«La Poesia è Scienza, la Scienza è Poesia»
«Beauty is truth. truth beauty,- that is all
Ye know on earth, and all ye need to know.» (John Keats)
«Darkness cannot drive out darkness; only light can do that. Hate cannot drive out hate; only love can do that.» (Martin Luther King)
«Não sou nada. / Nunca sarei nada. / Não posso querer ser nada./ À parte isso, tenho em mim todos los sonhos do mundo» (Álvaro De Campo)
«A good poem is a contribution to reality. The world is never the same once a good poem has been added to it. A good poem helps to change the shape of the universe, helps to extend everyone's knowledge of himself and the world around him.» (Dylan Thomas)
«Ciò che premeva e che imparavo, è che in ogni caso non ci potesse mai essere poesia senza miracolo.» (Giuseppe Ungaretti)
mercoledì 31 dicembre 2014
Propositi
Amiche care, amici,
siamo agli sgoccioli dell'anno, questo anno pari che ci ha accompagnati lungo l'arco di quattro stagioni più o meno feconde: di idee o di affetti, di illusioni, di amori, di passioni, di sconfitte, di cambiamenti…
Personalmente non è una ricorrenza cui assegno particolare importanza. Nella storia della mia famiglia, quando ero una bimba - come ho narrato su queste pagine - tutt'occhi neri e capelli spettinati, la Festa di un qualche significato era il Natale e dintorni. I miei genitori erano cattolici, non particolarmente osservanti, spiriti liberi, ma amavano questa occasione di tenerezza da scambiare e da distribuire a noi bimbe. Il "capodanno" non era mai stato particolarmente amato o formalizzato. Ricordo soltanto, a parte il fastidio dei "botti", che io avevo sempre detestato perché mi terrorizzavano e mi facevano sobbalzare dolorosamente, nella mia città lo "scatenamento" davvero tra l'inquietante e il festoso delle sirene delle navi in rada. Il "suono" della notte di fine anno (o capodanno come lo chiamavamo) era proprio questo ululato prolungato, ritmato… Non molto di più: a quell'epoca la "mezzanotte" era per noi bimbe una grande concessione. Noi per buona parte dell'infanzia ci coricavamo alle nove, massimo nove e mezzo…
Dunque, in questo periodo dell'anno io preferisco rifugiarmi in qualche luogo appartato, dove poter evitare i "festeggiamenti obbligati", che ho sempre considerato con fastidio e anche tristezza, e per tentare di sfuggire a quelle terribili ondate di depressione, figlie della mia malattia neurologica, e della catalizzazione di questo "trapasso" temporale così insistentemente evocato.
Quest'anno sono fuggita, letteralmente, rifugiandomi presso una amica cara, tra le montagne della Savoia Francese, in un luogo non particolarmente frequentato dal turismo, che si concentra molto più non molto lontano (Chamonix, Megeve, Avoriaz) e quindi interessa solo di striscio questi luoghi.
Come ho voluto una settimana fa regalare a voi, miei lettori e amici, anzi, prima amici che lettori, un piccolo pensiero per questo periodo natalizio appena concluso, un piccolo segno del mio affetto e riconoscenza per la vostra persenza, ho pensato di scrivere qualcosa sul tema, ma senza tradire il mio personale sentimento in proposito.
Ho compiuto devo dire diversi tentativi, che non mi hanno soddisfatto. Finché non è scaturito questo micro poemetto a quartine, in cui ho voluto riversare, senza infingimenti o veli, l'intero mio stato d'animo. Ne è uscita una composizione aspra, tutt'altro che festosa, come del resto mi aspettavo, di un genere non molto abituale per me.
Si tratta dunque dei miei "propositi" di fine anno, e infatti così la ho intitolata, ma propositi in negativo, di ribellione, di rivendicazione di libertà.
Intendiamoci, si tratta di un canto libero, non mi sento "eletta", gran parte delle ombre cui mi ribello provengono dalle oscurità profonde della mia stessa anima.
Sono stata a lungo indecisa se pubblicare questa cosa, e se farlo proprio oggi. Ma io so che tutte e tutti voi siete delle persone straordinarie, che il vostro affetto vi consentirà di capire senza pregiudizio (il pregiudizio: una delle cose cui mi ribello) i miei pensieri e le mie emozioni.
Dedico in particolare questa composizione ad una amica carissima, D.R., una donna di straordinaria bellezza e di meravigliosa intelligenza, con cui ho condiviso parte di questi pensieri.
E ora, anche stavolta eccezionalmente senza rispettare la mia regola della quarantena, perciò assumendomi ogni rischio, anche formale se non sostanziale, la voglio condividere con voi, amiche dilette e amici.
Del resto ogni espressione d'arte è un taglio praticato nella nostra carne nel tentativo di raggiungere e liberare il nostro spirito profondo…
Con amore, per tutte e tutti voi.
M.P.
"Propositi"
Contemplavo oggi, con una forma
di tenera pietà, addolcita anche
dal pallido rosa d'uno stentoreo
sole - percolato dal muro calcinato
delle nebbie che soffocano la valle:
contemplavo dunque gli spilli e i chiodi
di ghiaccio sospesi come una trina
sotto lo spiovente del mio tetto.
Pregavo, a un dio irreligioso
di passaggio nella mia mente sghemba,
che cadessero quelle aguzze spade,
quelle cuspidi vergini di cristallo,
cadessero finalmente, trafiggendo il mondo
e il suo spavaldo brivido giocondo
quando l'arco mozzo d'un inverno
seguito a un'estate madida, esausto
va morendo. Quale è la festa, maschere
gioiose di volatile cartapesta?
Certo, ho pregato con fervore anche
che quelle lance gelide piombassero
a conficcarsi nel mio animo sdrucito
perché ne sgorgasse il sangue
della passione e del mio ardore
ora che il mio ventre inaridito langue.
Ho pregato, come una santa isterica,
ho pregato sulle piaghe del mio seno
che quel dio mi desse sempre voce
e libertà nell'invettiva. E giurai...
Giurai quasi gridando che mai più
avrei scordato il maschio che mi ebbe
abusando del mio corpo in cambio
d'un mai concesso amore.
Che mai più concederò perdono
alla femmina che con la sua beltà
mi volesse dominare, o mi tradisse
per due miserabili denari oppure
pur di apparir per bene al mondo,
per quel viatico di spettabile borghese -
quando ancora solo la notte prima
aveva mugolato perenne amore
con la mia lingua nella sua vagina:
non baratterò mai più il mio amore
per una fredda ciotola di sesso.
Né confesserò mai più il mio dolore
se non cantandolo a mondo intero.
Non cederò mai più indulgenza
a chi s'ammanta di rispetto e intanto
spalanca le biblioteche della memoria
ai roghi dei nazisti digitali.
Non più tollererò al mio cospetto
chi non rispetta l'umano affetto,
né chi disonora il suo intelletto.
Non s'attenda da me pietà quell'empio
che viola di violenza l'innocenza,
né chi per calcolo o viltà l'ignora,
e non grida per ciò vendetta al cielo.
Non più sgarbi, non più cieco pregiudizio,
non più sguardi ipocriti imbarazzati
ai miei casti baci, mai più celati
in nome d'un impraticabile pudore.
Non più disprezzo per chi è altro,
non più la menzogna di chi impera,
non più invidia per chi possiede,
non più arroganza della ricchezza,
non più colpevole ignoranza,
non più bramosia d'esibizione,
non più carnefici del gusto,
non più volgarità senz'anima né storia...
La mia esistenza è quella di una pianta
fragile ed esile di stelo e rami,
le cui profondissime radici s'aggrappano
disperate alla terra e all'humus
di questa antica e nobile Civiltà.
La mia voce è appena udibile nel vento,
dalla mia vulva non uscirà mai vita,
ma i miei rami sanno dare fiori caduchi.
Questo è ciò che saprò dare al mondo
finché sarò vivente: una piccola armonia
e la nudità della mia piccola bellezza.
Ma a nessuno e nulla lascerò rubare
la mia fiera femminile Umanità.
Per D.R.
Amica diletta e donna di valore
Marianna Piani
Plateu d'Assy, 31 Dicembre 2015
domenica 28 dicembre 2014
Indifferenza
Amiche care, amici,
muore l'anno, molte illusioni si dissolvono per dar luogo ad altre illusioni.
Di illusione in illusione procede la nostra vita: di fatto noi di illusioni ci nutriamo, ne abbiamo necessità come il nostro sangue necessita d'ossigeno.
Apparentemente opposta, l'indifferenza è lo scudo che ci protegge dalla consapevolezza e dalla coscienza, quando tempeste intollerabili si abbattono su di noi, rischiando di frantumare la nostra ragione. Inutile negarlo: quando nulla possiamo fare per opporci alla corrente che ci travolge, ad essa ci affidiamo. E alla fine ci ritroviamo sempre, al risorgere del sole, un po' più danneggiate, un po' più svuotate, un po' più arenate, ma ancora vive.
E la vita in fondo non è un bene che ci appartiene, non ne possiamo disporre a piacimento, anche questa è un'illusione. Per chi ha una fede, essa appartiene a un Dio, per chi una fede non ha, al Destino. Anche quando qualcuno decide di porre fine alla propria vita con un atto d'imperio e di autodeterminazione, o di pura e semplice disperazione, non si illuda: sarà sempre quel Dio, oppure quel Destino, ad averlo voluto e imposto.
Ciò che solo ci dà luce in questo cammino alla fine, è l'amore. Noi esistiamo soltanto in quanto ci è caro qualcun altro, e a qualcuno importa la nostra esistenza.
Perciò, amiche dilette, amici cari, per voi, tutto il mio amore.
M.P.
Indifferenza
Come una testuggine arenata
rintanata nel carapace -
grigio duomo fatto d'osso
e tenacia umbonata - attendo
che la tempesta abbatta
scogliere e dighe e frantumi
i sogni e le speranze come ghiaia
sulla spiaggia,
e qui la sua rabbia infine
trovi sfogo e vi si plachi.
Piove su di me l'indifferenza
in un pigro stillicidio come pianto,
così come precipita l'inganno
dalle nubi che oscurano
l'orizzonte per l'uragano
che mi ha trascinata così lontana
dalla mia rotta.
Preferirei morire cento volte
annegata nella sabbia
come una valva devastata.
Le mie uova di velluto
che tanto m'han costato
di stupore sangue e rabbia
presto saranno preda inerte
dei folli cormorani,
e mi rimarrà soltanto di osservare
da lontano l'orribile mattanza
e rimpiangere per sempre
la vulnerata mia innocenza.
Non darà mai progenie viva
il mio utero inaridito,
sola voce avranno le parole
del mio fervido pensiero
mai esausto, mai vinto.
