete tutte/i "accorti") non sfuggirà che questa "libertà" pur sempre si gioca attorno ai due capisaldi della prosodia italiana, l'endecasillabo e il settenario. È come una danza attorno a un ritmo che avvolge e coinvolge, e non può che essere così in fondo, trattandosi di scrittura in italiano, cui questi due schemi sono connaturati come un respiro.
La composizione d'amore,un amore che sempre magicamente si rinnova ad ogni incontro, a ogni scambio, ha una sua naturale, spontanea espressione in una libera canzone,
come questa che oggi propongo: basta lasciare che i sentimenti, le emozioni e tutta la sensualità, la carnalità di una carezza, si esprimano da sole attraverso le nude parole del cuore.

Per voi, amiche dilette e amici, ovviamente, come sempre, con amore.

M.P.






La coppa


Apri questa tua mano
atteggiala come una coppa -
Oh, dolce coppa di vino novello -
e dolcemente poggiala
a coprire il mio seno bianco
con un fremito appena,
senza stringere, senza premere,
lascia che s'empia tutta
di tutta la mia bellezza,
ch'è solo tua, ora,
e forse sarà per sempre.
Senti tra le dita la piena forma
fluire immodesta e dolce come
fluisce l'anima mia alla tua.

Gustala ora, questa coppa colma
del distillato spirito divino
di ciò che per te io sento,
fattene ebbra, ora ch'è tempo,
consumala fino l'ultima goccia,
che tanto il mio cuore
ora per ora la rinnova,
che più te ne riversa,
più la ricolma.


Lascia, sulla liscia diafana pelle
la vaga impronta delle tue dita
che piano svanisce, come assorbita
nella luce viola dell'alba, traccia
della tua — e della mia — persistenza.




Marianna Piani
Milano, 5 giugno 2016
.

martedì 21 marzo 2017

"The Springtime" di Denise Levertov


Amiche care, amici,

proseguendo il nostro breve viario in terra di Poesia americana oggi incontriamo una importante poetessa che americana non è, di origine, ma inglese, naturalizzata americana dal 1955, Denise Levertov (Ilford, 24 ottobre 1923 – 20 dicembre 1997). Ne parlo perché può considerarsi a tutti gli effetti come un'autrice americana, sia per lo stile, la lingua, e i temi, sia perché molto vicina ai poeti del gruppo del così chiamato gruppo della "Black Mountain" — come ad esempio Olson — e ad autori americani come Ezra Pound e William Carlos Williams.

La breve lirica che vi propongo è — casualmente ma non troppo — in tema con la giornata di oggi, primo giorno di primavera... Per una lettura eccentrica e un poco inquietante, come in fondo è giusto che sia, di questo un poco abusato soggetto...

Come sempre vi rinvio all'ottimo articolo di approfondimento su Poetry Foundation




Denise Levertov




The Springtime


The red eyes of rabbits  
aren't sad. No one passes
the sad golden village in a barge
any more. The sunset  
will leave it alone. If the  
curtains hang askew  
it is no one's fault.
Around and around and around
everywhere the same sound  
of wheels going, and things  
growing older, growing  
silent. If the dogs
bark to each other
all night, and their eyes  
flash red, that's
nobody's business. They have  
a great space of dark to  
bark across. The rabbits  
will bare their teeth at  
the spring moon.


Denise Levertov




Tempo di Primavera

I rossi occhi dei conigli
non hanno tristezza. Nessuno più
traversa fino al malinconico villaggio
dorato a bordo di chiatta. Solitario
lo lascerà il tramonto. Se i tendaggi
pendono biechi, nessuno ne ha colpa.
Intorno e intorno e intorno
ovunque il medesimo suono
di ruote che vanno, e cose
che si fanno più vecchie, in un silenzio
crescente. Se i cani latrano
l'un l'altro l'intera notte, e gli occhi
hanno rossi bagliori, ciò
non riguarda in fondo nessuno. Essi
hanno un vasto nulla di tenebra
in cui abbaiare. I conigli
sfodereranno i loro incisivi
alla luna di primavera.



Denise Levertov
Versione Italiana di Marianna Piani
19 Marzo 2017
.

sabato 18 marzo 2017

Primo Libro dei Madrigali - VII - VIII


Amiche care, amici,

quarto e ultimo appuntamento della mia proposta d'omaggio alla forma madrigale, con i numeri VII e VIII e un epilogo finale.

Ora, se avrete voglia di rileggerli daccapo (ma presto provvederò a raccoglierli in una pagina dedicata, come faccio sempre con le mie "raccolte") potrete notare come tutti questi brevi pezzi, pur rimanendo perfettamente indipendenti uno dall'altro, tracciano una linea narrativa precisa, lungo il corso di una notte d'amore tra due amanti che si raggiungono, si prendono, e si lasciano, mentre scorrono le ore in un passaggio che va dal tramonto all'alba, e la stagione ancora incerta, di passaggio da un inverno ormai morente a un'estate ancora troppo precocemente desiderata.
Difatti avevo originariamente intitolato la raccolta "passaggi", ma poi ho preferito marcare di più la scelta formale.

A questo proposito aggiungo che ho voluto attenermi al canone del madrigale delle origini, quello tre/quattrocentesco, sia per lo schema strofico che per quello rimico e per l'uso dell'endecasillabo regolare (con qualche licenza qui e là). Infatti il "madrigale" attraversa tutta la produzione poetica Italiana, praticamente fino ad oggi, ma è anche piuttosto mutabile lungo la sua storia, presentando diverse varianti, con una certa libertà. Gli unici aspetti comuni a tutte le varianti nelle varie epoche sono la sua brevità, in generale mai superiore ai 10 versi, e la sua vocazione musicale, in origine addirittura predominante.

Grazie ancora amiche dilette e amici per avermi seguita anche in questa passeggiata primaverile nei passaggi d'umore della stagione, e dell'amore.

M.P.



Primo Libro dei Madrigali
(Madrigaletti amorosi di passaggio stagione)


VII

Più volte mi destai nella restante
notte, ritrovavo il tuo fianco quieto
accanto, e quindi mi acquietavo anch'io.

Ascoltando il respiro tuo costante
e lieve come il soffio d'un segreto,
nel nido del tuo sogno cercavo il mio:

annullarsi in questo sonno, trovare
il sensuale senso del nostro osare!


VIII

Caro giorno, che mi raggiungi, giovane
e pronto ad aggredire il mondo, vedi
a questa luce livida - ancora -

vedi crescere la desolazione
della mia aurora; ma tu non recedi,
anzi procedi, anzi prometti, e ora

non mantieni: arrivi, e poi te ne vai,
i tuoi "per sempre" svaporano in "mai".


* * *

Epilogo

Sto senza tempo a fissare l'opaco
del mio respiro sulla lastra, il volto
di questo sole è come il mio, assolve

e si rispegne in un sospiro fioco,
sento il vuoto che m'hai lasciato accanto
come un canto d'addio che si scioglie.

Tu andasti via piano, per non destarmi.
Non venne più l'estate a consolarmi.


Marianna Piani
Milano, Maggio 2016
.

venerdì 17 marzo 2017

"Argument" di Elisabeth Bishop


Amiche care, amici,

propongo una nuova poesia di Elisabeth Bishop, anche in risposta a un'amica lettrice, Alda Vernazzano, che mi ha sollecitato a farlo pur senza chiedermelo, semplicemente esprimendo il suo apprezzamento nei confronti di questa straordinaria ed eccentrica autrice.
La sua poesia si affida a immagini ardite, a un'espressione molto densa e spesso di non facile interpretazione, ma sempre della massima qualità d'ispirazione. Una versificazione libera ma al tempo stesso di grande rigore formale.

Grazie per seguirmi in questo mio piccolo viaggio in Terra Americana, per disintossicarsi dall'atmosfera avvelenata in cui l'attuale amministrazione ha gettato questo meraviglioso Paese.