Marianna Piani
Milano, Luglio 2014
mercoledì 24 dicembre 2014
Avvento
Amiche dilette, amici,
Una tradizione da sempre la poesia di occasione, o su commissione.
Oggi il "mio" mercoledì coincide proprio con la sera di Natale.
In previsione di questo qualche giorno fa scrissi "a braccio" questa piccola composizione a sestine, in tema, pensando ad alcune delle mie amiche ed amici più cari, e anche tutti voi lettrici e lettori, e ora ve la voglio dedicare, facendo un (dovuto) strappo alla mia consueta regola della quarantena…
Con tutto l'amore possibile, per voi che mi donate la vostra presenza, la vostra lettura, il vostro affetto.
Vostra
Marianna
Avvento
C'è stato un tempo
in cui il vento dell'inverno
non temevo, come un amico
che mi spingeva alle spalle
verso il mare scompigliato
sciolto come i miei capelli.
Era il tempo in cui la notte
che giungeva in pieno giorno
non mi faceva orrore,
attendevo invece la magia
delle stelle nelle sere chiare,
e ne cercavo la compagnia.
Era un frammento di quel cielo
che mio padre spillava
alla parete accanto alla credenza,
sopra le casupole di legno,
il muschio che fingeva l'erba
e la stagnola per torrente.
Le figure arcane variopinte
risalivano l'erta, qualche agnello
si riposava in mezzo al prato,
tra esse v'era l'unico pastore
che io avessi mai veduto,
e un angelo dall'ala mozza.
Nella stalla, in un pugno
di vera paglia gialla
un goffo puttino rosa
protendeva le paffute braccia
a chi lo osservava,
e ai due quadrupedi sereni.
Mi si diceva
che il putto fosse santo
e io ci credevo, per quanto
non sapevo che volesse dire.
Lo chiesi un giorno a mamma
che mi rispose:
"vuol dire che è puro
e innocente, come te,
come ogni bimbo al mondo."
Non compresi allora,
ma lo comprendo ora
il senso delle sue parole.
Il vero senso - profano -
dell'Avvento.
Marianna Piani
Passy, 23 Dicembre 2014
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sabato 20 dicembre 2014
Donna malata
Amiche care, amici,
a quante di noi capita! A me con frequenza disarmante: in coincidenza con il ciclo, per me sempre travagliato e doloroso, una recrudescenza della mia malattia (la mia "triste compagna"), ed ecco subito una giornata e una nottata passate nella sofferenza di un corpo che non vuole saperne di collaborare.
E come a me accade sempre, la vita accade, la scrittura segue.
Non è possibile scrivere nel corso di un evento coinvolgente, che sia di gioia, o di sofferenza. L'emozione, contrariamente a quanto si pensi, è nemico giurato della scrittura, e più che mai della Poesia.
Nessun testo degno di memoria o anche di semplice lettura può essere stilato sotto l'onda di un'emozione. Più intensa è l'emozione, o il rumore della vita, del mondo, del nostro corpo, più lontana è la scrittura. La scrittura non è uno sfogo, non è terapia, mai, è una edificazione. Chi scrive distilla la propria vita, le proprie esperienze e le proprie emozioni per mutarle poi, con il lavoro, la tecnica, la ricerca quotidiana e la "materia" della parola, in espressione. In comunicazione. In visione.
In un qualcosa che possa essere compresa dagli altri,
Così ho scritto questa mia non certo nel corso della crisi, ma solo qualche giorno dopo essermi ripresa. Ma con la memoria ancora viva di quelle ore di solitudine malata.
La vita è fatta anche di queste piccole e grandi sofferenze quotidiane, fisiche o morali, ed esse finché ci dominano sono tormentose, non lasciano spazio che a sé stesse.
La condivido con voi, amiche dilette e amici, con amore: anche la sofferenza fa parte della vita.
M.P.
Donna malata
Non sto bene affatto,
aggrappata al mio letto
sfatto, ora dopo ora, le mani
abbattute sulle lenzuola
raggrumate come sabbia
drenata dalla marea
che ne risucchia il mare
- che pur pare immenso -
nell'incommensurabili cavità
dei suoi alveoli di tempo.
Osservo, soltanto osservo,
senz'intenzione, la perfetta
curatissima stesura dello smalto
color rubino sulle mie unghie
levigate come petali
di giada, che feriscono
con veemente grazia
la fodera innocente del guanciale:
quando le ornai così, or non è molto,
con femminile consuetudine di bellezza
avevo ancora mano salda,
senz'incertezza.
Ora ogni incertezza, ogni ansia
s'esacerba al palpitare lieve
del mio seno sotto l'orlo
di pizzo bianco, come un prato
fiorito in cima
a una morbida collina.
Nel malessere che mi afferra
alla gola con la stretta aspra
della nausea,
mi chiedo istintivamente
dove sia la mia bellezza,
ciò che fa di me la donna
che muove il desiderio
in chi l'osserva,
alla luce del mezzogiorno.
Certo ora il mio pallore
è quello d'un cencio smorto,
e profonde sono l'ombre
nei miei sguardi
nonostante la decisa riga
di matita, tracciata
quasi con dispetto,
e l'ombretto, rimasto intatto
e sfatto
dalla sera innanzi.
Tra non molto, ne ho orrore,
vomiterò in ginocchio
abbracciata alla tazza
algida come un candido sperone
di roccia e ghiaccio - indifferente.
Nemmeno l'ombra della mia bellezza
sarà allora in quel quadro spento,
soltanto la figura d'una donna sfatta,
com'è sfatto questo letto intirizzito
dalle coltri vuote e stazzonate
in cui giaccio, con la spada
del malore che mi picchia in capo
rintocchi aspri e fratti.
Tu manchi cara, ecco cosa,
manchi in quest'angolo mio di vita,
ed io come un'ombra al meriggio
dissolvo nel muro calcinato
che invano sbarra il passo
al sole che tutto travalica
e tutto abbaglia:
poiché la mia salute e la mia bellezza
son soltanto il riflesso sbiadito e vago
del tuo impareggiabile fulgore.
Dove sei, mio amore santo,
Sole che senza te m'ammalo,
che decisamente tristemente
muoio di disincanto?
Marianna Piani
Milano, 28 Luglio 2014
mercoledì 17 dicembre 2014
Tu accanto
Amiche care, amici
La vita è chi ci sta accanto, chi ci dona la sua fede, chi fa della nostra esistenza un sostegno, e della sua presenza una sia pur effimera certezza.
La solitudine è la condizione più disumana, perché la nostra Specie è creata per la Relazione, noi da soli siamo nulla. Forse non siamo nemmeno vivi.
Amare è stare accanto, avere accanto la persona che ci completa. Non importa se il cammino da percorrere sarà lungo o breve.
Ciò che conta è sentire la presenza, colmare il vuoto dell'assenza, giorno per giorno. Tendere una mano e sentire la sua che si afferra. Che si affida.
Che offre la sua forza per la tua.
E non solo l'amore, l'amicizia anche, conta. Mani che si tendono verso di noi per sorreggerci nel nostro cammino.
Dobbiamo saperle cogliere, nemmeno ce ne rendiamo conto da quanto amore e affetto siamo circondati…
Per voi, amiche dilette e amici cari, con grande amore.
M.P.
Tu accanto
Credetti di esserti accanto quando
abbandonai la via maestra segnata
sulla mappa del mio destino
promesso mite e lineare e invece
intorcigliato e contorto, tormentato,
scavato tra rocce e ghiacciai
spaccati dal maglio del tempo
come un sentiero mille volte smarrito
e mille volte riabbracciato
al costo di sangue e travaglio
e fede tenace nella propria intima
purezza.
Sperai di averti accanto
mentre riposavo esausta
stremata dalla lunga risalita, riposavo
sull'orlo della pendice scoscesa
di calce, di breccia e di ghiaia
al riparo dal vento tagliente di alta quota,
immersa nella corta macchia
di ceruleo indifferente ginepro,
sperai così come ognuno spera
il tocco d'una mano amata
che ci sollevi dalla nostra atroce
incertezza.
Desiderai di esserti accanto,
così come fanno gli amanti alla sera
per discacciare i demoni del loro
divenire giorno per giorno
indifferenti al tocco al suono
dell'amore, disorientati
dall'assordante clamore
del tedio che ci incombe
come un massiccio di cenere
e lava che oscura il cielo,
mentre il viso indugia stupito nell'ombra
d'una carezza.
Seppi di averti accanto quando
vidi il cielo squarciarsi all'orizzonte
e la notte sciogliersi nel vento
dell'alba che gonfiava le vele
e scompigliava i voli dei gabbiani.
Lo seppi dal tuo respiro
che si quietava come nel canto
di un'aria serena, coricandosi
sulla superficie del mare
come una nebbia che offuscava
la mia ragione e illuminava invece
il mio cuore di dolcezza.
Ci fummo finalmente accanto.
Marianna Piani
Milano, 27 Luglio 2014
sabato 13 dicembre 2014
Itinerario di Prima Estate
Amiche care, amici,
Ritorno oggi alla pubblicazione normale con questa canzone libera, un po' fuori stagione per quant'è tutta immersa nell'atmosfera estiva di quando è stata composta.
Ora, in pieno inverno, è difficile quasi immaginare quelle ore pigre, sedate, con il sole che dardeggia in mezzo a un cielo ceruleo, accaldato, i pomeriggi sonnolenti, la voglia di uscire, la sete di vento e di mare.
Sono quelli i tempi in cui, quand'ero nella mia adolescenza, complice il lungo periodo di vacanza, fiorivano amori e s'intrecciavano passioni, e pensieri di fuga e di vittoria.
C'è un'età della vita, attorno proprio all'adolescenza, in cui siamo convinti che il nostro tempo sia infinito, che gli anni, l'invecchiare, il mutare, il morire, siano cose che non ci riguadino direttamente, come in un film di cui siamo protagoinisti e allo stesso tempo spettatori. Nulla è stabile, tutto però è per sempre.
Per questo allora ogni storia, ogni relazione, ci sembrava effimera, mutevole, pensavamo che si potessero commettere errori e ricommetterli indefinitamente nel tempo, per questo ci lasciavamo trascinare dalla corrente, senza mai veramente tentare di fissare memorie, di registrare ricordi, senza cercare di aggrapparci a una radice sporgente dalla sponda. Ci lasciavamo semplicemente, dolcemente e serenamente - o anche furiosamente - trascinare ed annegare dal nostro tempo. Un tempo che non ci rendavamo conto di quanto intanto scorreva ripido, veloce, irrefrenabile, turbolento, come le rapide d'un torrente.