Con amore
M.P.





Elisabeth Bishop



Argument

Days that cannot bring you near
or will not,
Distance trying to appear
something more obstinate,
argue argue argue with me
endlessly
neither proving you less wanted nor less dear.

Distance: Remember all that land
beneath the plane;
that coastline
of dim beaches deep in sand
stretching indistinguishably
all the way,
all the way to where my reasons end?

Days: And think
of all those cluttered instruments,
one to a fact,
canceling each other's experience;
how they were
like some hideous calendar
"Compliments of Never & Forever, Inc."

The intimidating sound
of these voices
we must separately find
can and shall be vanquished:
Days and Distance disarrayed again
and gone
both for good and from the gentle battleground.


Elisabeth Bishop




Discutendo

G
iorni che non possono né vogliono
portarti più vicina a me,
Distanze che si studiano di apparire
ancor più ostinate,
discutono e discutono e discutono con me
senza fine
senza provare che tu sia meno desiderabile
né meno a me cara.

Distanze: ricordi tutti quei territori
che scorrevano sotto l'aereo?
Quella linea di costa
di vaghe spiagge sepolte nella sabbia
che s'allunga indistintamente
fino lì in fondo,
fin dove finiscono le mie stesse ragioni?

Giorni: E pensa
a tutto quell'affastellarsi di stratagemmi,
di fatto poi uno solo,
che si negavano l'un l'altro la competenza;
com'erano come
una specie di tedioso calendario
del tipo "Omaggio della Never & Forever Spa"

Il tono intimidatorio
di queste voci
che dobbiamo scovare una per una
può e deve essere sconfitto:
Giorni e Distanze che si disgregano ancora
e se ne vanno entrambe
verso il bene, via

dal nostro quieto campo di battaglia.


Elisabeth Bishop
(Versione Italiana di Marianna Piani)
.



mercoledì 15 marzo 2017

Primo Libro dei Madrigali - V - VI


Amiche care, amici

terzo appuntamento con questa mia piccola raccolta di composizione in forma di madrigale.
Qui la tensione erotica si eleva e si affranca, e la musicalità discreta e intima del canto la asseconda perfettamente, rendendo il contenuto - quand'anche anche esplicito - con delicatezza e naturalezza, così come attiene a un amore sincero e appassionato che si esprime senza malizia, senza prevaricazione, in un naturalissimo rapporto carnale, raggiungendo così l'apice della sua forza emotiva.

Ciò che amo di queste forme classiche è proprio la loro capacità di nobilitare ogni immagine e parola in una musicalità concentrata e fervida, e la loro naturale disposizione a contenere e porgere il discorso amoroso, come se un millennio e oltre di versi d'amore quicontribuissero a dare luce e senso alla narrazione, alla cronaca di un amore qui e oggi.

Con amore, come sempre, vi lascio alla lettura, amiche dilette e amici miei.

M.P.





Primo Libro dei Madrigali
(Madrigaletti amorosi di passaggio stagione)



V

Prenderò tra le mie mani il tuo viso
così com'è chiuso tra le nubi il sole,
poserò le mie labbra sulle labbra

tue, come una rosa sul tuo sorriso,
vi sussurrerò fragranti parole,
e tu le accoglierai, e sarai ebbra

di me, e poi: saremo braccia, e mani,
e grembi, e seni, fino all'indomani.


VI

Tanto fu l'amore che fummo esauste.
Venne un Dio tra noi e ci trovò ansanti,
mano nella mano a mirare il cielo

sopra noi stellarsi come già estate.
Mentre adagio ci assopivamo amanti,
la malinconia scese come un velo

sopra i nostri corpi nudi e inerti
come i nostri cuori tra lor conserti.