Di tutto questo questa composizione vuole essere il ricordo, come potrebbe essere una pagina strappata da un diario sentimentale...
La condivido ora con voi, amiche dilette e amici, con amore.
M.P.
Itinerario di prima Estate
Passeggiare lungo questi sentieri
in mezzo all'arida falda
di polvere e pietra, alle spalle
dei rami aggrondati dei pini,
tra i bassi roveti, sulla banchina
di cemento spaccato dal tempo,
dove s'adunano le processionarie -
devote vermesse ancora lontane
dal divenire obese farfalle d'un istante -
camminare senza premura, nel frinire
spietato delle cicale, cento metri
a precipizio sopra il mare.
Quante volte l'ho fatto allora,
mano nella mano, fianco a fianco
con chi amavo, magari nel silenzio
d'un amore acuto e ferito.
Quanti passi ho infilato
lungo il filo dei miei pensieri
e quante parole, ora dolci,
ora svagate, ora appassionate,
di volta in volta scambiate
con una sorella, già allora fuggente,
oppure con una delle mille effimere compagne,
farfalle che avrei voluto spillare
alla teca del mio cuore per sempre.
Erano ore in cui finanche le rondini
accaldate dal meriggiare montante
volavano poco, o non volavano affatto:
solo all'imbrunire avrebbero empito di stridi
il cielo che s'accendeva di porpora e nero.
Come un aviogetto abbattuto
il mio cuore precipitava da quel cielo
e forse erano sue le fiamme
che tingevano le nubi a sangue
prima che all'impatto con la bassa atmosfera
la fusoliera vi deflagrasse.
Il calore rimaneva a lungo impigliato
alle spine dei moreti, lungo i bordi
dei fossati e delle forre.
Cercavamo ristoro su quei sentieri
appena coperte da corte vestine di lino
o di organza, che ci rendevano
come bianche corolle
in cima ai lunghi steli sottili
che erano le nostre gambe adolescenti.
Attendevamo, emozionate dal turbamento
che ci pulsava nel cuore nello scoprire
il fatale fervore dell'amore;
attendevamo con ansia
che si levasse la brezza marina
a gonfiare le corte gonne,
e risalisse sotto le vesti
lungo il corpo che rabbrividiva
come al tocco di una audace carezza.
Forse ci rubavamo in fretta una all'altra
un bacio, o forse lo sognavamo soltanto.
Il gesto o il pensiero allora
non contava più dei nostri sguardi
perduti insieme in un cielo
che lentamente come sangue rappreso
da rosso e magenta sfumava nel bruno,
finché il nero come una nube
di seppia immanente si spandeva
accecando ogni cosa e ogni creatura.
Noi attendevamo le stelle,
che immaginavamo, o sapevamo
nostre sorelle, con la fiducia e l'abbandono
degli amanti, che ignoravano
il metallo rovente del parapetto
su cui effondevano incendi di baci.
Giungeva, con l'accendersi delle stelle,
la frescura, o qualcosa che tale
poteva sembrare, e godevamo
dei nostri piedi che intirizzivano
immersi nelle onde salmastre.
Quanta strada percorremmo,
quanti passi, uno dopo l'altro,
deponemmo su quei sentieri
segreti, oppure esposti sulla pendice
del monte, aperti allo sguardo
verso l'orizzonte che ci si profilava
quale era la nostra speranza,
sgombra d'ogni ostacolo fin dove
si potevano spingere i pensieri -
poiché questa era l'intrinseca bellezza
del nostro mare, e del nostro amore,
com'è d'ogni amore, e d'ogni mare,
di ogni tempo, d'ogni luogo,
e di ogni cuore.
Marianna Piani
Milano, 24 Luglio 2014
mercoledì 10 dicembre 2014
A Supernova Dies
Mark Strand (April 11, 1934 – November 29, 2014) |
Amiche care, amici,
pochi giorni fa ho ricevuto un messaggio da un caro amico, scrittore e poeta, un messaggio insieme breve ed emozionato, come capita in queste occasioni, che mi informava:
"Dear,
I wanted you to know that the Canadian-American poet Mark Strand has died."
Non conoscevo questo Poeta se non di nome, alla lontana, come spesso capita: la nostra cultura e la nostra attenzione non può comprendere tutto. Si tratta invece di una voce importante del panorama poetico contemporaneo, e ho iniziato a procurarmene gli scritti. L'ho trovato subito molto interessante, incisivo, memorabile.
Ma l'avvenimento in sé mi ha fortemente colpito, e ho sentito la necessità di rispondere nel modo a me più congeniale e naturale - quando si tratta di esprimere delle emozioni - con una breve composizione. E l'ho composta a braccio, direttamente in inglese, perché inglese è la lingua prima del mio interlocutore, e anche perché inglese è la lingua d'espressione del poeta di cui mi si annunciava la morte.
Di norma io evito di comporre in una lingua che non sia la mia nativa (sbbene abbia una discreta padronanza di almeno due altre, Francese e Inglese), poiché ritengo che occorra un dominio assoluto e perfetto per "piegare" una lingua viva al linguaggio poetico.
Tuttavia, questa piccola lirica mi è sgorgata così limpida e spontanea, come se fosse stata scritta da un'altra persona, tanto che ho pensato di fare un'eccezione. Anzi, per la verità ne ho fatte diverse, di eccezioni, qui oggi.
La pubblico, per cominciare, a pochi giorni dalla composizione, cosa che non faccio mai, come molti di voi sanno. Non aveva senso però fare un omaggio a un artista che ci lascia a mesi di distanza dall'avvenimento.
Inoltre si trattava in origine di una comunicazione privata, e non avevo intenzione di renderla pubblica, anche per motivi di privacy e discrezione.
Tuttavia il tema per me travalica sia i limiti di un dialogo tra due persone, sia l'omaggio a un particolare artista.
Per tutte queste ragioni ho pensato che valesse la pena di dargli uno spazio qui, tra queste pagine, per condividerlo con tutti voi.
Che accade al mondo, e a noi, quando un poeta muore?
Per voi amiche care e amici, come sempre, con amore
M.P.
A Supernova Dies
When a Supernova dies
She shines as never before
a full brightness of light
that wounds our eyes
and our trembling mind,
and...
A wave of energy expands
throughout the universe
infinitely around
beyond the limits of time.
When a Poet dies
anyone, anytime, anywhere
- was he a candle
or a sun -
his inexpressible light
for a timeless breath of life
dazzles our sight,
and the long wave of his song
for ever will become
part of our primary cosmic rays.
Marianna Piani
Trieste, December 7 2014
(Thanks to my Friend and Poet A.T.)
sabato 6 dicembre 2014
In Nomine - VII
Amiche care, amici,
Ecco dunque le ltime due composizioni, a chiudere ad anello questa collana di perle con due nomi che mi stanno molto a cuore.
Non aggiungerò di più a commento, soltanto dirò che questo viaggio in compagnia dei nomi delle amiche a me più care nel territorio magico della più classica e armonica tra le forme poetiche mi ha cambiata e maturata, come scrittrice e come donna.
Il sonetto ha quattordici versi, e per una come me - con la mia a volte eccessiva "facilità" di scrittura, con la mia cronica tendenza a travalicare, a debordare gli argini - questa è stata una scuola di rigore e di sintesi perfetta, perché in poesia, e in generale in letteratura, come in ogni altra forma d'arte, compresa nonostante la sua intrinseca monumentalità la stessa architettura, nulla contano le dimensioni per esprimere bellezza. Soltanto l'armonia e le proporzioni.
Tornerò presto in questi territori affascinanti, tornerò a visitare a modo mio le forme della tradizione, per purificare la mia ispirazione, per sfidare la mia anarchica inattualità.
Dedicata a Sonja e Mara, sorelle dilette, e a voi tutte e tutti, come sempre, con amore.
M.P.
In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto
13
Sonia
Gatta di luna, e raggio di neve,
sogno del fiordo ghiacciato a novembre,
nubi fuggenti come angioli bianchi
che puoi graffiare con l'unghia d'un dito.
Ombre che dilagano mormorando,
spiegando le vele nella tempesta
che si profila dal mare, agitato
d'una inquietudine senza riposo.
Il grido d'un sole improvviso squarcia
la cupola densa di cumuli plumbei,
e irrompe nuova e violenta la luce.
Questa luce che nel regno di Aurora
e delle notti infinite è l'unico
splendente e perfetto dono di Dio.
Milano, Giugno 2014
Marianna Piani
14
Mara
Sole squillante sui campi d'estate
sole che chiama altra luce a raccolta,
sole che accende le messi e che arde
foreste già troppo riarse e troppo
deserte, chiuse nel loro riserbo.
Sole che sorge all'aurora sul mare
che inonda la pelle bruna salmastra
nella magica baia tra i due seni:
ornata di dolcissime perline
di giada e d'argento e di sudore
del tuo amore d'onda e di scogliera.
I piedi d'avorio e di corallo
sprofondano come in una neve
nella sabbia che quel sole arroventa.
Milano, Giugno 2014
Marianna Piani
mercoledì 3 dicembre 2014
In Nomine - VI
Amiche care, amici,
Undecimo e dodicesimo sonetto, dunque, dedicati questi ai bellissimi nomi di Silvia e Stefania.
E i nomi, per me, come per magia, in un modo del tutto irrazionale e inspiegabile, descrivono e contengono sempre in qualche modo le persone che li portano
Di Silvia posso dirvi qualcosa di più, poiché di lei ho perso traccia, e difficilmente sarà riconosciuta o individuata dalle mie parole.
Silvia è un'infermiera, un paramedico esperto e una giovane donna di quieta ma luminosa bellezza, sposata, mamma di due figlie piccoline, e pur avendo una famiglia - adorata - cui badare, nel suo lavoro riusciva a dare tutta sé stessa, tutta la sua dedizione, la sua dolcezza, la sua immensa pazienza e capacità di comprensione.
Come il talento di un artista domina la vita di chi lo esprime, così Silvia era tra le corsie non più la donna di famiglia, la semplice ragazza sorridente e di natura spigliata e allegra che era, ma un Angelo Soccorritore, ruolo che in questo modo definitivamente totalizzante solo le donne sanno incarnare, a volte fino al martirio.
Non era questo il caso, tuttavia nel periodo che ho potuto passare con lei, nella clinica in cui ero ricoverata, ho capito a fondo il significato della Umana Pietas.
È stata lei, principalmente, a ricomporre i pezzi della mia anima, sparpagliati ovunque senza un ordine qualsiasi, è stata lei, con infinita pazienza, anche sopportando la mia ostilità iniziale, la mia non volontà di fede, a ricondurmi in qualche modo alla ragione e alla vita.
Quando fui in piedi, e lasciai la clinica, traballante ma ricostruita, come una vecchia abitazione sconvolta da un ciclone e ristrutturata alla meglio, in quel preciso istante in cui la stavo perdendo, mi accorsi di amarla, come e più di una sorella.
Naturalmente, era tardi. E non la vidi più: io fui in clinica quasi un anno dopo per degli accertamenti, la cercai, ma seppi che si era trasferita in un'altro Paese.
Di Stefania, cui mi ispiro per il dodicesimo sonetto, invece non dirò molto, perché potrebbe essere riconosciuta, e se la Poesia è un atto pubblico (senza un pubblico nessuna poesia potrebbe esistere) le vicende legate alle persone sono private, segrete, e questa discrezione non deve essere violata, mai.
Dirò soltanto che si tratta di una ragazza che ho conosciuto solo "virtualmente", ma che rimane un punto di riferimento per me. Di una bellezza sconcertante, quasi perfetta, di una grande e sensibile intelligenza, fragile ma di grande determinazione, rappresenta per me la sintesi di ciò che una donna può donare di sé al mondo, con la sua semplice presenza.
Per voi, amiche care e amici
Con amore
M.P.
In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto
11
Silvia
Il suo volto appare svanito per sempre,
nell'opaco destino che è lo specchio
appannato della mia nudità stremata
ed è l'immagine inversa e riversa
della mia inquietudine perversa, insana
compagna di cella di questa mia
disperata detenzione, esiliata
dall'essere una e una sola donna.
Mi trattenni allora salda e avvinghiata
al suo corpo paziente, come una radice,
per non esser travolta dalla corrente.
Nei giorni infami di carenza e di strazio,
soltanto il suo sguardo fu la luce
che mi guidò oltre l'oceano e lo spazio.
Marianna Piani
Trieste, 21 Giugno 2014
12
Stefania
Finestra sul creato che mi ha lasciata stupefatta
quel suo chiaro sguardo privo di rancore e incapace
di qualsiasi menzogna; radici aggrappate al cielo
quelle sue mani cariche di luce e frutta dorata.
Quelle sue mani, fini e sapienti, erano brezza
che solleticava il collo dell'amato e la fronte,
il suo sorriso era il sole vivo del meriggio
che lacera il sipario dei nembi all'orizzonte.
Fu il pensiero a strappare l'uragano giù dalle cime
ove s'annidava, fu quella sua sovrana bellezza
a eclissare la saetta, e la luna che la seguiva.
Alcune donne hanno la libertà inesauribile
dei venti e delle piogge, donano al mondo soltanto
il ristoro del maestrale o la furia del temporale.
Marianna Piani
(Giugno 2014)
sabato 29 novembre 2014
In Nomine - V
Amiche care, amici,
questo è il quinto appuntamento con la mia raccolta di "sonetti" intitolati ai nomi di donna che hanno arricchito la mia vita.
Dirò, a chi non fosse addentro a questioni di prosodia e di storia della Poesia, o a chi fosse incuriosito da un poca di "cucina", che l'idea di raccogliere una "rosa" di quattordici sonetti, tanti quanti sono i versi che ne compongono la forma canonica, non è affatto nuova o inconsueta, né nel passato e neppure nella letteratura contemporanea, dove si possono incontrare diversi esempi di composizioni o raccolte formalmente simili a questa, in un arco che va dal Boiardo a Pasolini, Zanzotto, Landolfi.
Inoltre, ho parlato qui sempre di "sonetto", ma naturalmente siamo distanti dalla vera forma canonica e chiusa del sonetto tradizionale italiano, dal Petrarca in avanti.
Per prima cosa, mi sono sentita libera dalla rima, che rappresenta nella nostra lingua forse l'aspetto più marcato e riconoscibile di ogni forma poetica canonizzata.
Mi sono affidata piuttosto ad assonanze, rime interne, e in special modo al ritmo ricorsivo, per ottenere una sensibile tematica musicale, certo essenziale per questa forma poetica. Dal punto di vista puramente metrico/sillabico, ho mantenuto una qualche regolarità di struttura, e spesso mi sono affidata al più classico di tutti, l'endecasillabo. Questo perché desideravo ottenere una cantabilità piana e una tonalità dolce, adatta ai temi (e alle figure) trattate.
Inizialmente ero tentata di intitolare la raccolta "Cum Figuris" alludendo alla grande importanza del "genere ritratto" in tutte le composizioni, ma poi l'ho pensato troppo specifico e vincolante. Alla fine si tratta di suggestioni, più che di "life portraits", senza una necessaria concordanza con le figure "reali", quindi ho ripiegato sul titolo attuale.
"Laura" è il condensato simbolico di una figura di donna fragile e forte, che dal nome riceve un carattere particolarissimo di purezza e "innocenza" - nel senso paradigmatico del termine.
"Eleonora" invece è il ritratto di una donna prigioniera - in un certo senso - della propria consapevolezza e della propria acuta intelligenza, una donna sempre impegnata in un cammino di ricerca.
Diversissime tra loro, eppure accomunate da un comune destino di lotta e ribellione alla propria umana e femminile inadeguatezza. Ognuna è parte così di ognuna di noi.
Per voi, amiche dilette e amici fedeli, come sempre, con amore
M.P.
9
Laura
Ho seguito un mattino il corso del torrente
a ritroso, risalendo le pietre bianche
a piedi nudi, nella corrente, in cerca
della sorgente di quella casta purezza.
Non crediate sia stata una lieve fatica,
sanguinavano i passi sui bordi taglienti
dei sassi, e scivolava ogni malcerto appoggio
sui crani levigati dei massi giacenti sul fondo.
Così fresca, così dolce, questa sua fonte,
così lucente e lontana da ogni affanno
pare sgorgare per dissetare chi l'ama.
Chi mai direbbe quanto è aspro il declivio,
spaccate le rocce, nudo il sentiero, netto
e dolente l'alveo inciso nella sua valle!
Marianna Piani
Milano, 18 Giugno 2014
10
Eleonora
Inganna l'aspetto di una ragazza,
ingannano gli occhi ombrosi, distanti,
in apparenza svagati, o fiammanti,
ingannano le labbra richiuse in riserbo.
E ingannano le mani pallide e fini,
e le gambe scoperte dalle vesti
di lino, e i piedi lucenti di smalti
cobalto immersi nell'erba smeraldo.
Credevamo fosse solo passione
l'acerbo affanno che le gonfia il seno
come fa il maestrale al fiocco di prora.
É conoscenza, invece, orgoglio
dell'innocenza serbata, e il panico
di sé d'un astro che sa d'essere stella.
Marianna Piani
Milano, 19 Giugno 2014
mercoledì 26 novembre 2014
In Nomine - IV
Amiche care, amici,
Quarto appuntamento di questa mia piccola escursione nella forma più classica della nostra prosodia. E con i nomi che hanno rappresentato qualcosa nella mia vita.
Oggi nominerò due sorelle, o due modi di essere "sorelle". La prima, la sorella di sangue, amata e venerata, e che mi ha abbandonato, per seguire una vita sua, lontana da me. Lasciandomi un infinito rimpianto, e un sordo rimorso, per non aver fatto forse abbastanza per trattenerla. O per seguirla. Tanto amata che non posso fare a meno di amare in modo tutto speciale le amiche che ho successivamente incontrato sulla mia strada e che portano casualmente il suo stesso nome.
L'altra, sorella in spirito, perché incontrandola, sia pur solo virtualmente, dialogando con lei, sia pure brevemente, ho visto aprirmi davanti a me una strada, una prospettiva di vita, una speranza da perseguire. Come donna e come persona.
Come vedete, le suggestioni portate da un nome per me sono infinite, e bene ho fatto a racchiuderle in questo scrigno prezioso, ma piuttosto angusto, che è la forma sonetto. Così che non possano debordare, sulla pagina, con il loro travolgente carico emotivo.
Per voi, come sempre, con tutto il mio amore.
M.P.
In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto
7
Paola
Di noi due, la più bella. Di noi due
quella che avrebbe violato per prima
la vergine vetta, tra noi sorelle
gli occhi più chiari e più temerari.
Le sue spalle sono come un nevaio
che il sole d'estate a pena paventa,
se pur la più fanciulla, la più alta
di corpo, e d'anima quella più folle.
Lungo l'aspro sentiero m'hai lasciata
molto più indietro, piegata, nemmeno
hai girato il viso per un addio.
Quell'inviolato ghiacciaio era parte
di te, così come lo era quel vento
furioso che ti rapiva da me.
Marianna Piani
Milano, 9 Giugno 2014
8
Ilaria
Ella è la dea, colei che ricrea
il mondo al suo volere e piacimento,
è lei la regina che ha travolto
la mia mente in una sola battaglia.
È suo l'editto che restituisce
l'amore all'amore, il desiderio
al suo pari, la bellezza a colei
che la possiede o n'è posseduta.
Ella è la creatura fattasi cielo,
ella è la pianta che allarga le foglie
all'indomito abbraccio della sua Luna.
Lei è il faro al mio trepido passo
sul sentiero che conduce alla luce
dell'astro, e alla mia Femmina Sposa.
Marianna Piani
Milano, 16 Giugno 2014
sabato 22 novembre 2014
In Nomine - III
Amiche care, amici
terzo appuntamento con la mia raccolta di sonetti "al femminile".
Come dicevo, i nomi che cito appartengono ad alcune amiche, ma non ne sono necessariamente il ritratto, non un ritratto fisico, comunque, piuttosto una "radiografia", un esplorare il sentimento e lo spirito che si cela dietro ogni nome, dietro ogni destino.
Io sostengo che ogni nome racchiude in qualche modo un destino, ogni nome ci somiglia, ci rappresenta, e, inconsapevolmente ci guida nel nostro modo d'essere.
Molti di questi nomi di donna, come avevo già osservato, sono doppiamente significativi, rimandano a un significato sensibile, a un'immagine, a un concetto. Pensate a quelli citati fin qui: Gloria, Gioia, Costanza, Serena… Non sembrano essi in sé, con il loro significato letterale, un ritratto dell'universo femminile, delle sue emozioni, delle sue speranze? Ah, la bellezza intensa e intima di questi nomi!
E qui oggi onoro due tra quelli che mi sono più cari, Rosa, forse il più autentico, profumato, femminile che si possa immaginare, e Domenica, che da solo evoca la festa, la disponibilità, suoni e voci, solarità…
Non pensate anche voi, amiche dilette, amici cari, che tutto questo sia una magia?
Con amore
M.P.
In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto
5
Rosa
Rosaura, Rosalba, Rosamaria,
di tanti modi di essere Rosa
non è la spina, o il velluto del cuore,
mia cara, che ti distingue, piuttosto
la tua temeraria grazia fiorita
di carne e di sangue e odore di selva:
unica corolla in questo giardino
rimasta a guardare oltre la siepe.