Marianna Piani
Milano, Maggio 2016
.

martedì 14 marzo 2017

"The Rain" di Robert Creeley


Amiche care, amici,

sempre nel programma di questa mini-antologia di Autori Americani, vi propongo un autore un poco meno noto da noi, ma non per questo meno rilevante in patria, Robert Creeley (Arlington, 21 maggio 1926 – Odessa, 2 aprile 2005).
In apparenza una scrittura meno tormentata, meno coinvolta nelle temperie culturali e politiche degli anni sessanta, una scrittura poetica cristallina ed espressa in un lessico sobrio, tendente all'intimità piuttosto che al proclama, al grido, proprio di molti poeti della sua stessa generazione.
Ma ciò non significa superficialità o, peggio, disengagement, abbandono in toni puramente intimistici o neoromantici.

Se voleste approfondire un poco su questo interessante Autore, vi suggerisco come di consueto l'ottimo e vasto articolo su Poetry Foundation.

Grazie per la vostra attenzione, amiche dilette e amici, che mi è molto cara.
Con amore

M.P.



Robert Creeley



The Rain

All night the sound had  
come back again,
and again falls
this quiet, persistent rain.

What am I to myself
that must be remembered,  
insisted upon
so often? Is it

that never the ease,  
even the hardness,  
of rain falling
will have for me

something other than this,  
something not so insistent—
am I to be locked in this
final uneasiness.

Love, if you love me,  
lie next to me.
Be for me, like rain,  
the getting out

of the tiredness, the fatuousness, the semi-
lust of intentional indifference.
Be wet
with a decent happiness.

Robert Creeley



La pioggia


Tutta notte questo suono
viene, e ritorna ancora,
e ancora cade questa
quieta pioggia, insistente.

Che sono io per me stesso
che si debba ricordare,
e insistere
così di frequente? È che

mai la dolcezza, né
la durezza
della pioggia che cade
sarà mai per me

nient'altro che questo,
niente che sia meno insistente —
dovendo io confinarmi in questo
terminale disagio.

Amore, se m'ami
giacimi accanto.
Sii per me, come la pioggia,
uno sfuggire

alla stanchezza, alla futilità, la quasi
lussuria d'una ricercata indifferenza.
Lasciati bagnare
da una decorosa felicità.


Robert Creeley
(Versione Italiana di Marianna Piani - Milano 13 Marzo 2017)
.

sabato 11 marzo 2017

Primo Libro dei Madrigali - III - IV


Amiche care, amici,

ecco per voi il secondo appuntamento di questa piccola collezione in versi in forma di madrigale.
Dopo decenni di versificazione libera, dopo il definitivo affrancamento dalla prosodia tradizionale, non trovo affatto anacronistico - in sé - il rivolgersi di quando in quando alle "forme chiuse", anche eventualmente seguedo i canoni più classici di metro e rima.
Nei miei esperimenti precedenti, in particolare con il sonetto, avevo lasciato spazio a molte "lacune" nella effettiva rispondenza al canone, in particolare con un uso spesso fuori schema delle rime. Qui invece ho voluto essere più vicina al modello originale, anche se non sempre in modo del tutto rigoroso.
Non si tratta certo di un esperimento isolato e nemmeno originale: moltissimi autori del novecento e contemporanei - post rivoluzione versoliberista -  hanno rilasciato in un modo o nell'altro il loro omaggio alla "Grande Tradizione". Per chiunque scriva si tratta di una tentazione troppo grande per non provarci almeno una volta.
Ciò che io trovo personalmente affascinante, proprio per la consuetudine ormai stabilita al verso libero, è il ritrovare la sonorità, l'armonia naturale di queste forme metriche, che costringono a "piegare" la parola, anche la più semplice e colloquiale, alle ragioni superiori del "canto".
Il fatto che la forma metrica oggi sia ormai solo una libera scelta e non più un "obbligo" grammaticale rendono questa scelta ancora più interessante, stimolante, e ricca di implicazioni e cortocircuiti con il senso del testo.
Occorre ovviamente lavorare con molta cura e sensibilità se si vuole evitare un fallimento, ma questo è comune a qualunque composizione poetica, anche la più (apparentemente) "libera". Non esiste poesia "facile" o "difficile", solo Poesia o sentimentalismo, e il sentimentalismo, come tutti sanno, è l'antitesi della Poesia.

Amiche dilette, amici, grazie sempre per la vostra presenza, con amore.

M.P.





Primo Libro dei Madrigali
(Madrigaletti amorosi di passaggio stagione)



III

Tu mi dicesti, con quell'allegria
che ben ti conosco, io ora sarò
per sempre al tuo fianco, come la luna

abbraccia la terra. - Anima mia!
Se cosi è, dissi, ti rapirò
per sempre al mondo, e non avrò alcuna

esitazione: sarai la mia sposa,
audace e rischiosa, come una rosa.


IV

Severo, come un monito inatteso
alla troppo anticipata letizia,
il vento ci ha riportato il gelo.

Nubi violacee affollano il cielo
con una quale imbronciata nequizia,
e nubi d'ansia ti adombrano il viso.

Non temere, io sarò il tuo riparo
nella tempesta, il tuo fidato faro.





Marianna Piani
Milano, Maggio 2016
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mercoledì 8 marzo 2017

Primo Libro dei Madrigali - I e II


Amiche care, amici,

vi propongo da oggi un'altra piccola collezione di componimenti in versi, un genere che amo frequentare poiché mi consente di radunare sotto un unico spunto tematico e/o formale una serie di idee e di pensieri, superando in qualche modo il limite narrativo della lirica singola per avvicinarmi ad una espressione più organica e compiuta.
Chi mi segue da qualche tempo ricorderà diversi miei tentativi in questo senso, da raccolte puramente tematiche, centrate tutte su un certo argomento o uno stesso spunto (come "Il mare d'inverno" o "In Nomine" ), fino a collane di componimenti in forma chiusa, come ad esempio i 14+1 sonetti di  "le Solitudini e i Luoghi", pubblicati qui non molto tempo fa.

In questa mia proposta l'intenzione della raccolta è in qualche senso sia tematica che formale.
Difatti il tema è quello di un passaggio di stagione e delle emozioni che esso ci comunica, e ho voluto svilupparlo affrontando per la prima volta in modo compiuto una delle forme più nobili della poesia italiana classica, forse il più noto dopo il sonetto e la canzone, il madrigale.
È una forma che mi ha sempre affascinata molto, per la sua eleganza e compiutezza, secondo me non inferiore a quella del sonetto, accompagnata da una dimensione ancora più contenuta (8 versi in tutto, con una sottostruttura tipicamente a due terzine e un distico) e quindi se possibile perfino più intima e densa del fratello maggiore.
Parlerò in seguito del senso di affrontare oggi una forma "chiusa" anziché un più usuale verso libero, una scelta sempre aperta, non priva di rischi ma sempre una sfida appassionante per chi scrive. E spero interessante per chi legge.

Poiché si tratta come ho detto del mio primo tentativo organico su questa forma, mi è piaciuto intitolarlo in maniera "musicale" con un voluto richiamo al titolo forse più celebre della poesia in musica, quel "Primo Libro de Madrigali" (1587) del sommo Maestro cinquecentesco Claudio Monteverdi. Un omaggio che mi è venuto del tutto spontaneo. Insomma, non ho potuto resistere alla tentazione, sebbene i Madrigali musicati dal Maestro cremonese non rispecchino se non in parte i canoni fissi della forma.
A titolo esemplificativo vi cito il secondo, bellissimo, proprio uno dei pochi che mostra uno schema formale rigorosamente secondo canone:

2.
Se per avervi, ohimè, donato il core,
nasce in me quell'ardore,
donna crudel, che m'ard'in ogni loco,
tal che son tutto foco.
E se per amar voi, l'aspro martire
mi fa di duol morire,
miser, che far debb'io
privo di voi che sete ogni ben mio?

Dunque, come di consueto, vi presenterò due componimenti per volta fino a completare la collana di otto numeri più un Epilogo.
Alla fine li raccoglierò tutti assieme in un'unica pagina dedicata.