Nel giardino, rinchiuso da una cinta
di bosso, ti risvegli e spalanchi
ogni tuo tenero petalo al sole.
Uno è il tuo sguardo, l'altro è il tuo orgoglio,
il terzo è il sogno di essere colta
innocente, da una mano fervente...
Marianna Piani
Annecy, 12 Giugno 2014
6
Mimma
La Domenica, la luce, e il mare
che se ne pasce, e il canto lontano
di un peschereccio al largo, nella baia,
che insegue la linea dell'orizzonte.
E i tuoi capelli rosso fiamma contro
il cobalto del cielo e gli occhi
fiammanti anche quelli, pronti a salpare
per infinite avventure oltremare.
Il profilo del vulcano, impresso
nella tua mente, magma ribollente,
libera e ribelle senza padroni.
E il pino leggendario, che come te
si sporge dal promontorio sulle onde
schiumanti la folle passione del vento!
Marianna Piani
Milano, 15 Giugno 2014
mercoledì 19 novembre 2014
In Nomine - II
Amiche care, amici,
come promesso, ecco il secondo appuntamento con la mia raccolta di sonetti dedicati ad alcuni, amati, nomi di donna.
Una volta finito di scriverli, voglio dire una volta completato il progetto originale di quattordici composizioni, mi sono chiesta in che ordine le avrei infine pubblicate. Avevo pensato a un ordine alfabetico, ma mi sembrava troppo ovvio, e rigido. Oppure in ordine di vicinanza delle persone cui su riferiscono in origine, vale a dire dai ricordi più antichi agli incontri più recenti. Alla fine ho optato per mantenere semplicemente l'ordine, del tutto casuale, in cui le avevo composte, nell'arco di poco più di un mese. Ma anche questo non mi soddisfaceva. Sembra questione di poco conto, in quanto si tratta in realtà di composizioni indipendenti e irrelate tra loro, accomunate solo dalla forma metrica. Invece anche questo è un atto in qualche modo poetico: nel mettere insieme una raccolta occorre pensare anche alla sua struttura generale, un poco come quando nel disporre i dipinti per una mostra si pensa a come disporli sulle pareti, in quale ordine, con quali accostamenti. Ed è proprio con questo ultimo criterio, quello puramente estetico, che poi, alla fine, ho deciso l'ordine definitivo, quello che se vorrete potrete seguire qui con me.
Vi "presento" quindi oggi Costanza e Serena (la mia Serenella!) due dolcissime amiche della mia tormentata adolescenza...
Per voi, amiche dilette, e amici cari, come sempre, con amore.
M.P.
In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto
3
Costanza
Occhi di danza, capelli di mare,
bruni gli sguardi, turbate dai venti
le ciocche odorose intrise di salso,
in cima al molo, a scrutare distanze.
Perserverante è il tornar delle onde
sempre sul dorso ai medesimi scogli,
e tu che osservi con malinconia
la marea che lascia gamberi morti.
Rimarresti aggrappata a quegli scogli
il corso di una - o dieci vite,
pur d'attendere un suo incerto ritorno:
imbandiresti le coppe col vino
del tuo desiderio, e con il miele
della tua fede in un incrollabile amore.
Marianna Piani
Milano, 4 Giugno 2014
4
Serena
Grandi immensi chiari occhi affluenti
come le lune d'agosto che sorgono
all'orizzonte dove il golfo s'apre
in un vasto sospiro di mare.
Chi ha mai conosciuto occhi più grandi
più azzurri e più stupiti di sentirsi
amati, chi mai ha sognato sguardi
sognanti così, tra le sue mani?
I gabbiani svolano quasi in stormo,
ed in mezzo a loro passa la nave
che parte tra un garrire di ali
e di stendardi: il cielo è del tutto
sgombro di nubi, soltanto i gabbiani
hanno il futuro nelle loro ali.
Marianna Piani
Milano, 7 Giugno 2014
sabato 15 novembre 2014
In Nomine - I
Amiche care, e amici,
quest'estate ho sentito, dopo diversi anni di pratica del verso libero, di riavvicinarmi gradualmente alla "forma chiusa".
Non è una nostalgia del passato, né una reminiscenza scolastica. Semplicemente sentivo la necessità di riconsiderare la mia scrittura, un esercizio fin troppo facile per me, attraverso il filtro di una struttura formale, così come in musica, dopo decenni di atonalismo, l'orecchio sente il bisogno di "riposare" (si fa per dire) nell'ambito del sistema temperato e della tonalità, magari violandone qualche canone per motivi espressivi, o perché certi vincoli a volte ci vanno troppo stretti ormai.
Io ritengo la metrica classica, così come il sistema tonale, una convenzione di comunicazione, una sorta di patto stretto tra autori ed ascoltatori (o lettori) per stabilire un codice comune tra di loro, con un sistema di regole che in fondo sono una sorta di patto sociale, quasi di bon ton, dove anche l'infrazione assume un senso e una valenza forte.
In un sistema del tutto infranto, infatti, che senso può mai avere l'infrazione?
Se ci pensate, quando io mi affido al verso libero non dico nulla di "formalmente" nuovo, nulla che possa incidere sulla grigia entropia del convenzionale per trasmettere l'emozione o il messaggio poetico che mi sta a cuore. Il verso libero ha perduto ormai da molti decenni ogni sua valenza di novità, ed è divenuto semplicemente una convenzione come le altre, perfino più di altre. Con uno svantaggio, però, rispetto alle forme chiuse del passato, quella di aprire la via al facile, al superfluo, al nulla.
L'unico "canone" metrico del verso libero in realtà è il "a capo". E capirete che ciò traccia un confine assai labile con la prosa, e, peggio, con il prosastico, per cui è divenuto oggi difficilissimo comporre (o - purtroppo - leggere) dei versi liberi non dico eccellenti, ma anche solo accettabili. Un po' come oggi, nell'epoca degli smartphones, è divenuto difficilissimo realizzare (che non sia del tutto casualmente) una bella fotografia.
Per questo ho parlato di "riposo": il metro, la forma chiusa, la rima, offrono allo scrittore una struttura, un alveo in cui contenere la propria ispirazione, un modo di tenerla sotto controllo, come una vetta che offre al rocciatore gli appigli da afferrare, le spaccature a cui assicurare i chiodi che gli consentano di continuare a salire.
Naturalmente oggi non si può nemmeno semplicemente e mimeticamente "riesumare" una antica forma per appiccicarci i propri versi. Occorre assimilare, questa forma, renderla viva e significativa. Il che avviene non semplicemente con la conta delle sillabe, ma con un processo assai più complesso, che, se affrontato seriamente, diviene un nuovo autentico cimento per uno scrittore sufficientemente "onesto" con sé stesso. A questo punto la "facilità" non è più a portata di mano, e occorre invece lavorare (i.e. usare del proprio talento) perché la forma non abbia il sopravvento, e dissolva l'emozione. Affascinante, non trovate?
Dunque, in tutte le mie composizioni da qualche tempo a questa parte ha teatro, in misura maggiore o minore, questo conflitto, che ormai per me è l'unico terreno su cui il seme dell'ispirazione riesce a germogliare.
Tuttavia ciò avviene sottotraccia, e raramente - al di là della la mia predilezione, che viene da tempi "non sospetti", per l'ordinamento in quartine o terzine - raramente dicevo si avvicina a un canone metrico ben definito.
Eccezione per il sonetto: la Forma Poetica forse più nobile della tradizione Italiana, che ha esercitato su di me da sempre una attrazione e un fascino irresistibili, tanto da spingermi, se pur sporadicamente, a tentare qualche esperimento in tal senso.
Ma quest'estate ho sentito in desiderio - dovrei dire l'urgenza - di fare un passo in più, di esplorare a fondo questa forma nobile, sintetica, armoniosa, e di saziarmene per un po', in un certo senso.
Per questo ho avviato un progetto di raccolta che aveva (cosa inconsueta per me già questa) già dall'inizio una struttura architettonica ben definita:
quattordici sonetti come quattordici sono i canonici versi del sonetto, in una simmetria di carattere appunto architettonico certo non nuova in assoluto (sono tanti gli esempi del genere, anche solo restando nell'ambito della Poesia del novecento), ma di certo nuova, nell'intenzione, per me. Sonetti, come vedrete, "liberi", che si permettono di "giocare" un poco con la forma classica, versi irrelati e metri magari inconsueti, ma pur sempre dei sonetti.
E l'idea, l'ispirazione di base, è stata subito quella di scriverne ognuno dedicato a un diverso nome di donna, tra quelle che hanno avuto importanza nelle mie vita.
Non si tratta di ritratti veri e propri però, solo di suggestioni: dietro ciascun nome si cela un destino (di questo sono convinta) e ognuno di questi è il ritratto di UNA specifica donna che porta quel nome, ma non solo. Ogni nome è l'apparato simbolico che raffigura una certa universalità del femminile, vista dall'ottica di una donna, quale sono io, profondamente innamorata della femminilità, in tutte le sue espressioni.
Per fare un esempio, Gioia non è (solo) il ritratto di una specifica donna, amica mia, di nome Gioia, ma rappresenta, o vorrebbe rappresentare, tutte le Donne-Gioia che ho incontrato, e amato, nella mia vita.
Uh! Ma quanto chiacchiero! Scusate...
Ecco, da oggi vi proporrò, con la solita cadenza "tendenzialmente" bisettimanale, due di questi ritratti, o meglio, due di questi bellissimi e amatissimi nomi. Fino alla fine della raccolta.
Oggi aprirò la prima coppia anche con un "prologhetto giocoso" che ho composto (alla fine) con l'intento voluto di sdrammatizzare ogni aura accademica o scolastica di questo piccolo esperimento. Che spero tanto vorrete seguire con la vostra consueta indulgenza.
Grazie per esserci. Con amore, vostra
M.P.
In Nomine
Quattordici sonetti in libero canto
Sonetti sono!
(Prologhetto giocoso)
I sonetti, mi vanno un po' stretti:
come un paio di bei sandaletti,
così sensuali, alti di tacco,
ma così scomodi da portare.
Per questo ne ho composti di fila
un'intera dozzina, più un paio
che ho aggiunto poi per pareggiare
coi pezzi il numero dei canonici
versi. E per scongiurare i rischi
d'una accademica noia, presi
a caso tra le amiche più care
quattordici nomi di splendide donne,
care amiche, sorelle, amanti o spose,
a ispirarmi l'incanto della bellezza.
Nebbiuno, 12 Ottobre 2014
1
Gloria
Vita di sole, vita di luce, vita che al mattino
t'affacci alla vita; prato di salvia, muschio silvestre,
profumo dorato del lago che ti reca il libeccio,
sguardo adorato, gioiello di cielo in uno scrigno
di ciglia. Bocca ridente come la valle nell'alba
che s'apre alla brezza, le labbra assetate di brina,
e le tue braccia nude, sottili e bianche, appoggiate
al parapetto del giorno, e io qui che ti contemplo...
E allora io mi chiedo stupita che mai ti trattiene
dal prendere il volo, come fa l'airone cinerino
dal suo canneto, per elevarsi al cospetto del sole.
E dispiegare le tue ali immense contro la luce
abbagliante. E invece, quieta, rimani nei tuoi pensieri,
appagata della beltà della tua candida grazia.
Marianna Piani
Nebbiuno, 5 Giugno 2014
2
Gioia
Sei discesa d'un balzo dalla motocicletta
come una rondine in livrea neroargentata,
hai liberato i capelli dall'elmo lucente
con una vampa di rosso che m'ha illuminata.
Per un istante i tuoi occhi color di foresta
hanno fissato la strada percorsa d'un fiato
che riverbera ancora del pulsare ruggente
del tuo due tempi - e del tuo cuore appassionato.
Ognuno vedendoti sogna di starti accanto
e di stringerti forte i fianchi per non cadere
mentre tu ti getti in picchiata nel precipizio
dell'aspide grigio d'asfalto giù dallo Stelvio.
La tua bellezza è quella d'una fiera pantera
che balza sull'anima, e ne addenta la gola.
Marianna Piani
Nebbiuno, 6 Giugno 2014
mercoledì 12 novembre 2014
Adriatico caro e solenne
Amiche care, amici,
Una nuova poesia dedicata al "mio" mare, scritta durante una breve visita alla mia città natale, all'inizio dell'estate.
Ogni città, ogni luogo, specialmente qui in Italia, ha qualcosa di speciale, di inconfondibile ed inimitabile.
Io da parte mia sono fiera di essere nata in questa città di frontiera, così peculiare, incrocio di vie, di culture e di mentalità, e perfino di idiomi.
Città laica come poche, eppure capace di ospitare i templi di tutte le principali religioni, templi che convivono quasi fisicamente, faccia a faccia l'uno all'altro.
Città mercantile, eppure venata di un raffinato intellettualismo, città dal dialetto ancora vivo, ancora in alcune zone incontaminato, eppure patria di scrittori e poeti di grande e raffinato livello.
Città corrusca, difficile, ventosa, incostante, eppure dolcissima, mite di clima, luminosa, fedele.
Città infine che si affaccia al mare, anzi che ha il mare proprio nel cuore del suo centro urbano, aprendo una tra le piazze più particolari del mondo, con il lato scenograficamente primario, il frontale, il boccascena, affacciato direttamente sul mare, pronto ad accoglierne le brezze temperate e le furiose tempeste.
Questo è ciò che chiamo il "mio mare", anche se in questa composizione narro di una particolare veduta, non direttamente sulla riva, ma dall'alto di una strada (pedonale, per fortuna e per lungimiranza) che lo costeggia, meta di mille mie passeggiate da ragazzina, in compagnia della mia adorata sorella.
Una antica passeggiata, la sua memoria, o anche nostalgia, e il mio amore per il mare che mi ha visto nascere, in cui ho giocato, lungamente, durante tutta l'infanzia.
Se l'anima che abbiamo in noi è fatta come è fatta, molto lo dobbiamo - anche - a certi luoghi speciali, che hanno una particolarissima valenza per ciascuno di noi. Questo mare, queste vedute, questi suoni, tutto questo ha contribuito a plasmare la Marianna che conoscete, in modo profondo e decisivo.
Ve l'affido, amiche dilette e amici fedeli e pazienti, con tutto il mio amore.
M.P.
Adriatico caro e solenne
Liquido pensiero, cullante memoria,
solida roccia per le mie parole, impresse
a colpi di scalpello là dove infrange l'onda.
Nostalgia, vana forse, impigliata tra i rami
dei rovi lungo le sponde dell'erta terrosa
che percorrevo con la sorella di sangue
parlando delle nostre illusioni, nel mentre
cento metri sotto a noi la corrente
si confondeva schiumando con la scogliera.
Lente sul ciglio avanzavano le file solenni
delle processionarie dei pini, surreali convogli,
con i loro velenosi colori bruni e arancioni
indolenti, come pellegrini al sacro monte:
io non le amavo, seppure ammiravo il prodigio
delle mutazioni cui si assoggettano pazienti
queste creature di terra e di cielo.
Mia sorella ne aveva invece vivo orrore,
e all'incrocio cambiavamo il passo e il sentiero.
Eppure, intanto, nostro malgrado sempre inatteso,
avanzava il meriggio caldo e dorato d'estate,
intriso dell'essenze pur aspre e riarse
delle pinete. E placidamente, solennemente
al di là di una fragile trina di ispidi rami,
si estendeva all'orizzonte questo cielo capovolto,
questa distesa di spume, di alghe sommerse,
di scogli affioranti, di valve schiuse, di guizzi argentei,
di meduse danzanti e di vagheggiar di sirene.
Se si faceva silenzio a sufficienza, lo si sentiva
fin da lassù respirare, questo nostro caro mare,
e sussurrare il canto della nostra primigenia
dolce, irripetibile, giovanile incoscienza.
Marianna Piani
Trieste 22 Giugno 2014
sabato 8 novembre 2014
A5, Chatillon
Amiche care, amici,
da un taccuino di viaggio...
Un appunto fissato sulla carta di un colpo di fulmine scoccato durante un veloce trasferimento per lavoro, a bordo della motocicletta, potente, elegante e pericolosa, di una compagna d'avventura, e mia collega per un incarico oltreconfine, in Francia. Io, grazie alle mie conoscenze linguistiche, ricevo spesso incarichi di questo tipo. Ma quell'occasione fu diversa, perché era quasi Estate, e la mia collega mi offrì un passaggio. Che per la verità ci portò un poco fuori dal percorso tracciato.
Il fascino e la bellezza del viaggio, il fascino e la bellezza della velocità.
Il fascino e la bellezza della libertà assoluta, reificata, incarnata nel viaggio - una libertà espressa dallo stesso concetto di movimento: il movimento è trasformazione, e la trasformazione per definizione è libertà.
Il fascino e la bellezza, infine, della mia compagna, capelli color rame, molto lunghi, corpo agile, mente brillantissima.
Questo è stato il cocktail che ha sconvolto la mia vita, per diverse settimane, in quei giorni precocemente caldi. Questi sono gli incontri - e i momenti che da questi incontri scaturiscono - che rendono la vita davvero degna di essere vissuta.
Poi, come ahimé spesso avviene, il legame non ha retto, alla prova della vita, che poche settimane di passione molto sconsiderata. Ma di certo l'emozione e la memoria di quella corsa in autostrada, con il cuore in gola, ancora mi suscita vertigine, e rimarrà vivida e netta, impressa nella mia anima, per sempre.
La condivido con voi, amiche dilette e amici cari, se vorrete; come sempre, con amore.
M.P.
(Perdonatemi se non sono stata presente mercoledì scorso, ma il lavoro un po' strabordante, e qualche problema di salute di troppo, in questo periodo mi impediscono di essere puntualissima con voi. Appena posso, ci provo. Scusatemi davvero tanto...)
A5, Chatillon
Si profila, sulla linea dell'orizzonte
il monte ancor bianco innevato come
un immane cetaceo addormentato.
L'autostrada come un arpione
diritta gli si conficca nel ventre,
mentre io mi aggrappo alle anche
tenaci dell'amor mio alla guida.
Precipitiamo, come aviogetti abbattuti
nell'inesplicabile turbine del tempo.
Pare che intoni la nostra passione
il cuore due tempi che ci proietta
lungo l'incostante linea di mezzeria.
Accecata dal vento e dai suoi capelli
che sfuggono all'elmo e mi frustano il viso,
mi sento senza peso, e senza tempo.
Più veloce! le grido, un grido, o un guaito,
che pare un bisbiglio in quel frastuono,
ed è invece un grido vero, quasi d'amplesso.
Quasi di fuoco. Quasi di orgasmo.
Il suo corpo pronto risponde, tendendo l'arco
del dorso, come una puledra che impenna.
Sfila il paesaggio mutato in un vortice
di luce e d'ombra, con in fondo il sole
così distante da noi da parere
privo di sguardo, senza espressione. E invece
io sento che l'astro ora ci invidia
la nostra libertà selvaggia di fuga
e ci dardeggia di raggi fiammanti
che picchiano sui caschi balenanti,
abbacinando chi da lontano ci scorgesse.
Stringo a me le braccia, con lei in mezzo,
che alla mia stretta convulsa trasalisce
e mi chiede, inclinando il capo: "Paura?"
Ma quale paura? Potessi morire
ora all'istante, confusa alla sua vita,
in questa corsa folle tra i guard rail
verso una meta che nulla più importa!
Marianna Piani
Milano, 15 Giugno 2014
sabato 1 novembre 2014
Il vento muove
Amiche care, amici
Io sono nata in una città di mare e di vento, e, appunto, amo, anzi adoro il mare, e adoro il vento.
Non sempre questo mio amore è condiviso. Ho avuto una ragazza che il vento lo detestava, proprio lo detestava. Qui a Milano non è un evento comune come dalle mie parti, e certo non ha l'aspetto e la voce emozionante dei turbini di borino che sollevano schiuma salmastra, e ne irrorano vestiti e capelli mentre si passeggia sul molo o lungo riva, tuttavia è sempre un fenomeno eccitante, per me, capace di farmi sragionare, di farmi correre all'aperto solo per il piacere di sentirlo passare tra i capelli, nelle gonne, sulla pelle. Questa ragazza non capiva, quando s'alzava il vento piuttosto si rintanava in casa, ascoltava inquieta come una gatta il rumore delle persiane che sbattacchiavano, o l'ululato vagamente sinistro della corrente spinta tra le fessure di una porta chiusa. Lei in quei casi mi diceva che ero proprio una matta, a fare tutte quelle scene. Il vento per lei era una seccatura, si legava stretta i capelli (quand'io invece li scioglievo) pur di non sentirseli strapazzare, come diceva lei, indossava pantaloni attillati e scarpe basse, come se temesse che la spinta traditrice di una folata improvvisa potesse farla cadere. Io cantavo, lei mugugnava. In quei momenti avevo come la sensazione che fosse molto gelosa, del mio rapporto intimo con il vento.
Ma si può essere gelose di un fenomeno naturale, come il vento?