Dedico questa "fatica" alla mia ragazza - musicista e polistrumentista, appassionata frequentatrice di musica antica, che inconsapevolmente me l'ha ispirata con la sua apparizione improvvisa nella mia vita, e naturalmente a tutte/i voi amiche dilette e amici, come sempre, con amore

M.P.







Primo Libro dei Madrigali

(Madrigaletti amorosi di passaggio stagione)


I

E finirà la primavera, questa
lunga, tediosa primavera urbana,
così, con quest'ultima diaccia pioggia.

Fluiranno gli ultimi rivoli a sera
per gli usci della metropolitana,
e così l'amor mio tra le mie braccia.

Verrà l'estate, e il denso suo calore
svaporerà in nubi il mio dolore.


II

I veicoli salgono lenti e rari
quando l'ore si avvicinano all'alba,
giovani stanchi sciorinano i passi

attraverso le piazze, lungo i viali,
mentre l'aria lentamente riscalda:
altre giornate verranno, e potessi

mi opporrei a questo tempo che profana
ogni memoria, ogni speranza umana.



Marianna Piani
Milano, Maggio 2016
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sabato 4 marzo 2017

Il minimo e l'immenso


Amiche care, amici,
mi ha sempre affascinato come l'immensamente piccolo contiene l'immensamente grande, un mistero cosmico, un segno inequivocabile dell'ordine finale - e del disordine entropico - del Creato.
Il nostro ruolo in tutto questo è del tutto trascurabile, eppure ne è l'essenza. Ciò che rende significato a questo immenso sforzo generativo, questa energia che si esprime a partire da un unico catastrofico boato e che ha come destino l'annichilimento in un simmetrico immenso boato finale, è la nostra capacità di ragionare su di esso; che, alla fine, è la capacità di questo stesso Universo ad avere coscienza di sé.
Questo è un gioco di specchi tra noi e la realtà oggettiva che rende il nostro organismo biologico parte essenziale ed evoluzione finale di questo super-organismo che è l'Ordine Naturale delle Cose.

Gli antichi, e chi ha fede, chiamano questa entità onnicomprensiva e onnipresente Dio.
Gli scienziati ancora stanno lavorando per esprimerla in un'equazione che ne spieghi le leggi empiriche, e le derive teoriche, e sicuramente sono destinati a non finire mai questa speculazione. Poiché se il carattere meno comprensibile dell'Universo è la sua infinitezza, quello dell'uomo rimane la sua misteriosa ineluttabile finitezza. Paradossalmente tra queste due dimensioni incommensurabili esiste un'unica finestra di contatto, che è la nostra morte biologica. Quando le particelle organizzate che costituiscono la nostra esistenza e la nostra coscienza si disintegrano per tornare a far parte della natura prima e ultima del Cosmo.


Per me, che rifletto sulla mia infinita insignificanza, e scrivo per trovare un senso ad essa, tutto l'immenso della vita si concentra e risolve come il nucleo di una stella nell'unico punto focale, da cui tutta la luce scaturisce e illumina il mio universo.

Che è, amiche dilette e amici, infine, e all'inizio di tutto, l'amore.

M.P.




Il minimo e l'immenso


Raccontami l'immenso.
Ovvero, ciò che illumina il poeta?
Ovvero, l'oscurità che sommerge
le galassie, il riverbero di fondo
onnipresente
del primigenio schianto?
Oppure: il mare; ciò che il mare
era per me bambina quando
seduta al termine del molo
le gambe ciondoloni,
inconsapevolmente naufragavo
nell'incommensurabile distanza?

O ancora è quella montagna, e sopra
il cielo come una lastra di creato
che blocca vista e fiato, qua e adesso;
o invece non è neppure un luogo,
è un pervàdere nell'aria...
Oppure, il voler bene
mio a te, tanto grande
da non vederne inizio, o fine,
o il mezzo, soltanto l'ombra
della sua presenza su di me,
che si espande all'infinito
fino a comprendere l'universo.