Sicuramente sì, secondo me, perché il vento è amore, ed è in qualche senso un amore sensualissimo, per chi lo prova, quasi carnale…
Amiche dilette e amici cari, vi lascio a questa ventosa composizione, sperando che, a differenza di questa mia ragazza abbiate qualche volta provato queste sensazioni, e quindi che mi possiate capire!
Con amore
M.P.
Il vento muove
Il vento muove le sue ali
e rigonfia d'ebbrezza le mie vesti,
s'insinua tra i capelli come dita
di un'amante e li scompiglia,
e come amante, scompiglia i miei pensieri,
e vela i miei occhi appena desti
di lacrime che non sono pianto,
né dolore, né emozione,
e neppure nostalgia dell'amore,
del nostro letto sfatto all'alba.
Non memoria, non oblio.
Io le chiamo:
lacrime di vento.
Poiché assieme al vento
vengono, e con esso vanno,
come le nubi che dilagano
sopra il lago, come una coltre,
e poi si sfanno in un tramonto
commovente, dal tenero colore
delle tue guance imporporite
dalla piena del piacere che ti ho versato
quand'eri tra le mie braccia.
Dalle mie labbra.
Sulle tue indicibili pupille.
Che io chiamo:
le mie accecanti stelle.
Il vento è come un ragazzo,
incapace di memoria, spoglio
d'ogni passato, incosciente
d'un qualsiasi futuro: viene, e passa
sopra il mio corpo come il brivido
d'un falco che si getta sulla preda;
e come il falco, il vento spiega
le sue ali, con il palpito
di un arcangelo che s'invola,
e ancora, il suo afflato azzurro
gonfia d'ebbrezza le mie vesti bianche.
È consolante, è esaltante,
accogliere questo mio vento
tra le braccia, come un amante.
Marianna Piani
Nebbiuno, 2 Giugno 2014
mercoledì 29 ottobre 2014
Ritrovata Libertà
Amiche e amici cari,
dopo la "parentesi" per il breve ciclo su Alice (nei prossimi giorni organizzerò qui una pagina dedicata, per raccogliere tutte insieme le nove "tappe" di quel viaggio) riprendo oggi la pubblicazione "normale" dei miei pensieri e delle mie emozioni.
E riprendo con una composizione che mi è "costata" un lungo lavoro di revisione, di riscrittura, di ripensamento. L'argomento, la sua vivezza, la sua importanza personale, tendeva sempre a predominare sopra ogni elaborazione, ogni tentativo di "imbrigliare" l'emozione all'interno di una forma espressiva che protesse avere un qualche valore di testimonianza, al di là della pura e semplice esposizione di uno stato d'animo.
Per quanto io scriva, come ho detto spesso, per la pura necessità di farlo, non ritengo la Poesia possa essere uno "sfogo" personale dell'individuo scrivente, anzi. Si tratta di una - a volte anche dolorosa - rivisitazione del proprio intimo nodo affettivo, per cercare di renderlo "universale", vale a dire per mettere a disposizione la propria sensibilità e la propria esperienza vitale a tutti, tutti voi che vi prendete la briga di leggere le mie parole.
Avevo intitolato inizialmente questa canzone in ottave libere "Violata Libertà", ma all'ultimo istante ci ho ripensato, poiché ciò che desideravo era comunicare un messaggio di apertura, e di speranza. È vero che siamo violate, specie noi donne, nella nostra carne, nel nostro spirito, nella nostra stessa vita e nella nostra libertà, da millenni, ma è vero che possiamo e sappiamo ribellarci, e con un gesto di amore sincero e veramente sentito ritrovare, magari solo per preziosi istanti, tutta intera la nostra libertà…
Per voi, amiche dilette e amici, come sempre, con amore.
M.P.
Ritrovata Libertà
Violata libertà le mie notti bianche
a osservare il passante solitario
annegare sotto la luce dei lampioni,
violata libertà le ore rubate al sogno
per essere scagliata nel pieno giorno
e nel mondo, come una colomba,
subito immolata in volo dal fuoco
incrociato di mille carabine.
Violata libertà, violata donna
qual io sono, violata dal desiderio,
dalla bramosia, dalla voluttà
del possesso, patita sulla carne viva
come uno sfregio esangue,
e violata libertà il seme
che mi ha intriso il ventre
fin dentro l'anima disfatta, e stanca.
Violata è la parete di questa stanza,
com'è violato il cielo imprigionato
dalla finestra, il suo ceruleo smalto,
e violato è il mio pensiero rinchiuso
tra queste chiuse mura, incapace
di mentire, incapace a rimanere
immobile ad ascoltare il battito
inesorabile del tempo.
Il cuore pure emette un battito fervente
celato nel seno come un 'aquila bambina
dentro il nido, incapace di volare,
eppur già pronta a spiccare il suo balzo
nell'abisso, non temendo affatto
di poter perire in basso, tra le rocce
taglienti come lame, spaccate e bianche
come ossa calcinate al sole.
Violata libertà gli insistiti sguardi,
accigliati ai nostri sguardi
e ai nostri baci, tocco fugace
di labbra sulle labbra,
petalo su petalo, fiore contro fiore.
Violata libertà i venéfici pensieri
alle innocenti carezze e ai rossori
dei nostri insorgenti amori.
Ritrovata libertà, libertà onorata
dall'allacciare delle mie dita
alle tue dita, dalla brezza fresca
di quelle carezze tra i capelli,
dall'alba accesa dal calore
di quei nostri ardori, profusi
sulle coltri. Libertà saldata
dal suggello casto di quei baci.
Libertà indifesa. Libertà
saldamente riconquistata.
Marianna Piani
Milano, 1 Giugno 2014
sabato 18 ottobre 2014
Il Tempo e lo Specchio IX - Epilogo
Amiche care, amici,
eccoci dunque alla fine - quanto mai provvisoria, non lo lascerò mai questo mito e questo personaggio, probabilmente - di questo breve viaggio in compagnia dell'Alice della fiaba, dell'Alice del Mito, dell'Alice della metafora esistenziale.
Alice finalmente perde la sua individualità "separata", oggettiva, e diventa finalmente, indissolubilmente "io", un io narrante, ma certo anche un io soggetto, una "prima persona" accreditata a essere me stessa, Marianna.
Marianna è Alice? E fino a che punto si compie la fusione di un io altrimenti diviso, come altre volte ho detto, frammentato, a pezzi, con un altro, del tutto immaginario?
,
Alice - o Marianna - si siede un po' provata, alla fine del viaggio, e qui la raggiunge l'Uomo, il Cappellaio, a spiegarle qualcosa del suo destino.
Un destino non si discute, né si cambia, poiché esso non è fintanto che non si compie, e prima è soltanto un percorso aperto senza un arrivo presunto, senza una meta compiuta.
È una riflessione che costa fatica, e dolore anche: la vita, la malattia, il Tempo che ci trascina, più che guidarci nel percorso…
Vi lascio questa ultima passeggiata "nel bosco narrativo" di Alice e Carroll, ma non perdetevi, mi raccomando...
Con amore.
M.P.
Il Tempo e lo Specchio
Nove variazioni sul tema di Alice
...“Mad Hatter: “Why is a raven like a writing-desk?”
“Have you guessed the riddle yet?” the Hatter said, turning to Alice again.
“No, I give it up,” Alice replied: “What’s the answer?”
“I haven’t the slightest idea,” said the Hatter”
“Have you guessed the riddle yet?” the Hatter said, turning to Alice again.
“No, I give it up,” Alice replied: “What’s the answer?”
“I haven’t the slightest idea,” said the Hatter”
IX
(Epilogo)
Alice, infine, e il Cappellaio:
E così lui (sì, fu lui) si sedette
al mio fianco, in perfetto silenzio
stette, e posò sulle ginocchia
il suo cappello bianco,
come per significare il suo
dignitoso distacco,
mentre esplorava
con acutissima attenzione
le ciocche dei miei capelli,
nere come penne di corvo,
volatili lucidi e ribelli,
ma inusitatamente in quiete,
poiché quel giorno non v'era
inusitatamente,
un solo alito di vento.
"Ma il vento verrà" disse egli
"senza preavviso", e la sua voce
riecheggiò nel caldo pomeriggio
come un sibilo di tramontana,
e io guardai sotto me
distendersi la valle
con le sue case placide
e i percorsi serpeggianti
accosti al fiume,
cui non appartenevo ormai
da anni, ondina sfrattata quale io ero,
e sentii in effetti, quel vento,
come una mano impetuosa
che mi scompigliava i capelli
e li buttava arruffati
sulla fronte, e sul viso.
Io ragazza confusa, arruffata
come quei miei capelli,
ma sapevo
che era sua la mano
a farsi per me vento, e sapevo
ch'egli amava i miei occhi
perché scuri e densi
(così a volte diceva),
eppure ardenti, come tizzoni
nella brace, dormienti.
"E quando il vento verrà"
diceva allora
"tu sarai pronta?"
E, intendeva: pronta di ardere
all'istantanea fiamma
dell'ardimento e della follia?
- poiché follia e ardimento
bruciano e consumano
del medesimo olio,
nella lanterna.
"E il vento soffierà
con forza, e la fiamma"
continuava, pacatamente
"attizzerà, dando luce
all'ottenebrato mondo"
e io sapevo qual era
il suo dire, non detto:
che quando il vento
si farà più impetuoso, allora
spazzerà la tremula fiamma
ridando l'oscurità
ai miei occhi oscuri.
Ma fino ad allora
avrei goduto il lume flebile
ma scintillante
del mio intelletto.
Si levò allora,
e anch'io mi levai,
in sincronia perfetta,
e guardai le punte
dei miei piedi, ornati
di smalto color vino,
sprofondati nel vello umido
dell'erba novella
color dello smeraldo,
tra le violette incantate
come sottane di minuscole fate,
e pensai per un attimo
al destino, mentre lui,
indossato il cappello,
come un destino andava
in cerca d'un orizzonte.
Questa follia è forse
il mio solo destino?
Occorreva ascoltare
le sue parole, come quelle
d'un profeta innamorato:
perché egli è il Tempo,
sovrumano spietato,
e io la donna
infine.
. . .