Ma l'immenso è altro.
È una corolla, ad esempio,
che s'apre e diffonde
il suo profumo nell'aria
sapida della sera, inquieta
come la tua mano che la raccoglie
dalla mia, e la porta
alle labbra, con ardore.
Ecco: è in questo gesto, senza peccato,
nel tuo fervore così innocente,
è in tutto questo, caro amore mio,
è in questo, il mio, il tuo, il nostro immenso.
 


Marianna Piani
Milano, 3 Giugno 2016
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venerdì 3 marzo 2017

Tre Liriche di Gregory Corso


Amiche care, amici,
oggi propongo alla vostra attenzione un altro poeta piuttosto celebre, il più giovane tra gli esponenti di spicco (assieme a Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William S. Burroughs) della Beat Generation: Gregory Corso (New York, 26 marzo 1930 – Minneapolis, 17 gennaio 2001).

Figlio di immigrati italiani di origine abruzzese da parte di madre (il suo vero nome era Nunzio Corso), ha una biografia davvero tormentata, da "poeta maledetto", con un'infanzia e una giovinezza tristissima e da emarginato. Una storia la sua che meriterebbe essere rappresentata in un film, per quanto è complessa e problematica, piena di luci abbaglianti e di ombre profondissime.

Per un maggior approfondimento vi indirizzo alla solita sintetica ma ottima nota su Poetry Foundation.

In questa micro-antologia non ho affrontato gli scritti più celebri e complessi di questo poeta di grandissimo talento, vi propongo tre piccole, a loro modo delicate e dolenti liriche, solo un piccolo saggio della qualità della sua scrittura, improntata a toni colloquiali, e scevra da raffinatezze linguistiche, in un metro libero e affidato al solo andamento ritmico/armonico.

Vi lascio alla lettura, amiche dilette e amici, come di consueto, con amore

M.P.




Gregory Corso



Dear Girl

With people conformed
Away from pre-raphaelite furniture
With no promise but that of Japanese sparsity
I take up house
Ready to eat with you and sleep with you

But when the conquered spirit breaks free
And indicates a new light
Who'll take care of the cats?



Cara ragazza

Con tutti questi conformisti che rifuggono
Dal un'arredamento preraffaellita
Con alcuna promessa se non
Quella d'una sobrietà tutta giapponese
Metto su casa
E sono pronto a cenare, e a dormire con te

Ma quando lo spirito così conquiso
Si renderà libero
E mostrerà una luce nuova
Chi si prenderà cura dei gatti?





Thought

Death is but is not lasting.
To pass a dead bird,
The notice of it is,
Yet walking on
Is gone.
The thought remains
And thought is all I know of death.



Pensiero

La morte è, ma non permane.
Al passare accanto a un uccello

morto,
La percezione c'è,
Ma appena ci allontaniamo
Essa scompare.
Il pensiero, esso permane
E il pensiero è tutto ciò
Che della morte so.





They

They, that unnamed «they,»
they've knocked me down
         but I got up.
I always get up—
And I swear when I went down
         quite often I took the fall;
nothing moves a mountain but itself—
They, I've long ago named them me.



Loro

Loro, questi innominati "loro",
loro mi gettarono a terra
        ma mi rialzai.
Io mi rialzo sempre —
E ogni volta che cado, giuro, sono io,
        quasi sempre, a voler cadere;
Nulla salvo sé stessa può smuovere la montagna —
Loro, da tempo ormai li chiamo
me stesso.



Gregory Corso
Versione Italiana di Marianna Piani
Milano, 2 Marzo 2017
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mercoledì 1 marzo 2017

Ritratto di Signora


Amiche care, amici

sono cresciuta con due grandi passioni, che hanno segnato la mia vita e la mia esistenza: la figura e la parola.
La prima, poiché è più facile da commercializzare, poiché mi riusciva più facile, e poiché sono di sicuro la persona più pigra che mai vi potrà accadere di conoscere, fu quella che scelsi per farne il mio modo per guadagnarmi (poveramente, ma felicemente) da vivere. Anche se rimane e rimarrà sempre più che un lavoro, un diletto.
La seconda rimase e rimarrà per sempre un puro "diletto", anche se è assai più necessaria e laboriosa che dilettevole per me.

Poiché pratico entrambe queste forme d'espressione praticamente da sempre, da sempre c'è un'osmosi continua tra di esse, il disegno diventando uno strumento narrativo (di scrittura), e viceversa la scrittura uno strumento di raffigurazione
disegno, bozzetto, dipinto, ritratto.
E di fatto non potrei definire la composizione che oggi vi propongo se non nella categoria del ritratto, tanto da dichiararlo programmaticamente già nel titolo.

La "signora" del ritratto effettivamente esiste, e come nel ritratto stesso è detto, essa non sa e non saprà mai di essere stata ritratta, in questo modo, da me.  Una amica cara, una donna di un fascino intenso e quasi violento per la sua forza d'attrazione su di me, ma per me un sogno irraggiungibile.
Ci si può innamorare della luna, o di una stella, pur sapendo che essa — così lontana da noi — non lo verrà mai a sapere..
Ma forse, dentro di sé, lo intuisce, e silenziosamente continua a donarmi la sua calda, dolce, affettuosa amicizia.


(I più attenti si accorgeranno che si tratta di cinque sonetti liberi, abbozzati appena nella struttura strofica, un poco in omaggio al tema amoroso...)

Amiche dilette, amici, vi lascio alla lettura, come sempre, con amore.

M.P.




Ritratto di Signora


«Dolce, amabile Signora,
tu che discendi ora i gradini
del tuo inaccessibile orgoglio
per venirmi incontro,
tu che ti avvicini a me finché
mi giunga nitido il colore
delle tue limpide pupille,
tu che concedi
a questa piccola tua ancella
la tua mano ferma di sovrana,
per condurla ad ascendere il gradino
che ti separa dal mondo,
per condurla a te,
eletta tra le tue Vestali...»

Così ti ritrassi, amica mia,
direttamente dalla memoria,
secondo quel mio cattivo uso
di non ritrarre mai dal vivo
ma dall'immagine della mia mente.
Un pezzo di carta qualunque
e una matita azzurrina,
era tutto quanto m'occorreva,
scorrere con la punta affilata
i tratti del tuo volto, rivederli
emergere dall'impasto bianco
come un veliero che emerge
solenne dalla nebbia,
alla luce di luna, in mare aperto.

Nulla per me è più esaltante
del tracciare la mandorla perfetta
del tuo occhio, dare luce
con un semplice tocco
alle tue vivide pupille,
ombreggiare con un tratteggio lieve,
senza sfumare, il tenero rilievo
dei tuoi zigomi sinceri,
riprodurre, tratto a tratto
i mille fini solchi delle tue labbra,
fino a restituirne
la dolce fervida incertezza,
lasciar che sia soltanto il bianco puro
a dare la luce della tua fronte.

Vi sono istanti in cui
un segno sulla carta è luce
oppure ombra, oppure
una apparizione, oppure ancora
il profumo dei tuoi capelli,
il finissimo velluto delle guance,
la piega dei tuoi pensieri
agli angoli degli occhi,
il rossore tenue delle tue guance
quando dico il tuo nome,
l'arco ardito della tua fronte
quando adagio si distende
in sonno pieno: un sortilegio
più che arte, a me pare.

Eppure io non ti donerò
questo ritratto, tu, ignara,
non lo vedrai, mai saprai di esso.
Se lo vedessi, ti schermiresti:
«troppo solenne, troppo fastosa,
troppa bellezza, troppa posa»
mi diresti «non sono io
questa donna, non è mio
quello sguardo, quel sorriso
d'angelo divino, non sono io.»
Ed è vero, perché, amore mio,
questo non è il ritratto
di ciò che appari, di ciò che sembri,
e meno ancora di ciò che sei:

questo è il ritratto
del mio sguardo su di te
mia dolcissima Signora.



Marianna Piani
Trieste, 14 Dicembre 2015
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