Marianna Piani
Milano, 25 Maggio 2014
mercoledì 15 ottobre 2014
Il Tempo e lo Specchio VIII
Amiche care, amici,
c'è un qualcosa di pericolosamente affascinante, nella malattia - o nel disagio - mentali, al di là della sofferenza, ovviamente, così come mi si manifesta periodicamente. L'impotenza, la percezione del tempo e della realtà totalmente mutata, il sentirsi in balìa di un complesso di avvenimenti e di forze che ci dominano completamente (i medici, i paramedici, i farmaci, la situazione semireclusiva del ricovero, la condizione di realtà sospesa dei momenti di delirio, ecc.) ci fanno in qualche modo temporaneamente abbandonare la nostra responsabilità e coscienza di persone, di adulti, e senza neppure rendercene conto scivoliamo in una condizione infantile, di innocenza e dipendenza assoluta, anche se distorta, dove paradossalmente riceviamo un senso avvolgente di protezione, di accudimento. Per quanto terribile sia il vivere in prima persona una esperienza di questo tipo, c'è in essa una sorta di sinistra e paralizzante seduzione, molto molto infida, perché da una parte spinge a rintanarsi in noi stessi, a chiudere le porte di comunicazione con l'esterno, a voler rimanere da soli con la propria follia, come fosse un'amante, da tenere gelosamente stretta a sé. Dall'altra, una volta usciti dal delirio e rientrati nella realtà, nella così detta "normalità", si prova una inesprimibile nostalgia di quei momenti di "assenza" d'intelletto, di una libertà in qualche modo, patologicamente, pura perché fuori dalla realtà cruda e dura del quotidiano, dei suoi riti e dei suoi miti.
Il desiderio inespresso di ritornare a una realtà insensata, pur di sopravvivere, anzi, per poter in qualche modo "godere" della nostra vita quale essa è, questo emblematicamente, simbolicamente è rappresentato per me dal ritorno di Alice al suo "altro" mondo, quello capovolto, oltre lo specchio…
Ma dal momento che il mondo di Alice è illogico, e si sviluppa in uno spazio non euclideo, il "ritorno" di Alice per me si salda proprio con l'inizio delle sue avventure: "Alice's Adventures Under Ground" cui nella mia composizione volutamente alludo, è il titolo del primo manoscritto (per uso puramente privato) dell'opera, che solo successivamente avrebbe preso il corpo e il titolo definitivo di "Wonderland". Passando così direttamente da una storia privatissima di amore disagiato, alla Grande Letteratura.
Per voi, amici e amiche dilette, come sempre, con amore
M.P.
Il Tempo e lo Specchio
Nove variazioni sul tema di Alice
...“I'm afraid I can't explain myself, sir. Because I am not myself, you see?”
VIII
Alice ritorna, nel sottosuolo
Vuoi ritrovare il tunnel,
la tana, il budello oscuro
che ti riporti alle brume
del tuo intelletto.
Vuoi ritornare a precipitare
nel pozzo angusto senza fondo,
privo di lume
e senza ritorno.
Vuoi rifuggire
alla tua salute stessa,
se salute fosse
questa gelida pace
che toglie il fiato
al pensiero, voce e grido
al canto, e all'imprevedibile
rimpianto soggiace.
Vuoi che il vento libero
ancora ti prenda e ti disperda
come polvere nella strada,
come petali e foglie
scorticate dai rami
nella bufera, come fumo
sfilato dai camini,
come fazzoletti
agitati nelle mani
di femmine salutanti,
come il volo degli storni
sopra la città sopita.
La città indulgente.
La città languente. E poi,
la gente che formicola.
Nel turbine che la annienta.
Vuoi restar pur viva
nella tua follia,
vuoi essere perennemente
immagine riflessa
nella tua mente, febbre
della tua stessa fronte
spirito trionfante e
mai più mortale poiché
tu sarai per sempre
soltanto il verso
di un incantevole canto.
Di un amaro rimpianto.
Marianna Piani
Milano, 16 Maggio 2014
sabato 11 ottobre 2014
Il Tempo e lo Specchio VII
Amiche care, e amici
sono ancora con voi, con il settimo capitolo della mia raccolta a proposito di Alice: l'Alice di Carroll, e l'Alice del mio destino.
In realtà, nelle mie intenzioni il settimo avrebbe dovuto essere l'ultimo di questi episodi, uun "finale" anche numerologicamente (sette) perfetto: Alice si risveglia nel mondo reale per ciò che è, una bambina turbata dall'interesse fin troppo intrigante e insistente di un uomo adulto, che le narra ciò che in apparenza sono fiabe e sogni assurdi, solo in apparenza, mentre intanto la esplora nel corpo e nell'anima, con lo sguardo e con il microscopio della sua macchina fotografica, fin troppo simbolica anche quella. Un uomo di genio, certo, e del tutto fuori del comune, forse anche per una buona parte mentalmente disturbato. E lei, invece, comune sana e bellissima bambina, colta proprio nell'età in cui inizia a sentire premere dentro di lei la donna.
Non so cosa veramente abbia rappresentato per Alice Liddell e per la sua vita a venire quella presenza ingombrante che (lei allora non poteva saperlo) la avrebbe proiettata dritta nella Storia, e nella Poesia. Non certo una figura paterna, se non in senso edipico, forse più un enigma e la prefigurazione del Desiderio, così come si esprime, senza vincoli di logica o di morale, nei sogni. Quest'uomo impuro e innocente, con il nome così curiosamente intrecciato al suo (Liddell/Carroll: forse non casualmente se pensiamo che si tratta di un "pen name" scelto dal poeta stesso), che la frequenta assiduamente, sotto lo sguardo benevolo e un poco distratto della madre.
Un sogno di libertà, di fuga nella immaginazione, perfettamente a-morale, così come perfettamente amorale è la storia narrata/immaginata di Alice. Wonderland è il nonsense elevato a sistema di vita. L'intrusione della follia nella piana logica dell'esistenza. Ma di questo, se avrete la pazienza di seguirmi ancora, parleremo più avanti.
Per ora vi lascio, amiche dilette e amici, alla lettura, se vorrete.
Con amore, come sempe, vostra.
M.P.
(P.S.: In illustrazione, il personaggio Alice dalla penna, piuttosto abile bisogna dire, di Carroll, ritratto fisico puntiuale della "vera" Alice Liddell, come potete desumere dalla bellissima - e pericolosamente sensuale - foto, più sopra.)
Il Tempo e lo Specchio
Nove variazioni sul tema di Alice
...“Lastly, she pictured to herself
how this same little sister of hers would,
in the after-time, be herself a grown woman;
and how she would keep, through all her riper years,
the simple and loving heart of her childhood”
how this same little sister of hers would,
in the after-time, be herself a grown woman;
and how she would keep, through all her riper years,
the simple and loving heart of her childhood”
VII
Alice si risveglia dal lungo sonno
(Or: About Miss Liddell)
I piedi nudi dentro l'erba, una vestina
bianca come la luna, gli occhi ombrosi
sperduti ancora in sogni ambiziosi.
L'uomo la osserva, in completo silenzio,
e con lo sguardo acuto d'un intelletto
troppo vivo, le scandaglia il piccolo corpo
e la mente, invano frugandone il mistero.
Una vampata di rossore le arde allora il viso,
abbassa gli occhi per cercar le farfalle
e i fiori della sua innocenza, e lasciarsi fuggire
nei voli liberi delle parole, tanto leggere
da essere del tutto pure, sfuggenti
per la sua mente di bimba. Ma chiare al suo cuore.
L'uomo adulto narrava, e la fissava intanto dai vetri
delle sue lenti per catturarle le ombre.
Lei temeva che la sua anima fosse rapita,
e tuttavia l'essere Liddell non la soddisfaceva
e preferiva immaginarsi in quei sogni proibiti
in forma di un candido fiocco di bimba, così lieve
da poter attraversare il tempo e ogni dimensione
di spazio senza poter essere fermato da alcuno.
Immaginare, di balzare dal dagherrotipo immobile
e darsi viva alla fuga nei prati grigioscuro,
lei bianchissima inafferrabile nuvola-farfalla,
e così danzare a mezz'aria, senza peso,
ondina dell'aria, faunetta immaginaria,
scintilla tentatrice, ninfella dalla pelle di luna.
. . .
Oh, la mamma: dopo mezzodì discende da lei
nella brughiera, poiché è ormai sera,
e le sistema il fiocco alla vita della vestina.
Rientrando dopo il saluto devoto al reverendo
non immagina neppure, lei, i folli voli della figliola
e nemmeno quanto poco fossero stati innocenti.
Marianna Piani
Trieste, 3 Maggio 2014
mercoledì 8 ottobre 2014
Il Tempo e lo Specchio VI
Amiche care, amici,
siamo alla sesta tappa del nostro piccolo viaggio attorno all'Universo di Alice.
E per me si tratta di un punto di svolta, una piana in cui trova culmine il sentiero.
È giunta la maturazione, e la scoperta della Donna, e del suo potere, che è un potere assoluto, tirannico, sull'amore.
La Regina rappresenta me stessa, e rappresenta in qualche modo ogni donna che abbia avuto di volta in volta potere sul mio cuore e sulla mia anima. Non importa quanto dolce fosse questa reggenza, sempre l'ho vissuta come una violazione aperta e ineluttabile alla mia libertà, che come sapete è il bene più prezioso in mio possesso.
In qualche modo l'amore è un vincolo assurdo, che imprigiona lo spirito in un groppo invisibile di catene. Gli anelli, anziché d'acciaio, sono fusi nel più tenace dei materiali: il desiderio. Ogni ribellione è dissennata, poiché scava profonda incertezza nella nostra anima…
Per voi, dilette amiche e amici cari, come sempre, con amore
M.P.
Il Tempo e lo Specchio
Nove variazioni sul tema di Alice
...“If I had a world of my own, everything would be nonsense.”
VI
Alice incontra la Regina
E un mattino il sole riarse, all'orizzonte,
e come un'agnizione illuminò la strada
e poco dopo la tua finestra e infine
la tua fronte.
Poi si mosse, con indolente grazia,
risalendo lentamente il tappeto, il giaciglio,
fino a fermarsi abbacinato sull'onda d'oro
dei suoi capelli.
Lei aveva una mano aperta accanto al viso,
e le labbra schiuse, di velluto come rosa,
il capo reclinato e quella marea che inondava
di maestà il suo cuscino.
Ora sapevi finalmente che eri viva, eri sorta
dal tuo sogno e da un torpore come di morte,
nel tuo giaciglio riposava come una sposa
quella tua dolcissima sovrana.
Ora potevi contemplare quelle guance chiare
e l'orecchio turbinato come una conchiglia, e la perla
che ne ornava innocente il lobo tenero da bimba
era una stilla del tuo distillato amore.
Era un angelo, da dormiente, la tua tiranna,
e tu vegliavi su di lei come una nuvola di pioggia,
attendevi il suo risveglio con trepidante ansia,
sapevi che il tuo cuore ormai era al suo impero,
al totale suo possesso, e tu che non volevi
che essere liberata, su te bramavi quel potere
come un fiore brama e beve con avidità
tutto il sole della giornata.
Giovane fiamma ardesti la notte,
fosti solo luce al mattino.
Marianna Piani
Milano, 29 Aprile 2014
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